MATTEO BRIGHENTI | Le parole sono la camicia di forza di Amleto pazzo per scelta di libertà e verità. La sua lingua allucinata dal dolore per l’assassinio del padre e il tradimento della madre con lo zio assassino è un turbamento di forme liriche e struggenti. Ma non basta, quelle parole forse non aiutano più a dirlo fino in fondo, ora che l’estetica ha accecato l’etica, ora che si va a sentire la poeticità di Shakespeare senza attenzione o partecipazione alcuna per le lacrime e il sangue che grondano dai suoi versi. Lenz Fondazione in Hamlet Solo compie il gesto estremo di riportare l’Amleto alla carnalità del grado zero delle passioni. Un teatro pittorico e plastico, con la nettezza del bianco e nero e i tagli di luce di un’attrice ‘sensibile’, Barbara Voghera, che non si dà pace del volere del Principe di Danimarca, della sua fame di riscatto e sete di giustizia.
Il monologo è una creazione da Shakespeare di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri ed è il risultato di un attraversamento dell’opera iniziato nel 1999 con Ham-let, uno dei primi spettacoli dei parmigiani Lenz Rifrazioni (oggi Fondazione) con attori con disabilità intellettive. Inizio e rinizio, dal momento che le scene di quello spettacolo, invitato poi da Ronconi al Piccolo per il “Festival del Teatro d’Europa”, furono le sole a salvarsi da un incendio che colpì il loro spazio teatrale di allora. Protagonista è sempre stata lei, Barbara Voghera: già Bradamante ne Il Furioso e Fool in Verdi Re Lear, qui è capace di far risuonare anche il pensiero delle parole di Amleto, pensiero che si espande e ne incide il corpo, lo contrae nelle braccia, le mani, come un arco teso di disperazione indomita e indomabile.
È sola in scena, ma non da sola. Sul pavimento di una delle stanze affrescate della Rocca San Vitale di Sala Baganza, provincia di Parma, dove ci troviamo, ci sono alcuni elementi, quasi reliquie di un castello e uno splendore antichi, passati: un libro, un capitello, un cappellaccio scuro sopra un teschio. Voghera, camicia bianca vaporosa, pantaloni neri e nere scarpe lucide, è di spalle. Addossato alla parete in fondo uno schermo rimanda un uomo nudo riverso su un tavolo da obitorio, il Re ucciso. È la manifestazione dello Spettro, il padre di Amleto, una pittura di luce che scriverà la sua vendetta sul volto del figlio con una grammatica visiva di ombre. Infatti, quando l’attrice si volta e avanza verso il pubblico scopre il viso coperto di bianco, la pagina vuota del dramma da recitare e lo specchio delle proiezioni degli altri personaggi, il Re Claudio, la Regina, Ofelia, gli Attori, Rosencrantz e Guildenstern, i Becchini. Sono come arti fantasma del corpo orfano di Amleto, della sua solitudine scenica ed esistenziale: non ci sono (e alcuni degli attori ‘sensibili’ in video non ci sono proprio più), ma fanno male.
E per lacerazioni, ferite inferte e subite, procedono la traduzione, drammaturgia e imagoturgia di Francesco Pititto, senza alcuna pietà delle imperfezioni, anzi, ricercandole come fonte primigenia di bellezza autentica. Shakespeare è scarnificato, ridotto all’essenziale, e restituito attraverso soggetto, colore e prospettiva. “Hai ucciso mio padre”. “Il dolore è atroce”. “Morto, morto, morto, sangue, rosso” e Ofelia ripete sullo schermo la litania di tutti i respiri cercati in fondo a un lago, un’esplosione quasi futurista di parole che come onde si infrangono e sottraggono il suo corpo alla vita. L’obiettivo, il fuoco della regia di Maria Federica Maestri, allora, non sembra tanto comunicare la lotta di Amleto, rendendola però ostica a chi non ha “familiarità” con la tragedia shakespeariana, come sostiene Giulio Sonno su Paperstreet (anche se l’Amleto ormai fa parte del nostro DNA di essersi umani e quindi lo conosce anche chi non lo sa), quanto costruire un’atmosfera di decadente terrore, un senso di morte viscerale per un mondo che è già al di là della possibilità di cambiarlo.
Qui l’unico ‘essere’ è Amleto, stretto e assediato dal ‘non essere’ di tutti gli altri caratteri, tra debolezza e forza, vulnerabilità e potenza di voci, silenzi e sguardi di Medusa che lasciano di pietra al solo incrociarli. È Hamlet Solo, ma non è solo Hamlet a duello con se stesso, con la paura di essere chi è e com’è: pure noi abbiamo in mano il teschio delle nostre opportunità sprecate. Barbara Voghera insieme a Lenz si è lasciata indietro l’impossibilità ed è andata incontro all’enigma del rappresentare rappresentandosi in tutta la sua ‘sensibilità’. Scelta e condizione che le hanno permesso di accedere, con una presenza di violenta intensità e grazia scomposta, a una realtà espansa, che si trova oltre ogni cosa da noi conosciuta. Esattamente come Amleto.
La vera sconfitta, dunque, non è perdere il senno, è smarrire il coraggio.
Hamlet Solo
da William Shakespeare
Creazione | Francesco Pititto | Maria Federica Maestri
Traduzione | drammaturgia | imagoturgia | Francesco Pititto
Regia | installazione | costumi | Maria Federica Maestri
Musica | Andrea Azzali
Interprete | Barbara Voghera
Attori in video | Liliana Bertè | Franck Berzieri | Guglielmo Gazzelli | Paolo Maccini | Vincenzo Salemi
Tecnica| Alice Scartapacchio
Produzione | Lenz Fondazione
Visto domenica 29 novembre, all’interno del “Festival Natura Dèi Teatri 2015”.