MATTEO BRIGHENTI | A luglio, nel Deposito dei Rotabili Storici di Pistoia, i treni erano su binari morti. In teatro, adesso, sono deceduti anche i treni. Spariti, scomparsi dalla vista, dissolti come fuoco nella cenere. Solo loro li vedono, li cercano, li inseguono, li aspettano, loro, i ‘caratteri’ incontrati da Gli Omini in un mese di interviste alla stazione della città dei vivai. Sembrava impossibile trasportare Ci scusiamo per il disagio sul palcoscenico: come ricreare il luogo e il dialogo, lo scambio con la sua memoria, come ritagliare nell’ordinario, nel consueto di quinte e poltrone, un angolo protetto, un cimitero di elefanti su rotaie? La risposta della compagnia toscana under35 (in residenza artistica presso l’Associazione Teatrale Pistoiese, che produce lo spettacolo) è tanto semplice quanto potente: fare della stazione uno stato della mente e dei treni una volontà di potenza frustrata. Il teatro crede nell’invisibile e racconta ciò che non è, ma potrebbe essere; il visibile, qui, appare come un falso, perché non può essere riportato diversamente da com’è. Ma com’è lo racconta già la realtà, fuori.
La scena allora è composta da otto fari a terra, quattro a sinistra e quattro a destra del palco (l’allestimento è di Giorgio Gori, le luci sono di Emiliano Pona), che compongono quasi dei binari e tengono tutta ‘a fuoco’ la panchina su cui si incontrano, si graffiano, si ascoltano e non si comprendono, Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini. In fondo, a sinistra, è accesa una luce di colore rosso come quelle posteriori che indicano la coda dei convogli. Se ci fossero dubbi, questo li cancella tutti: Gli Omini sono in stazione ad aspettare un treno che è già partito. E in proscenio, a destra, è la stessa stazione a parlare attraverso un altoparlante: con voce metallica, roboticamente vintage, inanella una sequela di scuse sempre più assurde per ingannare e distogliere la rabbia montante di chi aspetta di partire e non sa quando né come.
Il perché è dentro le battute che i tre in scena (collabora alla drammaturgia anche Giulia Zacchini) si sparano addosso come cowboy di un Far West in crisi di identità. Il tema scritto da Morricone per Il buono, il brutto, il cattivo è un motivetto mugolato battendo il piede, quasi un training autogeno con cui Luca Zacchini comincia Ci scusiamo per il disagio. Per ricordarsi chi è, dove vuole andare e convincersi che stavolta riuscirà ad avere la meglio sull’attesa ai binari inconcludenti. Un inizio che risolve e chiarisce l’inizio della versione estiva, l’unico momento allora zoppicante.
Sono sempre in scena, tutti e tre, ma parlano da soli anche quando parlano con qualcuno, anzi, il marchettaro sulla settantina, il barbone modenese, Iolanda dalle mille delusioni amorose, e tutti gli altri, parlano soprattutto alla stazione, intesa come stato in luogo e complemento di termine. Ha tutta una sua vita autonoma che si manifesta nella lampadina di un faro o nella voce all’altoparlante, a cui si rivolgono come lupi o poeti alla Luna. C’è quello che sa come vanno le cose, quello che le subisce, quello che vuole imporre dove andare, c’è l0 sconforto portato in scena da Francesco Rotelli, il rancore da Francesca Sarteanesi, l’arroganza da Luca Zacchini, macigni di pensieri opprimenti che tolgono il respiro alla ragione. Si scaricano contro rabbia e rimorsi fino all’esaurimento: la storia che raccontano è tutto quello che hanno, essere protagonisti del loro fallimento è l’unica ragione di vita rimasta, una dolente croce per una delizia paradossale.
Quella del pubblico, che ride così forte da coprire a volte le battute degli attori. L’ironia ricercata con forza e generosità da Gli Omini nelle frasi deragliate del quotidiano è infatti l’esca sottile con cui portano tutti, anche chi va a teatro solo per divertirsi, a scontrarsi con la memoria del presente, oltre la sicurezza della propria indifferenza. La stazione si scusa per un disagio a cui però non pone rimedio, accettandolo come una dato di fatto inconfutabile o una fatalità imprevedibile, e lo stesso facciamo noi con le nostre bassezze, disgrazie, debolezze. Ci scusiamo per il disagio è dunque immagine e metafora di una società di gente che si nasconde, che aspetta treni che non arriveranno mai, che guarda con paura e disgusto chi oltrepassa la linea gialla.
Una proprietà di sguardo tra il realistico e il visionario che è valsa a Gli Omini il Premio Rete Critica come miglior compagnia 2015: “negli ultimi esiti spettacolari ha saputo raccontare aspetti importanti dell’Italia dei nostri anni, attraverso una teoria di personaggi malinconici, disperati, esilaranti, sostenuti da una comicità aguzza e corrosiva e da una recitazione credibile, precisa, minuta”.
Personaggi come sassi gettati nello stagno della vita da qualcuno che poi ha tirato indietro la mano. Gli Omini invece avanzano nel blu della notte sopra le nostre destinazioni e fanno vibrare le dita lungo i fianchi, sopra la fondina della loro inventiva. Ora non è più tempo di scuse.
Ci scusiamo per il disagio
uno spettacolo teatrale de Gli Omini
di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini e Luca Zacchini
allestimento scenico Giorgio Gori
luci Emiliano Pona
produzione Associazione Teatrale Pistoiese – Centro di Produzione Teatrale
con il sostegno di Regione Toscana e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Visto venerdì 18 dicembre al Teatro Cantiere Florida, Firenze, all’interno del Focus ATP.