GIULIA MURONI| “Ecco pressappoco cos’è la Cosa Brutta. Tutto in voi è nauseato e paradossale”( David Foster Wallace). È scontrarsi allo specchio con la parte più laida e meschina di sé ed esserne il giudice più intransigente e ineludibile.
“Erinni o del rimorso”, ad opera del gruppo teatrale nomade Ortika è stato in anteprima al Teatro della Caduta di Torino, di cui è nuovissima produzione. Spettacolo sul doppio, sulla depressione (la Cosa Brutta), su tutte le forme – più o meno deviate, più o meno nella norma asfittica del vivere- di ambivalenza emotiva e psichica, ha il suo inizio a mollo, dentro una vasca totemica al centro della scena.
È Veronica Lucchesi a immergersi per prima in questa vasca, dando così l’avvio allo sprofondamento in una dimensione onirica, surreale. Ritratto – o meglio psicodramma- dell’artista da giovane, Lucchesi interpreta un soggetto fragile, è un’artista in balìa delle proprie insicurezze, sola nel magma incandescente dei quesiti e decisa a lasciarsi andare a fondo.
Nuotando controcorrente nel flusso indisciplinato della propria psiche, quello che sembra un suicidio schiude un mondo subacqueo surreale. L’approdo avviene in una “crociera di sequestro emotivo e rieducazione al successo”. L’ambiente della crociera fornisce quindi lo scenario simbolico del costante pericolo di naufragio emotivo, raccontato attraverso i codici estetici e significanti del coaching motivazionale. Il coach-Alice Conti suggerisce un vocabolario e una postura per non essere dei perdenti, affrontare la vita e trovare la “chiave del successo”, proponendo una triade di test a cui s’inanella una trafila di fallimenti. Ma è nel gioco stesso la chiave dell’insuccesso: il nemico è riflesso allo specchio.
Il duo Conti/Lucchesi sembra essere parte e controparte di una stessa persona, i famosi poli opposti della personalità. Lucchesi è disperata e l’invito di Conti è di mollare l’effimera vita d’artista per prendere in mano la propria esistenza e affermarsi professionalmente nel campo delle assicurazioni. Il dialogo con il proprio lato oscuro fa affiorare le paure ataviche, il senso di inadeguatezza come spettro costante, il bisogno di riconoscimenti accompagnato dalla cocente lucida consapevolezza della loro vacuità. In questa prospettiva anche avere talento ha un gusto amaro perché spinge a sollevare l’asticella dei propri obbiettivi, alimentando a dismisura il mostro interiore che divora da dentro e premendo sulla futilità di tutti i risultati raccolti.
Se le Erinni nella mitologia greca sono la personificazione femminile della vendetta, qui vengono assunte in una prospettiva psicanalitica e tradotte in una dialettica in cui l’Io è vessato da un Super-Io punitivo e castrante. I confini sono però flessibili fino a esplodere e il gioco dei ruoli si rimescola nell’ultima parte, fino a risolversi in modo brusco e efficace sul finale, volendo forse suggerire come la disfatta del Super-Io sia azione necessaria al superamento e alla crescita.
Chiara Zingariello articola l’idea di fondo alla base della sua ricca drammaturgia, spiegando che “il rimorso non deve necessariamente riferirsi ad un terzo esterno, anzi la depressione ci è sembrato un oggetto perfetto per esemplificare quell’azione vendicativa delle Erinni che ri-morde dentro.”
Testo impegnativo, molto denso, costituisce la materia spessa palleggiata dalle ottime Conti e Lucchesi. Mentre la prima fa della combinazione intensa di fisicità sapiente e policromia vocale una tra le cifre più peculiari della sua intensa presenza, l’altra – Lucchesi- rivela la propria significativa esperienza canora nel distillato straniante della sua figura minuta.
Ad Alice Colla il compito di restituire l’ordine di queste suggestioni in una gestione complessa della scena e della luce. Alcuni riferimenti alchemici trovano realizzazione in un disegno luci che, riproponendo triangoli femminei, varia di intensità e combinazioni di tagli e colori, così da amplificare e suggerire all’occorrenza atmosfere di inquietudine vitale, suggestione psichedelica, confusione eccitata.
Il tappeto sonoro (Billie Holiday, Cindy Lauper, Raffaella Carrà) ricalca questa trama mista e, agendo per analogia o contrasto, si presta a comporre con efficacia un’ulteriore cornice estetico-semantica dell’azione. (Perfetta la scena, dal gusto amaro, in cui Lucchesi salta disperata sulle note di “Girls just want to have fun”).
Spettacolo ambizioso che si confronta con dei giganti, riesce a non farsi fagocitare e riemergere con fervore creativo, moltissimo da dire e il gusto bulimico di non tralasciare nulla. Se col tempo e con le repliche potrà trovare maggior asciuttezza – magari nel levigare un testo che conosce tratti di verbosità – nel frattempo è bene focalizzare la peculiare e rara qualità esplicitamente creativa di affrontare contenuti, stili, registri e tecniche.
“Erinni o del rimorso” è infatti uno spettacolo intenso, ricchissimo, sincero e di schietta originalità.
Il gruppo teatrale nomade Ortika si riconferma come realtà artisticamente feconda, impegnata in una maturazione che inizia ad abbozzare alcune cifre stilistiche negli incroci di variabili tra la densità dei testi di Zingariello, la ricca scenotecnica di Colla e la regia stratificata, resa agile dall’ottima recitazione di Conti.