ANGELA BOZZAOTRA | Due coreografi provenienti dal network Aerowaves, l’ungherese Adrienn Hód della compagnia Hodworks e lo spagnolo naturalizzato belga Albert Quesada, hanno presentato opere risalenti entrambe al 2014, in occasione dell’ultima edizione di DNA 2015 del Romaeuropa Festival.
Conditions of being a mortal e Wagner&Ligeti sono entrambe opere corali, scritte e danzate da un ensemble di circa cinque danzatori; così come entrambe sono frutto di una scrittura coreografica autoriale, che vede nelle figure della Hód e di Quesada due modelli della generazione Duemila della danza europea. In realtà questa sorta di nomadismo tipico della formazione coreica risale agli anni Ottanta, e in un certo senso è connaturato alla “professione” stessa del coreografo. Eppure negli ultimi anni questo processo sembra essersi consolidato e istituzionalizzato, in quanto non appartiene più alla singola biografia dell’autore ma si afferma come un fenomeno che interessa l’ambito produttivo sin dalle primissime fasi dei processi creativi.
L’apparato concettuale della costruzione drammaturgica dunque, si configura come una qualità fondamentale, una conditio sine qua non della relazione tra network (in questo caso Aerowaves, fondato nel 1996 in Gran Bretagna) e singoli autori o compagnie.
Analogamente ad altri rapresentanti della danza d’autore europea, l’accento posto da Hód e Quesada sul corpo all’interno di uno spazio vuoto e privato di connotati simbolici e di un’istanza rappresentativa appare predominante. Allo stesso tempo, la ricerca che interessa i due autori si incentra sulle facoltà percettive del danzatore e dello spettatore, in particiolare sulla musicalità dell’atto performativo, del suo rapporto con stimoli uditivi quali il suono, il rumore e la voce.
In Conditions of being a mortal di Hodworks, diviso in Moviment I e Moviment III, il concetto portante della drammaturgia riguarda la resa coreica dei moti irrazionali ed inconsci, di tutto ciò che vi è di istintuale e di sommerso; i tabù imposti dalla società vengono in certo qual modo dissacrati dalla pratica della danza, attraverso la possibilità del corpo di incontrare il movimento disarticolato e una sintesi dialettica tra “ordine e disordine”. Al di fuori della triade “pregiudizio, regole, norme” il danzatore incontra una libertà nella disciplina; le ore innumerevoli di improvvisazione risultano funzionali alla creazione di un’opera originale, dove lo spettatore è posto frontalmente e al quale è resitituita una resa scenica strutturata e organizzata come un processo concluso. Dunque da un lato vi è il margine di libera iniziativa all’interno dell’improvvisazione che appartiene alla fase del processo creativo, dall’altro vi è il risultato finale, “impacchettato” in forma chiusa, ed eseguito con rigore.
Nella poetica della Hòd, l’elemento visivo può essere “ascoltato” attraverso il rilievo dato al suono e al lavoro sulla vocalità. Se nel precedente Dawn (2013) la percezione uditiva era stimolata attraverso il “noise of interaction”, in Conditions oltre a questa linea compositiva si ritrova una sorta di “coreografia della vocalità”. Il tappeto sonoro originale dei due compositori della compagnia si mescola, di fatti, alle voci degli stessi danzatori che emettono suoni disarticolati e inintellegibili, sul confine tra umano e animale. Il tono è quello del grido, della risata e dell’ammiccamento, accompagnato da movimenti virtuosistici appartenenti ad una rivisitazione della tradizione ballettistica riletta e rivisitata in chiave ritmica e performativa.
Il corpo è mostrato ed esposto come vettore principale dell’espressione del concetto di “mortalità”, bardato da vestiti che possono risultare stracci, rigorosamente H&M. In un gioco articolato di vestizione e svestizione, nudità e caricatura carnevalesca, i danzatori eseguono una partitura estremamente ricca di momenti teatrali, momenti di introversione ed estroversione. Come fuoriusciti da un pageant medievale, i quattro interpreti (due donne e due uomini) si esibiscono dinnanzi allo spettatore senza alcuna sovrastruttura, rappresentando una sorta di contesa faunesca al ritmo incessante di un tappeto sonoro di stampo neo-classico e a tratti barocco.
Il sonoro – in questo caso brani di repertorio classico- è il fulcro anche del Wagner&Ligeti di Albert Quesada. Come si evince dal titolo infatti, la pièce sostanzialmente si incentra sull’accostamento ardito tra due tipologie e concezioni di musica (e composizione) radicalmente opposte. Da un lato, il trionfalismo e il barocchismo di Wagner di cui Quesada seleciona l’Ouverture dal Tannhauser; dall’altro la sperimentazione contemporanea di Ligeti, in particolare del Lontano (1967). Come direttive alchemicamente incrociate, le due composizioni vanno ad accompagnare parallelamente la coreografia, che di fatto non è gerarchicamente superiore al suono. Quesada dunque sceglie di mettere in rilievo la poetica del contrasto tra partiture divergenti, di cui il corpo dei danzatori è una sorta di riflesso. La poiesis del correografo si avvale anche della declinazione della pratica della scrittura come analogia tra danza e musica. All’inizio dello spettacolo i danzatori marcano il pavimento della scena con dei gessetti, formando delle onde bianche su sfondo nero, a rappresentare in tal mondo delle onde sonore. Dopo una sequenza coreografata, i cinque (tra i quali spicca lo stesso Quesada) si posizionano in avanscena e leggono uno scritto di Ligeti riferito al Lontano e tradotto per l’occasione in italiano. Tra ingenti dosi di contact improvisation, ripetizioni estenuanti e ralenti dove l’ensemble risulta formare un’unico organismo pluricellulare, Wagner&Ligeti si snoda come una sinfonia schizofrenica, con danzatori ensoriani che si affastellano e si distanziano, muovendosi su linee costantemente alternate. Il corpo è vibratile, scosso dall’effetto del suono; non si può distinguere il tappeto sonoro dalla coreografia stessa, perchè quest’ultima non starebbe in piedi. Anche comporre una sinfonia è coreografare? Anche danzare è eseguire una sinfonia? La sperimentazione di Quesada, che si era cimentato con la musica classica già nei Solos Bach&Gould del 2008, sembra vertere su queste due domande.
Con Hodworks e Albert Quesada ci si trova di fronte a due poetiche spontanee, in alcuni punti fragili, ma da approfondire e seguire negli sviluppi futuri.