GIULIA RANDONE | “Amare una persona significa conoscerla veramente bene e amarla ugualmente”, sosteneva Victor Hugo. E chi dovrebbe conoscersi meglio di una coppia ottuagenaria di sposi che ha trascorso insieme cinquant’anni di vita?
I protagonisti di Illusioni – opera di Ivan Vyrypaev portata in scena dalla compagnia Big Action Money nella rassegna torinese Schegge – dimostrano che, evidentemente, cinquant’anni di frequentazione assidua non bastano.

Sul letto di morte Danny chiama a sé la moglie Sandra e le fa una lunga dichiarazione d’amore e di gratitudine per gli anni che hanno condiviso insieme e l’affetto di cui è sempre stato circondato, dopodiché, felicemente, si spegne. Sandra però, rimasta vedova e anch’essa in procinto di morire, si risolve a confessare ad Albert, migliore amico del marito e loro testimone di nozze, di essere in realtà sempre stata innamorata di lui. Investito da questa dichiarazione, Albert si convince di essere stato anche lui sempre innamorato di Sandra e non della propria moglie, Margaret. Ebbro di questo nuovo sentimento, racconta tutto a Margaret, cercando di convincerla che non si sono mai realmente amati. Quattro esseri umani al tramonto della vita si scoprono improvvisamente loquaci, ansiosi di discettare sulla natura del vero amore e di scavare nella memoria di piedi sfiorati e proposte licenziose forse solo immaginate. Combattuti tra la sete di cambiamento e la speranza che ci sia “qualcosa di eterno in questo immenso e mutevole universo”.

vyrypaev
Carolina Cangini, Kristina Likhacheva, Jacopo Trebbi e Teodoro Bonci del Bene (che dello spettacolo è anche regista) sono seduti in mezzo al pubblico e ci porgono frammenti di storie in terza persona, dando voce a un personaggio e poi scambiandosi i ruoli. Non ci sono dialoghi, solo soliloqui in cerca di un ascolto complice. La prospettiva è in soggettiva, ma la tentazione di affezionarsi a un punto di vista continuamente frustrata dal riaffiorare di un nuovo ricordo o dettaglio. Fedele alle scelte operate da Vyrypaev stesso quando ha allestito Illusioni al Teatr Stary di Cracovia nel 2013, Bonci del Bene concentra la composizione registica sul flusso verbale, accompagnandolo con discrete variazioni di luce e suono. Danny, Sandra, Albert e Margaret sono voci senza corpo, che si contorcono inconsapevoli di se stesse e dei propri desideri.

All’opposto della passione che in Euphoria (film con cui Vyrypaev ha vinto il Leoncino d’Oro a Venezia 2006) fa tremare i corpi e scuote perfino il paesaggio, in Illusioni il sentimento amoroso è solo evocato, disincarnato, intellettualizzato. Ecco perché la partitura vocale assume un ruolo fondamentale non solo nel raccontare cosa i personaggi “sentono” in un preciso momento, ma soprattutto nel portare a galla le pulsioni contraddittorie che si sono sedimentate nel corso di una intera vita. È nella voce, nei suoi colori e nel suo ritmo, che dovrebbero materializzarsi la presunzione del possesso dell’altro, l’anelito alla trascendenza e la rigidità delle nostre articolazioni più intime, ma il dettato troppo quotidiano scelto da Big Action Money rischia di attutire questa senile carneficina e di trasformarla in un garbato closet drama dal ritmo un po’ allentato.