GIULIA MURONI | Invecchiare sarebbe di per sé auspicabile, date le alternative. Tuttavia il processo dell’invecchiamento porta con sé angoscia, meste consapevolezze di vacuità e irriducibile solitudine.
Se poi a incanutirsi è l’indefesso seduttore Casanova la faccenda si grava di ulteriori risvolti psicologici, e l’acrimonia nei confronti di chi ancora mantiene le redini del gioco dell’amore si fa pervasiva. Dopo “Dalla parte di Swann” (Proust) e “Non si sa come”(Pirandello) è “Il Ritorno di Casanova” a chiudere la trilogia sull’amore tratteggiata dalla storica compagnia Lombardi-Tiezzi.
L’omonimo testo di Arthur Schnitzler descrive Giacomo Casanova in piena decadenza, reso malinconico dall’arrivo della mezza età e dall’illanguidirsi dei sensi. Nel percorso verso Venezia Casanova trova ospitalità da una coppia di vecchi amici, Olivo e Amalia. I coniugi lo accolgono affettuosamente e Amalia, che era stata sua amante, confessa il desiderio di passare la notte in sua compagnia ma l’attenzione di Casanova è stata catturata dalla giovane nipote dei due, Albertina, studentessa di matematica e filosofia. Lo sguardo della ragazza in sua direzione è educato ma tuttavia distaccato, privo di qualsivoglia interesse erotico-passionale. Il vecchio seduttore accusa con protervia lo smacco di questa indifferenza e riesce a trovare con l’inganno un modo per giacere con lei a sua insaputa, sfruttando un debito finanziario contratto dal bell’amante di Albertina, Lorenzi.
Visto al Teatro Gobetti, nel cartellone della Stagione del Teatro Stabile di Torino, Sandro Lombardi nelle vesti di un imbolsito Casanova dialoga con un personaggio mascherato, si apre alla narrazione delle sue trasformazioni, intravedendo il crepuscolo dei propri impulsi e la freddezza che oramai muove nelle giovani donne. Seduto intorno a un tavolo rotondo, è il solo illuminato frontalmente, il suo interlocutore resta a lungo laterale e sul fondo della scena le ombre dei musicisti si stagliano su un fondale sempre colorato. Si riconferma la sapienza pittorica di Federico Tiezzi nel dipingere la scena, in profondità il colore varia con intensità dal blu al rosso, all’arancio; alcuni candelabri spenti compongono un interno borghese. Il raccontarsi di Casanova-Lombardi assume le forme di un melologo, in cui gli snodi emotivi vengono accentuati dai suoni sulla scena (xilofono, violoncello, piccole percussioni). Nella seconda parte il suo interlocutore mascherato smette i panni della controparte muta – quasi un riflesso allo specchio – e diventa il prestante Lorenzi, in poche battute condotto alla morte.
Federico Tiezzi negli anni Ottanta per definire il proprio lavoro con Sandro Lombardi aveva coniato l’espressione di “teatro di poesia”, ossia un teatro nel quale si trovasse un rinnovato incontro dei linguaggi scenici – spazio parola musica e attore- assumendo così il compito poetico come dispiegarsi antinarrativo di segni del reale, parimenti alla poetica cinematografica di Pasolini. Dichiarando il teatro “recitazione visibile” il tentativo è stato quello di affermare la scrittura scenica come scrittura di immagini drammatiche in movimento, tra le quali assume una decisa rilevanza quella di Sandro Lombardi che, appropriandosi di questa idea di teatro, la traduce in un atteggiamento operativo dell’attore. Il processo si piega ad una vivisezione dei passaggi di un testo poi ricomposto in partitura rigorosa e agito sulla scena con rinnovata spontaneità e naturalezza.
Si riconfermano le costruzioni teoriche alla base del lavoro della compagnia: la presenza scenica di Lombardi rivela la misurata e millimetrica composizione gesto-parola come proiezione e emanazione consapevole dello sguardo registico di Tiezzi presente e interrogante, oltre che affastellato di numerose suggestioni pittoriche.