MILENA COZZOLINO | Il teatro è scrittura sull’acqua: è un modo di dire che ne indica una qualità intrinseca
all’estrema caducità, al suo farsi e disfarsi come un’onda, che nel movimento si porta immediatamente in prossimità della vita. Nessuno meglio di William Shakespeare è riuscito a farsi così prossimo all’essere cangiante e mutevole dell’esistenza, forse per questo il Bardo è per noi l’uomo di teatro per eccellenza, quello la cui fama ha superato ogni confine. Così grande nel suo genio, da vedere addensato su di sé uno dei grandi misteri dell’umanità che ne riguarda l’identità e la fecondità letteraria. Ruggero Cappuccio, nel suo Shakespea Re di Napoli raccoglie l’aura misteriosa del drammaturgo inglese e ne produce una storia carica di vitalità letteraria, tale che a 20 anni dalla prima messinscena – rimasta immutata, se non per l’età degli interpreti, sempre gli stessi Ciro Damiano e Claudio Di Palma – conserva in termini di senso e bellezza tutta la sua forza espressiva. Così lo vediamo tornare in scena dopo 10 anni al Teatro Nuovo di Napoli.
Il mistero di Shakespeare, a Cappuccio giunge da lontano, da Oltremanica. Da quell’Inghilterra, che nel suo testo diventa «l’Anglaterra», i termini risuonano di lontananza in una lingua, quella partenopea del ‘600, che ha dentro il mare, come quella inglese. Dal mare, queste lingue liquide di poesia, traggono la loro ricchezza. Napoli come Londra: sono due terre di teatro. Lo sa bene Desiderio, che a Napoli è nato e a Londra è vissuto e ha lavorato, proprio al fianco di William Shakespeare.
Nella terra d’origine, che gli ha insufflato dentro il teatro come un germe congenito, torna per morire. Si reca nella casa dell’uomo che lo ha cresciuto, Zoroastro, comico e alchimista, un po’ imbroglione, come lo sono spesso sia i comici sia gli alchimisti. Desiderio, giunto a casa, racconta la storia incredibile che lo ha visto protagonista, quando a 16 anni, in una notte di Carnevale, il Bardo in persona si presentò al palazzo reale di Napoli e il re gli concesse di prendere, sotto mentite spoglie, il suo posto per una notte. Allora tutti i giovani comici furono inviati al cospetto del re del teatro, per presentare i loro pezzi, ed in quella occasione, proprio a Napoli, la patria dei comici per eccellenza, Shakespeare scelse e portò via con sé il giovane attore che doveva essere capace, per le doti fisiche e attoriali, di interpretare sia ruoli maschili sia femminili, come voleva il costume elisabettiano.
Claudio Di Palma e Ciro Damiano sono interpreti poetici di una messinscena che richiede grande energia, i loro ruoli, dopo 20 anni, è come se li avessero scritti dentro e trovano la giusta misura per dare spazio alla parola barocca di Cappuccio, che è la vera protagonista della vicenda scenica, con la sua capacità creativa di una realtà immaginaria, restituisce la consonanza tra due mondi teatrali lontani, separati e uniti dal mare.
L’autore che dell’opera è anche regista fa rimbalzare la sua lingua pregna di teatro su una scena scarna, dove campeggiano una botte carica di maschere teatrali e un focolare male in arnese. Su quella stessa scena c’è anche un misterioso forziere che Desiderio ha portato con sé nel suo ritorno a casa. Nel forziere è custodito il mistero dell’incontro tra le due città.
Trasportato dall’acqua del mare, al suo interno sono stipati i 154 sonetti che il Bardo dedicò ad un fantomatico attore giovinetto, fonte d’ispirazione delle sue opere per bellezza e talento. Là, in quelle carte bagnate e illegibili vi è tutta la purezza dell’ispirazione poetica. Dedicati ad un certo W. H., che sta probabilmente per Will Hearth, che nella nostra lingua suona come desiderio del cuore o cuore del desiderio, il protagonista della vicenda che di quel desiderio porta il nome e nel cuore conserva la poesia della sua terra e di un’altra lontana, ne rivendica la dedica.
La poesia è anche nella lingua di Cappuccio come musica del teatro pronta a rimbalzare con l’immagine e ad alleggerirne il peso. Le musiche di Paolo Vivaldi invece si interpolano alla parola con una tessitura forse dal sapore troppo moderno e dal profumo orientale, che ricorda le orchestrazioni di Ryuichi Sakamoto, creando però un interessante contrasto evocativo.
Come evocativa è la scena su cui si muovono gli interpreti, che nella recitazione fondono i termini della commedia dell’arte con quelli della tradizione scespiriana. Da Pulcinella a Otello, Claudio Di Palma diventa un saltimbanco che riempie il palco con figure e volteggi, a cui forse un palcoscenico più grande avrebbe reso una maggiore efficacia rappresentativa.
I due protagonisti discutono a lungo sul racconto di Desiderio, sulla verità e la menzogna, che poi è il dibattito antico tra la vita e il teatro. Tra alterchi e scaramucce, saggi di commedia dell’arte e versi inglesi, scherzi da commedia degli errori dal sapore di tragedia, ci rendono la cifra del barocco, che affiora visivamente nelle immagini che sono dei veri e propri quadri, grazie ai tagli di luce di Giovanna Venzi, che restituiscono istantanee di quei caravaggeschi della scuola napoletana, la cui fama si allargò a misura d’Europa.
Così lo spettacolo termina incorniciando proprio il corpo morente di Desiderio, come in un quadro di Caravaggio, consumato forse dalla peste come accenna il testo, o più probabilmente arso d’amore dalla malattia del teatro che consuma di desiderio corpo e cuore, consacrandoli all’arte.
Shakespea Re di Napoli
drammaturgia e regia Ruggero Cappuccio
aiuto regia Nadia Baldi
con Claudio Di Palma, Ciro Damiano
musiche Paolo Vivaldi
scene e costumi Carlo Poggioli
luci Giovanna Venzi
produzione Teatro Segreto