MATTEO BRIGHENTI | A teatro anche la matematica è un’opinione. Janina Turek, una casalinga di Cracovia, dal 1943, quando i tedeschi arrestano suo marito e lei è al quinto mese della loro prima figlia, al 2000, quando muore d’infarto a 79 anni, ha annotato senza interruzioni tutti i suoi fatti personali. 748 quaderni per una vita di colazioni, pranzi, cene, visite, incontri, persone, regali, programmi televisivi, film, senza opinioni soggettive né facendosi influenzare dalla Storia che le passava accanto. Reality di e con Daria Deflorian e Antonio Tagliarini rende quella realtà un racconto da mera contabilità che è, perché le dà un punto di vista e un pubblico. L’inchiostro blu scuro e la grafia sempre uguale di Janina nello specchio della scena assumono le sfumature dei successi e degli ironici fallimenti dell’interpretazione di Deflorian e Tagliarini, intendendo qui sia il tentativo di risalire al senso dei quaderni che il modo con cui interpretano la sua parte.
Ispirato da un reportage di Mariusz Szczygieł, Reality nasce nel 2012 all’interno del Progetto omonimo di cui fa parte anche l’installazione/performance czeczy/cose del 2011. Per questo lavoro Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu 2012 come miglior attrice protagonista. Un teatro di narrazione sugli oggetti di una vita e sulla vita di questi oggetti in cui lo spettacolo si fa nel discutere su come farlo: parlare su un palcoscenico è già di per sé agire. Un dispositivo narrativo centrato sul presente, sul qui e ora, sulla contestualità delle esperienze, che ritorna anche nel successivo Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni del 2013 sui sucid(at)i della crisi economica, Premio Ubu 2014 come miglior novità drammmaturgica.
All’ingresso in sala il palcoscenico è completamente illuminato. Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono seduti su una fila di sedie a sinistra. Ci guardano, si guardano e si parlano all’orecchio come facciamo noi con i nostri vicini di posto. Accanto a loro un tavolino basso con tazze e piattini, un tavolo con un vaso di fiori, dei piatti e una mela. Una coperta, una borsa, una busta, uno zerbino e una cassetta per la scopa sono le altre cose che compongono una scenografia altrimenti scarna come i fatti registrati da Janina Turek. La fa da padrone il palco nella sua nuda solennità, punteggiata da 7 piantane che accendono tutte le strade e i modi possibili per ricostruire le settimane della casalinga grafomane.
Non c’è il sipario, non c’è per gli attori il momento dell’entrata nel personaggio né per gli spettatori quello del loro ingresso in scena, c’è soltanto la luce in platea che cala fino al buio. È il segnale che l’attenzione deve focalizzarsi lassù, dove accade Reality, mentre noi lo vediamo accadere da quaggiù. Ma, a pensarci bene, anche Deflorian e Tagliarini assistono alla messinscena dello spettacolo, la guardano succedere come ha fatto Janina Turek con la sua vita, dal momento che scriveva sempre in terza persona. La metateatralità è allora uno strumento per farci sentire tutti attori e allo stesso tempo spettatori, per immedesimarci non solo in Janina, ma soprattutto nell’azione di vivere e guardarsi vivere, ripetutamente, per 57 anni.
Si comincia con l’immaginare il giorno della sua morte, ricostruito con una busta per una finta spesa e una coperta a nascondere un cadavere inesistente, per poi passare a quando Janina avrebbe deciso di tenere un diario, nella finzione teatrale sullo zerbino di casa con la borsa in mano. Ogni oggetto è legato a un evento, ogni evento è un frammento di vita da ricordare o inventare, come in Roberta cade in trappola, l’ultimo esito di Cuocolo/Bosetti. La tazza di caffè è una tazza di caffè, ma è anche la mattina in cui Janina l’ha lanciata contro il muro: Deflorian non la lancia, finge di farlo, mentre Tagliarini va a prendere dei cocci, li butta per terra e poi li raccoglie con la cassetta. Un’azione che non si vede eppure c’è, non esiste eppure colma i vuoti delle annotazioni di Janina Turek: questo è il teatro di Reality.
“Vedi – dice Daria Deflorian – uno legge le registrazioni, ma pensa immediatamente al buco”. E Antonio Tagliarini domanda: “Cos’è un buco? È il vuoto? Quella parte scura che non si vede? O è tutto quello che c’è intorno che crea un buco?” Janina scriveva di sé e per sé, nessuno sapeva dei diari (proprio la prima figlia, Ewa, li ha scoperti per caso aprendo un armadio dopo la morte della madre), né tantomeno delle cartoline, mai spedite, a cui rivelava i segreti più reconditi del suo animo: “Vivo o fingo di vivere? Tutti questi appunti, queste statistiche non sono un modo per ingannarmi? Se smettessi di scrivere dovrei ritornare a me stessa”.
La realtà è il mondo che esiste nei nostri occhi. Reality è il mondo di ciò che non siamo, ritagli di possibilità nella ripetizione sempre uguale dei giorni.
Reality
a partire dal reportage di Mariusz Szczygieł “Reality”
ideazione e performance Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
disegno luci Gianni Staropoli
consulenza per la lingua polacca Stefano Deflorian, Marzena Borejczuk, Agnieszka Kurzeya
collaborazione al progetto Marzena Borejczuk
organizzazione Anna Pozzali
comunicazione PAV
promozione e distribuzione internazionale Francesca Corona
produzione A.D., Festival Inequilibrio/Armunia, ZTL-Pro
con il contributo della Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali
in collaborazione con Fondazione Romaeuropa e Teatro di Roma
Visto giovedì 10 marzo al Teatro Cantiere Florida, Firenze, all’interno della rassegna ‘Materia Prima’.