BENEDETTA BARTOLINI | Il genio e il ritardato mentale, due intelligenze diverse. L’una si esprime per eccesso, attraverso l’ingegno, il talento naturale, la cultura; l’altra ha il difetto opposto di non arrivare ad esprimersi affatto. Due estremi, ma che nel loro adattarsi alla società incontrano gli stessi ostacoli e le stesse discriminazioni.
In Charlie Gordon le troviamo entrambe, dapprima la disabilità mentale congenita e poi la genialità indotta da esperimenti scientifici di cui è la cavia. Charlie è il protagonista de Il labirinto, spettacolo diretto e interpretato da Lello Serao e con Alessia Sirano, andato in scena il 7 marzo per la rassegna di teatro in appartamento diretta da Manlio Santanelli, Il Teatro Cerca Casa. Attraverso il ripercorrere i vari avvenimenti susseguitisi nel corso della vita di Charlie, ci ritroviamo all’interno del suo labirinto di pensieri ed emozioni. Un labirinto anche di luoghi, poiché il salotto di casa Santanelli diventa sia la casa di Charlie che l’aereo su cui ha paura di volare, che il lettino del dottore dove lo porta la madre per farlo diventare una persona intelligente.
Lo spettacolo si costruisce in un ambiente essenziale (il labirinto del topo Algernon, una sedia e un tavolino pieno di libri), a riempire lo spazio è soprattutto l’interpretazione, che mette in luce pienamente tutte le sfumature di una pluralità di temi sempre attuali e spesso ignorati. Il regista Lello Serao, anche protagonista del racconto scenico, si fa interprete di ben due ruoli: quello di Charlie Gordon genio e quello di Charlie Gordon ritardato. Alessia Sirano lo accompagna ricoprendo con grazia e buona misura i diversi ruoli femminili. La storia, che a sua volta è ispirata al celebre romanzo Fiori per Algernon di Daniel Keyes, è ambientata alla fine degli anni ’50 in America, epoca in cui cominciava a divenire fondamentale l’immagine del benessere della perfetta famiglia americana. Ma in questo caso dietro l’immagine stereotipata della famiglia voluta da una madre violenta e insensibile, c’è Charlie, un ritardato mentale. Charlie non riesce a parlare e a scrivere correttamente, sta su una sedia a rotelle, si piscia addosso durante la visita del dottor Strauss, non è come gli altri. Ma Charlie è anche consapevole del fatto che questa sua diversità non è accettata da nessuno. Soprattutto da sua madre.
Tutto questo però ce lo racconta il Charlie genio, quello del dopo operazione dei professori Nemor e Strauss. È il Charlie un po’ claudicante, ma che riesce a citare interi versi di celebri poemi, ad avere una relazione d’amore con la sua insegnante Alice Kinnian e persino a battere il suo compagno genio, il topo Algernon, nella soluzione del labirinto. Charlie dovrebbe essere felice, ma di fatto non lo è. È diventato troppo intelligente, tanto da capire che la cultura dei professori che frequenta è una cultura accademica, sterile e ristretta. Intelligente tanto da capire che nemmeno la sua genialità è accettata dagli altri, che adesso lo additano come superbo e difficile da comprendere. Intelligente a tal punto da sapere che la sensibilità primordiale e animale di Algernon gli è molto più vicina di quella “umana” dei dottori Nemor e Strauss, che invece continuano a trattare le due cavie come meri mezzi per i loro successi scientifici. Charlie è passato dalla consapevolezza del non essere abbastanza, a quella dell’esser troppo. Grazie alla sua intelligenza riesce persino a comprendere gli errori degli esperimenti dei dottori, i cui effetti vedrà poi lucidamente e tragicamente manifestarsi prima su Algernon e poi su sé stesso.
La riscrittura di Giuliano Longone articola in modo complesso una storia dai vari spunti di riflessione, intersecando i diversi piani narrativi con la tecnica del flashback: dal problema dell’emarginazione dei diversi, a quello della barriera tra la comunicazione interiore ed esteriore, dal problema della genitorialità a quello dei limiti della cultura che si disumanizza nel proprio autocompiacimento. Ciò che in Charlie non cambia mai e che quindi accomuna i due tipi di intelligenza “fuori del normale”, è l’esser incompreso pur comprendendo e soprattutto sentendo il proprio disagio con gli altri. Poiché per comprendere non è sempre necessario un grande quoziente intellettivo, ma serve una sensibilità diversa che vada al di là del labirinto concettuale che ci viene imposto.
La regia di Serao, nell’essenzialità della scena, mette in rilievo proprio la forza dei pensieri e dell’umanità di Charlie nonostante tutto quello che subisce. Nell’interpretazione del testo e nella scelta dei movimenti scenici trova una chiave poetica per raccontare il disagio: la delicatezza è la cifra dello spettacolo, sia che esso debba trasmetterci l’entusiasmo nel citare libri di Charlie, che l’angoscia per la consapevolezza della sua tragica morte, percepiamo la costante umanità dei sentimenti. Il labirinto è uno spettacolo che ci fa sentire il dolore di un uomo che non vede accettata né la sua disabilità né la sua troppa abilità, il suo essere sempre sempre immeritatamente escluso.
Il labirinto
drammaturgia Giuliano Longone
con Lello Serao e Alessia Sirano
regia Lello Serao