ROBERTA ORLANDO | Tutti invitati a una festa di compleanno. Lo capiamo dai regali, dal buffet e dalle decorazioni presenti nel salotto/palcoscenico di Villa Freudenbach.
Un arredamento ricco: poltrone, un divano, alcune lavillampade accese che scaldano l’atmosfera della sera, un tappeto colorato, persino un pesce rosso in una vaschetta. Alle pareti sono appese diverse cornici di legno (vuote). Sono le cornici intagliate a mano da Andrej, unico maschio della famiglia, cresciuto con le sue Tre Sorelle. Si potrebbe pensare di assistere al classico di Cechov (1900), se non fosse che lo spettacolo si apre con la musica di David Guetta. Eppure eccole lì: Maŝa (Emilia Scarpati Fanetti), vestita di nero, balla con Irina (Eva Cambiale), in abitino bianco. E poi arriva anche Olga (Federica Santoro) nel suo cardigan blu, a lamentarsi degli allievi del suo liceo, tutti ragazzini stupidi destinati al fallimento.

Tre atti per tre compleanni (falliti, come da sottotitolo della pièce), un anno dopo l’altro, nello stesso soggiorno, con le stesse persone.
La festeggiata è sempre Irina, personaggio particolarmente rappresentativo della generazione 2000. Piena di aspettative al punto da risultare snob e viziata, cambia facoltà universitaria ogni anno e respinge gli uomini, che reputa tutti “vuoti” e indegni. Pigra e facile vittima della noia, passa intere mattinate a letto a pensare, ritenendo che ciò la elevi al di sopra degli altri.
Il personaggio di Maŝa si discosta per certi versi da quello Cechoviano, racchiudendo alcuni dettagli dell’originale Irina: in questo caso è lei la sorella minore, ancora aggrappata alla speranza di emanciparsi attraverso il lavoro, seppure sia già sposata a un uomo che non ama e da cui non vuole avere figli (al punto da assumere contraccettivi di nascosto). Notevole l’interpretazione della Scarpati Fanetti, molto a suo agio in questo ruolo in cui momenti di rassegnazione e polemica spietata si alternano a stati di positività, come barlumi in una vita repressa.
Non dissimile è la repressione di Olga, che vive per inerzia e si sente protetta dal fatto di essere l’unica della famiglia ad avere una professione, anche se la odia. Ha rinunciato all’amore e a ogni possibile cambiamento. L’eccellente lavoro di caratterizzazione del personaggio della Santoro dà vita a una Olga ironica e un po’ nevrotica, come suggeriscono gli scatti d’ira e la leggera balbuzie.
Andrej (Gabriele Portoghese) è un aspirante artista, dallo sguardo stralunato e le idee un po’ confuse, parodia del radical chic dei giorni nostri. Non fa altro che lavorare a un romanzo da un tempo indefinito e si innamora di una donna “povera” (la interpreta Carolina Cametti, aggiungendo comicità alla scena), dimostrando alle sorelle di saper andare oltre le apparenze. Ognuno, insomma, sembra trovare una scusa per sentirsi migliore dell’altro.
A sanare questa dinamica famigliare e a spezzare un po’ la routine della casa (oltre che la sua), arriva Georg (Roberto Rustioni, regista dello spettacolo), personaggio ispirato al Verŝinin di Cechov. Un uomo apparentemente ottimista e diverso dagli altri (lo capiamo dal suo linguaggio aulico e un po’ antico, che risulta comico) ma di fatto rassegnato a un matrimonio infelice con una moglie depressa e a un lavoro mediocre, tenta una via di fuga attraverso un amore che intravediamo appena e che viene subito soffocato dalla stessa paralisi che caratterizza gli altri.

Rustioni mette in scena un testo efficace della berlinese Rebekka Kricheldorf (tradotto da Alessandra Griffoni), che ha riscritto Cechov rispettandone l’autenticità, e consegnandoci un’ennesima prova della contemporaneità di questo autore. Forse è perché, citando Maŝa, “le persone non cambiano” che riusciamo a riconoscere ancora oggi le Tre Sorelle di un secolo fa? Avrà ragione Andrej nel dire che siamo tutti materiale da riempimento in attesa di qualche genio che ogni tanto nasce? Qual è la vera piaga per l’uomo, la mancanza di opportunità o una pigrizia disarmante? Tutte domande che ci si pone durante questo spettacolo, ma a cui certo i nostri personaggi non trovano risposta. Si discutono e si osservano le prospettive generazionali, per lo più stroncate da un’immobilità di comodo, il vittimismo delle persone che vogliono attirare l’attenzione, la rassegnazione prima del tentativo. I temi della solitudine e della noia sono quelli che donano maggiore drammaticità allo spettacolo, che però riesce a non affondare nella pesantezza, se non in alcune scene, per il ridondante ricorso all’alcol.

Si tratta del secondo lavoro di Rustioni su Cechov (dopo i Tre Atti Unici, visti sempre al Parenti), ideato per il progetto Fabulamundi Playwriting Europe 2014. E anche qui il regista dimostra di saper fare del palcoscenico (attraverso un uso accurato dello spazio scenico) un ambiente accogliente e reale, come nell’appartamento del suo Being Norwegian.

 

VILLA DOLOROSA
Tre compleanni falliti

di Rebekka Kricheldorf  – liberamente tratto da Tre sorelle di Čechov
traduzione Alessandra Griffoni
adattamento e regia Roberto Rustioni
con Eva Cambiale, Carolina Cametti, Gabriele Portoghese, Roberto Rustioni, Federica Santoro, Emilia Scarpati Fanetti luci e allestimento scenico di Paolo Calafiore assistente alla regia e alla drammaturgia Gabriele Gerets Albanese
Produzione Fattore K. in collaborazione con Associazione Olinda Onlus e Cadmo/Le Vie dei Festival  – progetto ideato nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe 2014 – residenza Carrozzerie n.o.t.