FILIPPA ILARDO | In un’assolata Catania che regala una delle sue prime giornate di primavera, incontriamo Giovanni Anfuso, da poco designato Direttore del Teatro Stabile. Sarà forse per la complicità del clima -che predispone ad avvertire quella certa aria di rinnovamento-, la conversazione segue un percorso che finisce per essere un “ascolto” reciproco, nell’intenzione del nostro interlocutore un atteggiamento, prima ancora che un programma. È da qui che intende ripartire il nuovo direttore per rilanciare il ruolo dello Stabile: un atteggiamento di disponibilità, di indagine, di curiosità verso l’intero mondo culturale della città da cui farsi compenetrare, permeare, contaminare. Così prima ancora che ci siano delle domande e delle risposte, Giovanni Anfuso ha già enunciato le linee programmatiche del suo incarico:
“In una situazione economica difficile, con cui bisognerà necessariamente fare i conti, sarà importante farsi interpreti di un disperato bisogno di cambiamento. La nostra funzione deve essere quella di pungolare il pubblico per ricevere un orientamento, consapevoli del fatto che non ci sono soluzioni definitive. Una progettualità e un orientamento possono nascere solo per tentativi, per percorsi, per ipotesi e possibilità, procedendo per innamoramenti e corrispondenze. L’obiettivo è quello di rifecondare il territorio riaprendo il dialogo con la città: tocca a noi fare il primo passo.”
Esiste un’identità del teatro catanese? Se si, questa deve essere salvaguardata o superata?
“Esiste una generazione di “mostri sacri” del teatro che hanno contribuito a creare un’identità del teatro catanese, nei confronti della quale abbiamo un grosso debito morale. Guardo con rispetto a quelle generazioni di attori e di lavoratori che, in questi anni tristi, hanno permesso, con responsabilità e dedizione, di aprire il sipario ogni sera. È evidente tuttavia che ci sia stata un’eccessiva fidelizzazione a certe forme, ad un certo repertorio, il che ha costituito un impoverimento. Non si può certo nascondere che il dato economico ha attanagliato le scelte, tuttavia le mancanze di orientamento e di gusto hanno portato ad una sterile ripetitività. Il mio sguardo si posa anche su quel serbatoio di giovani di cui è ricca la nostra realtà, in particolare un nutrito patrimonio di attrici che vanno valorizzate. Penso quindi ad un teatro che parla alle donne e che nasce femmina, ad una drammaturgia cucita addosso alle nostre attrici e che recuperi un’idea sartoriale del fare teatro.”
Questo incarico giunge in un momento in cui l’attenzione e il dibattito riguardanti il Teatro Stabile di Catania sono alti.
“Che ci siano molte aspettative non può che essere un dato positivo, tuttavia, con un pizzico di amarezza, aggiungo che, in una situazione di estrema difficoltà, maggiore solidarietà non sarebbe stata sgradita.”
Nel nuovo progetto culturale del Teatro Stabile di Catania, quale spazio sarà rivolto al Contemporaneo?
“Non sono per la settorializzazione del teatro, delle sue forme e del suo linguaggio. Ogni compiuta opera d’arte contiene in sé innovazione. Certamente ci sarà molta apertura verso i nostri tempi, ma non ci saranno classificazioni: se per contemporaneo si intende un guardare al teatro in modo innovativo ci sarà certamente tanto spazio.”
Come risolvere il problema dello scollamento con il pubblico, soprattutto giovanile, con quali realtà si cercherà di costruire un dialogo?
“Con l’Università si è già avviato un dialogo costruttivo e si stanno progettando forme innovative di teatro in spazi non-convenzionali. Bisognerà aprire un dialogo organico con tutte le scuole, volto alla creazione di un tavolo permanente di progettazione. Con i Licei si avvierà il progetto “criticoX1giorno” aprendo uno spazio di visione critica dello spettacolo.”
Ci sono delle scelte dell’uscente Direttore Artistico Di Pasquale che non rifaresti?
“Ogni giudizio non può prescindere dalla considerazione della difficile situazione economica in cui ha lavorato il collega Di Pasquale, con tagli in corso d’opera che hanno stravolto interi cartelloni e reso impervia la sua attività. Tuttavia è certamente mancata una progettualità che tenesse in maggiore considerazione realtà importanti per radicarsi nel tessuto vivo della città. È un gap che l’intera città ha accumulato in cui si sono persi un pubblico e un gusto.”
Parliamo di I-art, manifestazione di cui sei stato direttore artistico: molti hanno criticato un dispendio eccessivo di fondi rispetto alla presenza del pubblico e all’effettiva qualità degli eventi. Qual è il tuo bilancio personale di questa iniziativa?
“Il progetto già elaborato da Comune e Regione su Fondi Europei, nel 2010, è stato fermo fino al 2014. Quando io sono stato chiamato, ho trovato un Decreto Assessoriale che definiva cifre e attività. Nei margini della libertà lasciatami, ho cercato di creare un grande indotto che da aprile a settembre ha permesso 56 giornate di spettacolo, con circa 816 artisti coinvolti (attori, danzatori, artisti visivi, cantanti, musicisti…). In quel caso siamo stati costretti a sperimentare con altri Enti (Università, Accademia delle belle Arti, Teatro Massimo Bellini) un coordinamento, una cabina di regia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: abbiamo massimizzato il successo, ridotto i costi, diversificata l’offerta culturale e ampliato i servizi.”
Secondo le recenti normative, lo Stabile di Catania, è stato riconosciuto come TRIC e non come Teatro Nazionale. Quali prospettive si potrebbero aprire per rientrare nei parametri previsti?
“Mi pare naturale un collegamento con le città di Messina e Siracusa, in particolare l’Inda, con le quali ragionare sulla base di progetti e collaborazioni, in una visione più ampia del territorio, stabilendo nuove forme di aggregazione e gestione. Pensiamo poi alle imminenti aree metropolitane e a centri come Piazza Armerina e Gela, che hanno importanti teatri ed hanno scelto di aderire all’area metropolitana di Catania. In un contesto simile gli scenari che si possono aprire sono molteplici.”
Riguardo alla Scuola d’Arte Drammatica dello Stabile, ci sarà un nuovo orientamento?
“L’intera scuola deve essere ripensata, ri-orientata sulla base di una maggiore contaminazione e con più attenzione alla autorialità e all’interdisciplinarietà. Anche qui sarà necessario creare alleanze, ad esempio con l’Accademia delle Belle Arti.”
Ritieni giusto che un direttore artistico finanzi le proprie opere, non c’è conflitto di interesse?
“Io penso che un direttore artistico non possa e non debba perdere il contatto con la materia creativa, altrimenti si trasformerebbe in un freddo burocrate, con una distanza che finirebbe per svilire il suo stesso lavoro. L’importante è creare sinergie e collaborazioni.”
Continuiamo poi ancora a parlare. Per un po’. E quasi, parlando, mi accorgo di aver messo per un po’ a dormire “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge” e mi lascio appena accarezzare dall’idea di cambiamento che sembra affiorare tra le parole del neo direttore Anfuso.
Lo terremo d’occhio e lo monitoreremo.