RENZO FRANCABANDERA | Ultimi due mesi e a Milano arrivano due produzioni targate Emilia, quell’Emilia che si trova poco dopo il confine con la Lombardia e che per alcuni anni era uscita un po’ dalla geografia della circuitazione teatrale. Sicuramente aveva resistito Teatro Due con quella sua doppia natura di istituzione attenta al linguaggio dell’età giovane e le produzioni, con un’attenzione al classico. Ma da tempo l’istituzione cercava un’intelligenza giovane con cui confrontarsi e a cui affidare forse qualcosa in più della semplice regia estemporanea. Ne è testimonianza la nuova produzione, Fool for love, che debutta in questi giorni a Parma.
Diverso dal realismo magico di Aldrovandi, quello neorealistico che Fulvio Pepe propone a Teatro Due con Gyula, una piccola storia d’amore (ospitato a Milano al Teatro dell’Elfo). Il drammaturgo-regista formatosi con un percorso d’attore alla Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova, fa un doppio salto mortale, debuttando in questa produzione coraggiosa come drammaturgo e regista a teatro. Al cinema invece (dopo un’interessante percorso ibrido fra palco e tv) ricordiamo la vittoria nel 2008 al Torino Film Festival nella sezione cortometraggi con A chi è già morto a chi sta per morire, da lui scritto e diretto.
Da anni in ambiente parmense, Teatro Due ha deciso di dare la possibilità di una prova di maturità che ha consentito all’attore di rovesciare completamente il suo punto di vista, portandosi alla guida di una compagine d’esperienza e qualità, diversi da sempre legati a Parma, con alcuni interessanti inserti, e composta da Ilaria Falini (Gyula), Orietta Notari, Gianluca Gobbi, Enzo Paci, Alberto Astorri, Nanni Tormen, Ivan Zerbinati, Alessia Bellotto, Pietro Bontempo, Laura Cleri, Massimiliano Sbarsi.
E’ la storia di un ragazzo con alcune disabilità cognitive e motorie, curato con vivace dolcezza dalla mamma Eliza, che vive in una Russia assoluta, una periferia cechoviana, abbandonata dalla possibilità concreta di scambio con il mondo esterno, che infatti avviene per mezzo della radio, con cui la comunità, seguendo l’unico canale disponibile, viene informata sul mondo. Ma sopratutto ascolta la musica classica, unico passatempo per Gyula prima che gli venga offerto un magnanimo posto di lavoro nella vecchia falegnameria. Una comunità di lavoratori esausti che si incontra al bar, dove non si va troppo per il sottile, in una parata di umanità semplice: gli operai e il capo cantiere, il tranviere e il barista, l’ubriacona e il violinista con l’artrite alle mani, sposato con Tania. Ed è il violinista, in un interessante (sia scenicamente che drammaturgicamente) conflitto con il giovane disabile, a costruire di fatto la trama. Prima cercando di soffiare il posto in falegnameria al ragazzo, poi in un finale ricco di pathos, in cui Gyula viene chiamato al quiz radiofonico e come in Million Dollar Baby rovescia il destino suo e della comunità. La prova corale è positiva, ben riuscita, anche nel neorealismo scenico cui si adopera con intelligenza Mario Fontanini, coadiuvato dalle sempre belle luci di Pasquale Mari. E’ un piccolo mondo antico, che vive di poco, in un villaggetto di umanità di confine, un confine che potrebbe essere dovunque, ma è in molte nostre esistenze, in qualche tempo del nostro vissuto. La cosa interessante di questo testo (e per molti versi anche della sua declinazione scenica), infatti, è il suo descrivere personaggi che sono sfaccettature di anima, possibili declinazione dell’indole umana, dall’ingenuità alla frustrazione, dalla generosità alla cattiveria, dall’invidia all’altezzosità, dal cinismo alla bontà.
Finisce bene, e lo si capisce già da qualche battuta prima del finale, con il capo della falegnameria che fa il filo in modo un po’ grasso alla mamma di Gyula, ma un finale drammatico non avrebbe stonato, anzi, quasi l’abbiamo sperato per un po’, in una costruzione possibilmente shakespeariana in cui la notizia della salvezza arriva dopo l’omicidio. Il sottotitolo già fa intuire che qui si voglia far prevalere la speranza. Ed è un finale che in fondo nulla toglie al grosso lavoro di allestimento e anche di interpretazione (bravissima la Falini, ma tutti contribuiscono alla nota di realismo magico della favola).
Una buona prova di Pepe che infatti, come dicevamo all’inizio, ha subito avuto offerto il bis da Teatro Due. Seguiremo per vedere se lo sguardo lucido di questa prima direzione rimane e in che modo va ulteriormente a proporsi.
realizzazione costumi Simone Jael Hofer, Chiara Teggi
SCUSATE SE NON SIAMO MORTI IN MARE
produzione Ass. Centro Teatrale MaMiMò
in collaborazione con Arte Combustibile
in collaborazione con LaCorte Ospitale – progetto Residenze 2015 /2016
di Emanuele Aldrovandi
con Luz Beatriz Lattanzi, Marcello Mocchi, Matthieu Pastore e Daniele Pitari
regia Pablo Solari
scene Maddalena Oriani, Davide Signorini
sound Designer Alessandro Levrero
locandine Francesco Lampredi
Testo finalista Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” 2015
Spettacolo finalista Premio Scenario 2015
Testo presentato in anteprima in lingua catalana al Festival PIIGS 2015 di Barcellona con il titolo Balenes