ANGELA BOZZAOTRA | La storia è quella di molti individui che la società ha masticato e sputato e quindi si raccolgono ai suoi margini, c’è un pittore storpio che dipinge sempre lo stesso nero quadro e vive in un paesaggio montano (ricorda la storia del serial killer Ferdinand Gamper), sua madre, stralci della famiglia Kovavic del testo originale di Schwab, la signora Cazzafuoco e il suo amante, un impasto di persone nevrotiche e dall’animo sudicio, si inneggia dunque come contrasto ad una presunta santità corrispondente con la morte, il suicidio piuttosto, e invettive antisemite, si spazia da insulti al pubblico a improbabili dialoghi con esseri ittici, con disquisizioni sull’essere-artista e la sua totale inutilità, a dire della figura che da uomo diventa donna e di nuovo uomo che si trova in scena, e che mima dei volatili o si esibisce in innumerevoli tic, per poi porsi come un matto di prim’ordine che canta un’ode al tiramisù (sic).
Questo è un modo di intendere lo spettacolo “post-teatrale”, che non c’entra nulla con il teatro canonico, un tentativo inteso nel suo essere possibilmente fallimentare, una carica di esplosivo che non esplode (non vuole/non può), una scrittura collettiva che rifiuta – apparentemente – l’egemonia registica e si configura come una coralità di intenti e di processi creativi, che si ascrive quale sperimentazione collimante magari nel disgusto, scrittura corporea radicale che causa una certa reazione di difesa/distacco&morbosità/voyeurismo nello spettatore.
Partiamo da un autore maledetto morto il giorno di Capodanno per overdose di alcol come Werner Schwab, in particolare dai suoi Drammi Fecali, e dal laboratorio che parte per iniziativa di Dante Antonelli, che dà il via all’esperienza laboratoriale dello SCH.lab, fino al premio come miglior spettacolo nel 2015 per Fak Fek Fik – Le tre giovani, tratto dal primo dramma fecale, Le Presidentesse; ebbene qui siamo al secondo capitolo della trilogia che non è Sovrappeso, Insignificante, Informe, bensì Sterminio del popolo o il mio fegato non ha senso (1991, di cui ricordiamo l’adattamento di Martinelli/Teatro delle Albe del 2007), re-intitolato ESSE – Santo Subito, qui interpretato da un unico attore, Gabriele Falsetta, anche drammaturgo insieme ad Antonelli e Domenico Ingenito, che recita su un tappeto sonoro originale del compositore Samovar, una costante a quanto pare dello stile di questo gruppo di giovani artisti, i quali di fatto costituiscono un gruppo, lavorando insieme sui testi e sulla messa in scena, forse sarebbe più corretto parlare di mise en espace, visto che non c’è proprio nulla a parte il corpo e lo spazio, nulla di nulla, non un oggetto, non un brandello di scenografia, non un pannello, nemmeno il classico microfono in bella mostra con tanto di asta, proprio niente, solo corpo e voce, spazio: nulla.
Nell’assolo di Falsetta interferiscono dei disegni live di Giovanna Cammisa, una sorta di quadro di cancellature e sovrapposizioni, da osservare attraverso uno schermo, cesura e frattura nel tessuto drammatico, unica pausa di un discorso apparentemente infinito, che tedia nella sua ridondanza e ripetizione ossessiva, (ma questo è propriamente l’effetto che voleva intendersi?), il perturbamento, il disagio, la sensazione di avere a che fare con una devianza che mai si rinviene, un luogo mentale claustrofobico mefitico oscuro, anticamera di avvenimenti atroci, il mix di asocialità schizofrenia dipendenze che attanaglia i personaggi di Schwab (Herrmann è d’altronde il suo alter-ego) assortiti in un unico corpo, forse non troppo esperto per affrontare una prova attoriale di tal fatta, basata sulla resistenza e sulla responsabilità di essere l’unico attore in scena.
Lo sterminio che si cerca è quello del senso e della sua necessità, per andare incontro a questa santa insensatezza, questa liberazione dal pre-giudizio estetico, per creare una simbiosi di testo corpo voce (su quest’ultimo punto c’è da lavorare molto, la tecnica vocale scarseggia in alcuni punti), in una scrittura drammatica che a volte manca di mordente per rintanarsi nel comico, evitando il confronto con la materia drammaturgica originale di maggior complessità; c’è il rischio insomma di una naiveté, di una semplificazione eccessiva, che può diminuire il potenziale dell’ammirevole tentativo (questo è solo uno studio) di Antonelli & co.
ESSE, Santo Subito
Regia Dante Antonelli
con Gabriele Falsetta
Aiuto regia Domenico Ingenito
Assistente regia Domenico Casamassima
drammaturgia collettiva a cura di Dante Antonelli
ambiente scenico Francesco Tasselli
ambiente sonoro Samovar
opere in videoproiezione Giovanna Cammisa
costumi Claudia Palomba
coordinamento Annamaria Pompili
ufficio stampa Marta Scandorza
foto Ugo Salerno
progetto grafico Serena Schinai
visto a Carrozzerie N.O.T., Roma, 7 Aprile 2016