ESTER FORMATO | “Human farm 2020” riprende il titolo dell’orwelliano “Animal Farm” ed alla lontana il contenuto di 1984, declinandolo in un trash televisivo i cui registri interpretativi vengono utilizzati dai tre attori presenti in scena. Massimo Maraviglia ne scrive il testo e Rosa Masciopinto dirige lo spettacolo a cura di Muricena Teatro, giovane realtà partenopea che promuove testi inediti e la valorizzazione di spazi attraverso l’attività artistico-teatrale.
La “realtà” che si cerca di rappresentare sul palcoscenico del Piccolo Bellini di Napoli è quella di due uomini ed una donna vestiti in blu intorno ad uno schermo che trasmette una serie d’’immagini, unico arredo scenico e solo oggetto che possiede il timer affinché non si perda del tutto la cognizione del tempo.
Dopo aver “collegato” con una maschera d’ossigeno allo schermo Gennaro (Antimo Casertano) che su di una sedia a rotelle fa un’inquietante incetta di quelle immagini che scorrono confuse, ci colpisce l’artificiosità del gesto con il quale Teresa (Marianita Carfora) esibisce se stessa. Intuiamo difatti che la quarta parete funge da “telecamera” o quantomeno da vero e proprio schermo globale; una strana vetrina attraverso la quale tutti possono vedere queste tre creature umane confinate in uno spazio claustrofobico dal quale non possono uscire. E difatti quando ad intervalli manca la corrente elettrica, lo schermo, sotto al quale sono incise le lettere HF, si spegne, si bloccano tutte le presunte porte che vanno ad elettricità, ed impazza un’isteria generale fra i tre. Si ha come l’impressione che essi siano umani cibernetici la cui linfa vitale sia la corrente stessa da attingere come vero ossigeno. Lei che a luci spente si leva la parrucca, i seni finti, si stende sul corpo dell’altro che ripetutamente casca dalla sua sedia a rotelle, lasciandoci scorgere dietro la frivolezza un’enorme fragilità, mentre il più giovane  e Elpidio (Raffaele Parisi) che dice di chiamarsi Mario Bros e finge d’esser loro figlio, sviene quando la sua aspirapolvere non funziona più e gli altri si chiedono se sia morto per davvero; torna la corrente, lei torna ad ammiccare, qualche scena si ripete come quella dell’albicocca che grazie ad ultracongelatori si conserva come fresca per mesi, ed un progressivo corto circuito sulla scena e fra l’equilibrio dei personaggi s’insinua sino a che si disvela in conclusione tutta la (loro) realtà. Un diabolico reality, edizione 2020, dal titolo “Human farm” consente a malati terminali di spiattellare in questa presunta e megagalattica televisione, la loro lotta fra vita e morte, lo scatafascio lento del proprio corpo e spirito. Chi resta, chi muore per ultimo, chi supera il televoto, vince, regalandosi una “serena eutanasia”.
La caratteristica principale di questo spettacolo è senza dubbio la tessitura drammaturgica che ci procrastina il disvelamento della vicenda verso la fine, insediando qua e là degli elementi che vengono poi chiariti nell’epilogo, quando i tre protagonisti finalmente s’interfacceranno in maniera diretta con il “pubblico” per ottenerne i voti; e così apprendiamo che l’ammiccare frequente di lei*, la reiterata domanda allo svenimento d’Elpidio e alla caduta di Gennaro “è morto?”, una crisi di astinenza provocata dallo spegnimento dello schermo, l’ingresso imprevisto di un topo schiacciato dal tacco a spillo sono tutte reazioni di chi – incapsulato in un orrenda scatola mediatica – ha assunto su di sé una natura cibernetica ed artificiale, abiurando alla vita e, quindi, per certi versi, anche al processo naturale che è relativo alla morte; un’inesorabile spersonalizzazione ed ipertrofia si stagliano in un futuro troppo vicino, suggestionata da musiche e luci che contribuiscono alla derealizzazione della scena.
C’è una preminenza del linguaggio e toni televisivi nel lavoro di Muricena che influenza la gestualità dei personaggi incuneati in questo scenario da incubo del quale abbiamo chiarezza solo alla fine. Tale meccanismo drammaturgico avrebbe necessitato di una maggior abilità in merito al sostenimento di un ritmo più serrato ed incalzante – invece è davvero lento – e ad un registro espressivo più filtrato, imperniato su toni meno ovvi, pur trattandosi di uno spettacolo basato proprio sulla banalità della parola e del gesto mediati dallo schermo. Soprattutto si denota l’inconsistenza d’intreccio che acuisce la difficoltà dello spettatore nel suo giungere alla piena contezza della vicenda. Anche lo sguardo consapevole di Gennaro che ad un tratto cerca di “gridare” lo squallore di quella trappola per topi, seppur ad un punto si necessitasse di una controparte lucida per poter volgere alla conclusione, appare banalizzato e poi smorzato e dalla repentina virata finale del televoto.
Tuttavia stiamo parlando di una giovane compagnia, nata nel 2011 da una costola dell’Accademia del teatro Bellini di Napoli, che si appresta a sperimentare e sperimentarsi negli svariati linguaggi che il teatro possiede.

HUMAN FARM 2020

liberamente ispirato alle opere di George Orwell
dal testo di Massimo Maraviglia
con Marianita Carfora, Antimo Casertano, Raffaele Parisi
adattamento e regia Rosa Masciopinto
progetto scenico Francesco Esposito
costumi Antonietta Rendina
progetto video e foto VisionArea Studio
disegno luci Gianni Porcaro
assistente alla regia Luca Taiuti
realizzazione scene Antonio Genovese | Laboratorio Da Vinci
make up artist Sveva Germana Viesti | Maria Francesca Miale
grafica Luca Serafino
ufficio stampa Gabriella Galbiati
organizzazione Napoleone Zavatto
una coproduzione Muricena Teatro – Fondazione Teatro di Napoli
con il sostegno di Associazione Teatro Colosimo