GIULIA MURONI | Una giovane donna, Katharina Ziemke, munita di rullo e tempera diluita nell’acqua, tratteggia un disegno sul fondale scenico. Compie gesti ampi, coreografici, per abbozzare dei segni che, scivolando, formano dei rivoli che digradano. È un muoversi ipnotico: il rullo si solleva e, accarezzando un semicerchio nell’aria, marca delle forme scure che, non appena compiute, si sfaldano in irrefrenabili strascichi. Un susseguirsi di immagini ineffabili fa da sfondo alla vicenda cechoviana narrata da Ostermeier.

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Nello spettacolo coprodotto dal Teatro Stabile di Torino insieme al Theatre Vidy Lausanne e all’Odéon Théâtre de l’Europe, Thomas Ostermeier si avvale de “Il gabbiano” di Cechov per comporre un quadro denso e ambizioso. I personaggi sono presenti all’ingresso del pubblico, ai lati di una scena fredda e squadernata. Capeggia sullo sfondo una scritta «Tutta la mia opera è intrisa del viaggio a Sachalin. Chi è stato all’inferno vede il mondo e gli uomini con uno sguardo diverso». Cechov in qualità di medico andò a Sachalin, in Siberia e non poté non tornarne profondamente stravolto. Sparita la scritta, l’attore esce dalla trama cechoviana per raccontare la vicenda di un medico siriano residente a Parigi, dei debiti contratti per farvi giungere la famiglia, del mestiere di tassista nel tentativo di colmarli.

Lo sguardo, reso forse ormai grave dalla vista di dolori laceranti e concreti, si fa impietoso di fronte alla commedia umana magistralmente raccontata da Cechov. Ostermeier taglia e cuce dal testo, ma lo scheletro c’è: la celebre attrice Irina, il suo amante Trigorin e Konstantin, il figlio con velleità drammaturgiche. Konstantin, a sua volta in una relazione con un’attrice, Nina, si rivela invischiato in una dinamica conflittuale con la madre: le proprie chiassose aspirazioni in contrasto con la biografia, i traguardi e la visione del teatro della madre. Sorgono per bocca di Kostja degli interrogativi sulla natura del teatro, della sua contemporaneità, sul senso dei codici per raccontarlo. Affiora qui l’ironia sprezzante e acuta di Ostermeier che usa il metateatro per colpire se stesso, severo su una sperimentazione cui non si  sottrae, tagliente sui cliché del rappresentare contemporaneo e di un reiterato significare scenico.

LA MOUETTE Mise en scène: Thomas Ostermeier Traduction et adaptation: Olivier Cadiot, Thomas Ostermeier Musique: Nils Ostendorf Scénographie: Jan Pappelbaum Dramaturgie: Peter Kleinert Costumes: Nina Wetzel Lumière: Marie-Christine Soma Peinture: Katharina Ziemke Assistanat mise en scène: Elisa Leroy, Christèle Ortu Construction du décor: Atelier du Théâtre de Vidy Avec: Bénédicte Cerutti Valérie Dréville Cédric Eeckhout Jean-Pierre Gos François Loriquet Sébastien Pouderoux de la Comédie-Française Mélodie Richard Matthieu Sampeur Et Marine Dillard (peinture) Copyright by Arno Declair Birkenstr. 13 b, 10559 Berlin Telefon +49 (0) 30 695 287 62 mobil +49 (0)172 400 85 84 arno@iworld.de Konto 600065 208 Blz 20010020 Postbank Hamburg IBAN/BIC : DE70 2001 0020 0600 0652 08 / PBNKDEFF Veröffentlichung honorarpflichtig! Mehrwertsteuerpflichtig 7% USt-ID Nr. DE 273950403 St.Nr. 34/257/00024 FA Berlin Mitte/Tiergarten

Il repertorio (troppo) umano dei sentimenti è presente in modo cospicuo: le ambizioni frustrate, le passioni tristi, i risentimenti e le meschinità, le rivendicazioni, la codardia, l’ansia di non farcela. E poi non farcela davvero, scegliere la morte.

Soltanto all’inizio viene bucata la bolla entro cui osserviamo i personaggi. Per il resto dello spettacolo vi sono immersi e li vediamo armeggiare, vestiti come ai giorni nostri, intervallati da melodie suonate da loro stessi. Si tratta di brani famosi (Bowie, Dylan, Morrison) che, insieme alle citazioni pop riprese da più media, straniano dalla narrazione e rendono lo spettacolo soltanto apparentemente mansueto, poiché l’invettiva contro i cliché del teatro si traduce in una riproposizione polemica e interrogante degli stessi. La cifra del ribaltamento consente di vedere come in un acquario i personaggi affaccendarsi nelle loro piccolezze, inciampare e ricadere nei medesimi errori avvolti in un’atmosfera che, mutando perennemente, resta sempre la stessa. Ostermeier firma uno spettacolo profondo, provocatorio e intenso che, prestandosi a letture stratificate, non dimentica l’immediatezza. Indocile, interroga e s’interroga sull’essenza del teatro, dei sentimenti e della vita.

 

IL GABBIANO 
di Anton Cechov
traduzione Olivier Cadiot
adattamento Thomas Ostermeier
drammaturgia Peter Kleinert
con Bénédicte Cerutti, Valérie Dréville, Cédric Eeckhout, Jean-Pierre Gos,
François Loriquet, Sébastien Pouderoux – de la Comédie-Française -,
Mélodie Richard, Matthieu Sampeur
regia Thomas  Ostermeier
scene Jan Pappelbaum
costumi Nina Wetzel
luci Marie-Christine Soma
musiche Nils Ostendorf
pitture Katharina Ziemke
Théâtre Vidy-Lausanne
in coproduzione con Odéon – Théâtre de l’Europe, Théâtre National de Strasbourg, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, La Filature – Scène nationale à Mulhouse, TAP – Théâtre Auditorium de Poitiers Théâtre de Caen

visto alle Fonderie Limone, Moncalieri (To)
Teatro Stabile di Torino, stagione 2015/2016