ESTER FORMATO | Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi dirigono ed interpretano “De revolutionibus – sulla miseria del genere umano” , spettacolo basato su due Operette Morali di Giacomo Leopardi, il Copernico ed il dialogo Galantuomo Mondo. I due testi che leggendoli possono sembrare a sé stanti, sono invece qui messi accanto all’altro tramite un gioco scenico ed una teatralizzazione della prosa filosofica che la rende vivido linguaggio da impiegare abilmente sulla scena. I due artisti siciliani scelgono di restituirci la filologica lettura delle operette incorniciandole entro un misero teatrino di legno il cui minuscolo palcoscenico è formato da due piccoli carretti sopra i quali vi sono due scritte, “Operetta infelice e per questo morale” e Operetta immorale e per questo infelice”, come sottotitoli dei due Dialoghi.
Sorge nella nuda sala dello Start/Interno 5 questo piccolo assito ambulante con una sorta di tenda esagonale azzurra e forata nel centro e degli oggetti di scena (trono del Sole, sgabello…) che mantengono per certi aspetti una dimensione minuta o in ogni caso minimale (la pentola il cui fondo ha uno spicchio bianco che segna l’Ora Prima e poi Ultima).
La recita delle due operette inizia dopo il tocco che i due attori fanno per potersi assegnare le parti, cosicché il Sole è Carullo mentre Copernico con un cannocchiale sopra al capo è la Minasi e poi di nuovo tirando a sorte, Minasi diventa il Mondo (o la signorina Civiltà) prendendo il “trono” del Sole, e Carullo il Galantuomo. Giocando con l’interscambiabilità dei ruoli si palesa così la natura artigianale del far teatro, fra rivoluzione e miseria, parole chiavi che sintetizzano il senso di entrambi i testi leopardiani e che noi rileggiamo sulla base dell’ eredità morale che il poeta recanatese con la stesura de “La Ginestra” lasciò ai posteri; quella resistenza solidale fra uomini intesa come rispettosa tenacia dinanzi all’oggettiva infelicità umana ed al progresso che la Civiltà arreca con sé, ma che in realtà non fa altro che modificare in negativo la relazione con la Natura ed i propri simili. Se, dunque, la Rivoluzione terrestre determina la consapevolezza degli umani di essere, appunto, miseri e nulli dinanzi all’universo (concetto che in modo molto lapidario Pirandello espresse con il suo celebre “Maledetto Copernico!”), la stessa miseria umana scaturisce anche da quelle “Magnifiche sorti e progressive” qui incarnate in una corrotta e disincantata donnina, la Civiltà (il mondo), cinta della gonna che è lo stesso telo pendente sull’assito.
Nell’analizzare “De revolutionibus” scopriamo che due livelli di lavorazione s’intersecano; il primo si riscontra nella capacità, attraverso una mimica gestuale che in maniera pulita si declina al farsesco e grazie ad un filtro espressivo immediato, non privo di dialettalismi, di incanalare la prosa di Leopardi su un palcoscenico. È chiaro che Carullo e Minasi hanno fatto emergere tutte le loro potenzialità interpretative costruendo una poetica teatrale che fa del meccanismo stesso della finzione la relativa costruzione scenica, non scevra di ironici richiami alla loro storia artistica.
Un teatro povero, dunque, con il quale il duo siciliano ci rimanda la propria volontà di “resistere” su di una scena minuta e fragile che nel proprio essere tale si riscopre, invece, replica dopo replica “resiliente”, in grado di ricostruirsi di volta in volta per un pubblico, qui ironicamente schernito come sorta di massa omologata o platea qualunquista: l’umanità nostra contemporanea, insomma, non così dissimile da quella alla quale guardava il poeta.
Quando Leopardi scrive l’Operetta morale “Mondo e Galantuomo” egli volge il suo severo sguardo alla cultura umanista sua coeva, intorbidita da un acritico pensiero post-illuministico che parteggia per un progresso che lo stesso recanatese intravede come passaggio negativo, oppure ancora piena di un retaggio di ottuso conservatorismo; nell’uno o nell’altro caso si fa strada la pratica di una superficiale corsa alla fama che sacrifica l’onestà del pensiero libero a favore delle tendenze culturali imperanti. Esattamente è ciò che Carullo e Minasi sembrano volerci dire sulle sorti del teatro d’oggi. Essi, che di piccoli carrettini di legno ne fanno assito precario da smontare a recita conclusa, raccontano mediante un’unica narrazione dei due testi, la loro storia, tra tante di quelle di piccole realtà teatrali che cercano di tener testa ad un macrosistema vorace, entropico ed informe, basato su parametri “aziendali”.
Carullo e Minasi, affidandosi alla loro pratica teatrale ne esemplificano immediatezza e tenacia, volgendola – senza dare adito a ripiegamenti ideologici, ma facendosi bastare la sola ironia leopardiana – in un dolce atto di condivisione con chi siede in platea.
De Revolutionibus – sulla miseria del genere umano
da
Il Copernico e Galantuomo e Mondo
di Giacomo Leopardi
diretto e interpretato da
Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
disegno luci
Roberto Bonaventura
scene e costumi
Cinzia Muscolino
scenotecnica
Piero Botto
assistenza alla regia
Veronica Zito
ringraziamenti
Giovanna La Maestra, Angelo Tripodo, Simone Carullo
produzione
Carullo-Minasi, I Teatri del Sacro