MATTEO BRIGHENTI | I vincitori debuttano, i festival che li hanno premiati scompaiono. La prima del miglior monologo 2015 di UNO, Il signor Peri di Chiara Guarducci, con Sonia Coppoli, data venerdì 29 aprile 2016 al Teatro del Romito, Firenze, mentre il concorso nazionale per monologhi, dopo cinque edizioni, quest’anno non si terrà e probabilmente nemmeno il prossimo. UNO è nato nel 2011 da un’idea di Silvia Rizzo di Contaminazioni Teatrali a cui si sono uniti fin dall’inizio Lea Landucci ed Andrea Mitri oltre al critico teatrale Tommaso Chimenti, che su Facebook scrive: “Era una bella occasione dove energie e pubblico si univano e si confrontavano con leggerezza, allegria e bravura. In giuria giornalisti e i più importanti operatori e direttori teatrali toscani. Ma non è bastato. Molti gli attori che si sono esibiti. A me manca”. Al miglior monologo un premio in denaro e la possibilità di una replica al Romito, al miglior testo e ai migliori interpreti libri offerti dalla casa editrice Titivillus: per cinque anni il festival ha dato spazio a giovani che hanno difficoltà solo a farsi vedere e ascoltare, poi a quelle difficoltà si è dovuto piegare lo stesso UNO, come ci hanno raccontato la direttrice artistica Silvia Rizzo e gli organizzatori Lea Landucci e Andrea Mitri.
Perché quest’anno UNO non è stato fatto?
Silvia Rizzo: “Per molte ragioni. E credo che ognuno di noi tre, e anche Tommaso Chimenti, darebbe risposte diverse. Credo che in parte sia perché chi lo organizzava e seguiva è andato in direzioni diverse. Perché il tempo che richiedeva era veramente tanto e dato che siamo tutti professionisti e che viviamo di questo, alla fine volente o nolente ognuno ha fatto le sue scelte. Perché economicamente è diventato sempre più insostenibile e la speranza di avere dei ritorni e sostegni esterni è andata a scemare. Perché era diventato faticoso portare gente a teatro e alla fine erano spesso sempre i nostri associati e allievi ad essere presenti e ci dispiaceva per chi partecipava nella speranza di una visibilità che poi non veniva e quindi un po’ stanchi e un po’ distratti, un po’ scoraggiati … abbiamo mollato”.
Su quali basi si può dire che verrà fatto l’anno prossimo?
S. R.: “Non ci sono basi certe per dire che ci sarà nuovamente. Di certo a me è rimasto il piacere e l’amore del progetto iniziale, quel fuoco che anima ogni idea prima che prenda forma e diventi realtà. È bello vedere diventare manifesto un progetto … e questo con tutte le difficoltà … rimane il fuoco che fa cercare altre soluzioni. Una possibilità è portare a Firenze solo la finale del concorso e fare le serate di selezione in altre città, coinvolgendo altre realtà e quindi forse così diventerebbe sostenibile il tutto”.
Perché si è scelto di incentrare il festival sui monologhi?
S. R.: “Prima di tutto perché il monologo è nel mio cuore. Poi perché lo spazio del Romito non è ampio e non può ospitare grandi compagnie, e non solo dal punto di vista numerico, ma anche da un punto di vista economico. In questo modo, facendo un po’ di conti, poteva essere un progetto sostenibile. Un progetto che non voleva chiedere contributi agli attori per la partecipazione, anzi prevedeva un rimborso a chi doveva tornare per la finale, e che non aveva altre entrate se non quelle della biglietteria e che veniva realizzato con il lavoro gratuito di organizzatori e staff. Senza l’aiuto di moltissimi dei nostri associati e allievi che ci hanno aiutato concretamente in sala, sul palco, alle luci, non sarebbe stato possibile realizzarlo. Infine un solo attore sul palco permetteva anche di organizzare meglio i passaggi tra un pezzo e l’altro”.
Come si inseriva nel panorama locale e nazionale?
Andrea Mitri: “Devo dire che, per nostra soddisfazione, di UNO in giro se ne parla abbastanza, e per fortuna molto bene. È conosciuto sia a livello locale che a livello nazionale e questo soprattutto grazie al passaparola, visto che se si eccettua l’attenzione che hanno avuto fin dall’inizio per noi i giornalisti che lavorano sulle testate online, a livello di stampa sia locale che nazionale siamo passati praticamente quasi inosservati. Penso che caratteristica di UNO, oltre a quella di voler dare la possibilità agli artisti di far vedere il loro lavoro, sia stata quella di avere sempre offerto una grande attenzione agli artisti partecipanti (cosa non così scontata negli altri concorsi) e di aver sempre presentato, grazie al lavoro di Tommaso Chimenti, giurie composte da critici qualificati e direttori di teatro cittadini. Poi abbinata al concorso c’era comunque una mini rassegna che ha visto sul palco attori come Leonardo Capuano, Daniela Morozzi e Giandomenico Cupaiuolo, tra gli altri”.
Come sono cambiati nel tempo temi, qualità e provenienze dei monologhi?
Lea Landucci: “Nel primo anno c’è stata una massiccia presenza di autori e attori provenienti dal territorio toscano. Già dalla seconda edizione, la percentuale si è stabilita circa sul 20% toscano e 80% il resto dell’Italia. I temi trattati sono stati influenzati molto dal contesto storico degli ultimi anni: violenza sulle donne, diversità di genere e di credo religioso, mafia, terremoti, disabilità mentali; insieme a temi più leggeri quali la difficoltà di comunicazione, i problemi di coppia, la vita di supereroi. La qualità è senza alcun dubbio cresciuta nei cinque anni di edizione che abbiamo realizzato, anche grazie alla richiesta sempre maggiore di partecipazione”.
Che fine hanno fatto i vincitori?
Andrea Mitri: “Continuano tutti a lavorare nell’ambiente, con le difficoltà di questo periodo, ma anche con delle soddisfazioni, che noi sentiamo anche un po’ nostre. Ti lascio perché ho finito l’ossitocina ad esempio, il monologo costruito da Giulia Pont sulla base di quello vincitore nel 2012, ha fatto diverse date ed è stato lo spettacolo più visto al Torino Fringe Festival nel 2014. L’Italia s’è desta con Dalila Cozzolino, premiato come secondo e come miglior attrice nello stesso anno, ha avuto grande successo anche a New York ed Emily di Laura Fatini, monologo che ha vinto il premio come miglior testo nel 2015 [già all’interno di Grimm’s Anatomy a Orizzonti Festival 2014, ndr], ha debuttato pochi giorni fa in Francia. Sono nate anche delle collaborazioni, perché ad esempio Gianni Spezzano, vincitore nel 2013, ha lavorato insieme alla compagnia della Cozzolino in Ficcasoldi di Rosario Mastrota”.
In generale, l’aumento dei monologhi sui nostri palcoscenici è sintomo di crisi economica o creativa?
A. M.: “Sicuramente sintomo di una crisi economica, che si tocca con mano in giro e che probabilmente l’ultima riforma voluta dal ministro Franceschini finirà per aggravare nei confronti di chi lavora senza finanziamenti. Oramai gli spettacoli viaggiano ad incasso anche in teatri con un certo nome, e quindi giocoforza il numero degli attori sul palco si riduce. Dal punto di vista creativo questo forse contribuisce anche a creare una generazione di autori ed attori che si abituano a lavorare in solitaria, andando un po’ a ledere quel senso di comunità che potrebbe essere la salvezza del teatro in questo periodo”.
Un festival dedicato ai monologhi incentiva questa crisi oppure no perché, ad esempio, seleziona la qualità?
Silvia Rizzo: “La crisi è un dato di fatto e ognuno come può cerca di stare nella società che vive. Il teatro è anche lui in questo movimento e ognuno trova le proprie soluzioni al meglio. E nel nostro meglio abbiamo cercato sempre di salvare la qualità e offrire il massimo per le nostre forze e possibilità in modo onesto e sincero”.