VALENTINA SORTE | La Nuova Drammaturgia Lombarda non se la cava male, o almeno così sembra dall’alta qualità dei lavori presentati durante Tagad’Off 2016, festival organizzato da ILINXARIUM nei tre comuni di Inzago, Cassano d’Adda e Cassina de’ Pecchi e rivolto a giovani compagnie/artisti (under 35) o costituiti da meno di 3 anni, operanti in Lombardia.
Oltre ad assegnare il premio finale a Servo Muto Teatro per lo spettacolo Polvere, la giuria del concorso, insieme alla direzione artistica di ILINXARIUM, ha deciso infatti di premiare con una residenza produttiva anche FrigoProduzioni e Coperte Strette, e di segnalare con menzioni speciali alcune cose apprezzabili di questa quinta edizione.
Iniziamo dai vincitori ufficiali: in Polvere di Servo Muto Teatro una bambina sola in scena (Marzia Gallo) sovrappone nella propria narrazione ricordo e presente, fantasia e realtà per riuscire a superare l’evento drammatico che l’ha separata per sempre dalla madre, un bombardamento. La storia non ha volutamente una collocazione storica o geografica definita, perché l’ambientazione è soprattutto intima. La scelta di Michele Segreto di costruire lo spettacolo sullo scambio di battute tra due voci che non si sentono è molto riuscita. Da una parte c’è la presenza viva della Gallo che racconta le sue giornate al collegio o a casa del nonno, dall’altra c’è la voce-off della madre assente che si rivolge (forse) alla figlia. Allo spettatore il compito di realizzare la sintesi, di unire in qualche modo queste due voci parallele. Ed è proprio lo sguardo del pubblico a rompere “a dovere” il ritmo binario su cui si regge lo spettacolo.
Oltre a vincere il concorso, Polvere si aggiudica una menzione per il migliore allestimento scenico. Pochi, e semplici, gli oggetti in scena – un’enorme sedia, un piccolo sgabello, un cappello, una radio – ma capaci di trasformarsi all’occorrenza e di creare velocemente nuovi spazi e atmosfere.
Anche FrigoProduzioni opta per una sorta di non-dialogo in Mondo Cane, ma non per ragioni di “assenza” quanto per una vocazione alla menzogna. Attraverso alcune conversazioni telefoniche di cui sentiamo solo una voce, quella di Daniele Turconi, assistiamo alle continue bugie che il protagonista racconta alla madre, alla ex-fidanzata e a se stesso per far fronte a una vita che non è esattamente come avrebbe voluto, fino ad una vera e propria caduta libera. Buio. Tutto si ferma. Turconi (bravissimo) finge una sorta di resa al pubblico, piuttosto spiazzante. In realtà riavvolge la sua storia e la apre ad una seconda possibilità. Racconta da capo, ripartendo proprio da dove aveva iniziato: l’esame di maturità.
Si tratta di un lavoro ben fatto, non solo per una regia molto asciutta e fluida (dello stesso Turconi e di Matteo De Blasio) ma per lo spunto drammaturgico da cui nasce. Nonostante FrigoProduzioni non abbia all’attivo molti lavori (Socialmente, Mondo Cane e Tropicana), la scrittura scenica è più che sperimentata. Ironica e pungente, senza fronzoli. Molto calata nella contemporaneità che vuole raccontare.
Mondo Cane fa incetta di premi: oltre a una residenza di 20 giorni, riceve una menzione speciale per la migliore recitazione e per la migliore drammaturgia.
Coperte Strette con Hotel Lausanne parla di un altro tipo di “menzogna”, ricorrendo questa volta al travestimento. La giovane compagnia porta al Festival un lavoro sull’idolo e sull’ideale. In scena Christian Gallucci e Anna Sala interpretano Maria Lina e Uguale, i sosia di Marilyn Monroe e Adolf Hitler. Quella che si svolge davanti al pubblico è la loro ultima esibizione all’Hotel Lausanne, una sorta di museo dei sosia con pubblico pagante. In realtà qualcosa va storto, i sosia non riescono a staccarsi dalle figure che li hanno ispirati e le loro identità si mischiano sempre di più con i personaggi che interpretano, ribaltando la premessa iniziale. Non è una somiglianza fisica che avvicina il sosia al personaggio famoso, ma al contrario è quest’ultimo che invade e plasma l’identità del sosia. Per Maria Lina e Uguale non c’è più modo di tornare indietro, la finzione diventa l’unica realtà possibile. L’identificazione con l’idolo è totale.
Hotel Lausanne ha senza dubbio una costruzione interessante, anche se forse lo spettacolo non entra subito nel vivo della questione, rischiando di condensare tutte le questioni più importanti nella seconda parte. Nonostante questo il lavoro è molto valido, tanto da vincere una residenza di 20 giorni e una menzione speciale per la migliore interpretazione (Anna Sala).
In direzione completamente opposta si muove Tiziana Vaccaro con Terra di Rosa – u canta ca vi cantu. La giovane attrice catanese racconta e canta la vita di Rosa Balestrieri, figura decisiva del cantautorato siciliano degli anni ’70 e della canzone popolare. La Vaccaro, molto intensa e potente nella sua interpretazione, punta sulla verità biografica della “Cantatrice del Sud”.
La narrazione segue fin da subito un ordine cronologico, ripercorrendo non solo gli eventi più duri e significativi nella vita di questa donna (una vita fatta di stenti e abusi ma anche di incontri importanti) ma restituendo anche il rapporto difficile con la sua terra. La tanto amata/odiata Sicilia. Terra di Rosa è uno spettacolo ben strutturato, con un ritmo sostenuto, soprattutto nella parte iniziale (l’infanzia e la maturità di Rosa) quella finale (il ritorno in Sicilia). La parola e la canzone sono le protagoniste, in qualche punto fin troppo, ma anche il gesto si inserisce con la giusta forza. Il risultato: una grande partecipazione alla storia di Rosa dalla parte del pubblico e una menzione come migliore interpretazione.
E infine Fenice dei Rifiuti, ex CTAS, compagnia da tempo dedicata al teatro civile. Michela Giudici e Alessandro Veronese affrontano un tema molto delicato in Annabel, Ballata anoressica per Manichini Bulli. Il percorso di autodistruzione della protagonista viene presentato e raccontato con dovizia di particolari ma senza riuscire ad andare a fondo nella questione. Lo spettacolo sembra avere infatti ancora dei punti irrisolti sia dal punto di vista drammaturgico, sia da quello registico e attorale. Per prima cosa poco funzionale e giustificata la scelta di disporre il pubblico in senso circolare rispetto allo spazio scenico. Allo stesso modo la vicenda sembra mancare di un vero conflitto, o per lo meno di uno sviluppo significativo, e non riesce ad arrivare allo spettatore, nonostante l’interpretazione energica di Michela Giudici. Sicuramente un lavoro da rivedere.
Al di là delle singole questioni di merito, Tagad’Off si sta dimostrando un banco di prova per tutte quelle compagnie e artisti che desiderano confrontarsi con altre realtà emergenti e proseguire un percorso di alta professionalità. Quindi, sotto a chi tocca!
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