MATTEO BRIGHENTI | 61 repliche di spettacoli di teatro d’innovazione e danza contemporanea, 50 compagnie coinvolte, 21 fra prime e anteprime nazionali, oltre 150 artisti in scena. Poi incontri, collaborazioni, mostre e altre attività legate alle arti visive. Dal 15 al 23 luglio Sansepolcro, in provincia di Arezzo, schiude le sue mura alla quattordicesima edizione di Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea. “Senza energia c’è stasi, e mancano sia il movimento – afferma il direttore artistico Luca Ricci – che il mutamento. Io sono curioso di ogni modifica dello status quo, il cambiamento mi stimola, mi tiene vivo, mi incuriosisce”. Tre le linee guida di Ricci per questa edizione 2016 intitolata “È tempo di risplendere”, da un verso di Amelia Rosselli: dare importanza a chi parla bene, a chi scrive e pensa bene. Ed è da qui che cominciamo la nostra conversazione, dal programma, il cuore di ogni Festival, per seguirne la linfa creativa e progettuale fino a ciò che rende unico Kilowatt, i Visionari, i cittadini-spettatori di Sansepolcro che selezionano alcuni spettacoli (per cui il festival ha vinto il Premio Ubu), e il progetto europeo per approfondire il rapporto tra spettatori attivi e artisti, Be SpectACTive!, di cui sono capofila il Comune di Sansepolcro e CapoTrave/Kilowatt, con un partenariato con 12 istituzioni fra teatri, festival e università in rappresentanza di 9 nazioni coinvolte.
Le sue tre linee guida come si sono esplicate nella composizione del programma?
“Il 15 luglio apriamo il Festival con gli spettacoli di Mariangela Gualtieri e di Piergiorgio Odifreddi: mi piace pensare che siano loro due la madrina e il padrino di questa edizione, simboleggiando entrambi il parlare, lo scrivere e il pensare bene. E mi piace accostarli nella loro totale differenza, tanto lei è interiore, sensibile, empatica, tanto lui è divulgativo, logico, razionale. La voce di Mariangela aprirà poi ogni successiva serata con 5 minuti di diffusione sonora di poesia nella piazza principale di Sansepolcro: ci auguriamo che questo sia una sorta di rito propiziatorio, ogni sera nutrito di differenti parole, ma uguale nella capacità di creare una sorta di pulizia del pensiero, per disporsi alla bellezza”.
In cosa si assomiglia e in cosa si differenzia Kilowatt 2016 rispetto alle precedenti edizioni?
“Questa è la quattordicesima volta che allestiamo la nostra festa: io vedo una coerenza nel percorso che abbiamo tracciato e poi vedo anche un tentativo costante di accompagnare il cambiamento del teatro e del mondo. L’Italia e l’Europa del 2016 sono diverse da quelle del 2003 (anno della nostra prima edizione): negli spettacoli che scegliamo, negli incontri che li accompagnano, cerchiamo di raccontare questo Paese e questo continente cha adesso hanno meno fiducia e meno incanto di allora. Il che non significa che l’arte debba limitarsi a fotografare lo stato delle cose, tant’è che noi chiamiamo questa edizione del festival “È tempo di risplendere”, come un’esortazione a reagire allo scoramento del nostro tempo”.
“È tempo di risplendere”, ha specificato, per “risalire dal fondo in cui ci sentiamo precipitati”. Cosa c’è su questo fondo?
“Personalmente non penso che il nostro tempo tocchi un fondo più profondo di altri tempi: è un tempo di luci e ombre, come l’immagine del grande fotografo Mario Giacomelli che abbiamo avuto in esclusiva per questa edizione di Kilowatt. Certo, tra le persone, c’è la percezione che le ombre superino le luci, e anche delle percezioni dobbiamo farci carico”.
Punto di forza della ‘formula Kilowatt’ sono i Visionari. Come hanno operato quest’anno?
“Quest’anno – tra l’altro il decimo di attività dei Visionari – il gruppo era un po’ più ridotto rispetto agli anni precedenti, erano ‘solo’ 24, che comunque non è un piccolo numero, considerando l’enorme mole di lavoro che chiediamo loro. Hanno visionato 267 video. Come al solito hanno discusso di ciascuno di questi, hanno compilato una scheda per ogni spettacolo candidato (che poi noi abbiamo mandato alle compagnie), hanno passato una quarantina di spettacoli a una seconda fase, circa 20 sono arrivati in terza fase e tra questi hanno scelto i 9 da invitare al Festival, in una riunione finale che si è tenuta il 16 aprile scorso. La cosa interessante è che, grazie al progetto “L’Italia dei Visionari”, su questo stesso corpus di materiali video hanno lavorato anche altri 4 gruppi di Visionari, a Como, Rimini, Teramo e Messina: insieme hanno assegnato 23 repliche, ma solo in 4 casi la stessa compagnia ha avuto più di una replica. Ci piace l’idea che in differenti posti d’Italia, differenti gruppi di spettatori esprimano le loro preferenze compiendo delle scelte che definiscono le programmazioni dei teatri e dei festival”.
Essendo a Sanseplocro (quasi?) gli stessi di anno in anno non c’è il rischio di una ‘professionalizzazione’ dei Visionari ‘de facto’ e quindi di uno snaturamento del loro ruolo, improntato al non esser addentro al mondo del teatro e i mondi paralleli dei circuiti?
“In realtà non sono gli stessi, perché quest’anno 8 su 24 sono nuovi, e altri 5 sono soltanto al loro secondo anno di esperienza. Noi non abbiamo mai detto che l’obiettivo fosse quello della promozione dell’ignoranza, per cui il progetto ha senso solo se vi partecipano persone che di teatro non ne sanno nulla: piuttosto, il principio è quello di creare un’affezione al teatro, e se persone tornano per 5 o 6 anni a fare questo percorso, io credo che noi stiamo raggiungendo proprio il nostro scopo. Quanto alla professionalizzazione non credo esista questo rischio: queste persone durante il giorno fanno gli insegnanti e gli impiegati, gli studenti e i dirigenti d’azienda, non sono assolutamente interessanti a cosa programma quel teatro o quel circuito. Garantisco che questo è un problema di noi operatori del settore, loro non se ne occupano minimamente”.
Il coinvolgimento attivo degli spettatori è al centro anche del progetto europeo Be SpectACTive!. Il concetto chiave è quello di ‘active spectatorship’.
“Noi chiamiamo con questo nome ogni meccanismo per il quale lo spettatore acquista un ruolo attivo nel definire la programmazione di un festival o di un teatro. Nulla a che fare dunque con i meccanismi per i quali gli spettatori diventano attori: qui lasciamo che gli spettatori non abbandonino il loro posto in platea, ma mettiamo al centro i loro gusti e i loro punti di vista e ci fidiamo di loro dandogli un ruolo attivo nelle scelte di programmazione”.
Cosa comporta per l’artista avere di fronte uno ‘spettatore attivo’?
“Non cambia nulla in relazione a un singolo spettacolo. Ma io credo sia soprattutto uno scarto di pensiero: non dobbiamo considerare la platea come un gruppo di soggetti ipnotizzati, bensì come un’assemblea di persone attive le cui domande chiedono di essere soddisfatte sulla scena. Lo diceva Walter Benjamin nel 1939. A noi di Kilowatt piace pensare che la centralità che da 10 anni diamo al tema dello spettatore attivo abbia portato e possa ancora portare gli artisti, in fase creativa, a non dimenticare questa ulteriore polarità senza la quale non si dà l’evento teatrale”.
Come procedono i lavori del progetto?
“La gestione di un network genera di continuo complessità e ogni giorno serve una cura speciale per tenere unita la compagine dei partner, coinvolgere gli artisti e procedere nel nostro intento di dare un ruolo attivo agli spettatori. Però, il percorso genera anche risultati dei quali essere soddisfatti: adesso ci sono altri 7 gruppi di Visionari in altrettanti Paesi europei ed è qualcosa di cui siamo molto fieri. In poco più di un anno e mezzo abbiamo già co-prodotto 9 spettacoli e altri 11 sono da venire: ciascuno di questi ha avuto e avrà 3 residenze di 10 giorni l’una in 3 differenti Paesi, durante le quali vengono organizzate attività di relazione attiva tra artisti e spettatori. C’è poi una piattaforma di interazione online tra artisti e spettatori: la piattaforma è funzionante sul sito www.bespectactive.eu. Abbiamo già fatto due convegni internazionali sul ruolo attivo dello spettatore, uno a Sansepolcro, l’estate scorsa, e l’altro a Bruxelles, ad aprile, e il terzo sarà a Barcellona, dal 22 al 24 novembre. Sempre a novembre 2016 faremo la nostra seconda Giornata Europea dello Spettatore mettendo in collegamento tra loro una quindicina di gruppi di spettatori attivi, anche fuori dal nostro network. E tutto questo è costantemente monitorato da tre università che seguono i debutti, intervistano gli spettatori e gli artisti, studiano i dati economici e gestionali delle nostre organizzazioni”.
Cosa cambia adesso che la Gran Bretagna è uscita dall’Europa?
“L’uscita della Gran Bretagna non sarà immediata, ci vorranno 2 anni, e noi faremo in tempo a concludere il progetto la cui chiusura è prevista a novembre 2018. In tutti i casi, non è affatto detto che la Gran Bretagna non continui a contribuire all’UE in alcuni settori come quello della cultura, e dunque a essere partner eleggibile nei progetti culturali europei. Ci sono molti Paesi esterni alla UE che sono eleggibili, come Norvegia, Islanda, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia e Turchia. Non è detto che anche la Gran Bretagna non rientri tra questi. Se il progetto avrà uno sviluppo noi ci auguriamo di non perdere i nostri partner di LIFT London e di York, tra l’altro convinti europeisti, e scioccati dall’esito del referendum”.
Qui il programma completo.