RENZO FRANCABANDERA | Si è chiusa ieri alla Reggia di Venaria con un gran finale pirotecnico l’edizione 2016 di Teatro a Corte. A serrare l’uscio dietro le spalle dell’ultimo spettatore della rassegna che porta teatro, danza e nuovo circo nelle dimore sabaude del Piemonte un evento spettacolare che ha visto il ritorno a Torino, dopo lo spettacolo inaugurale delle Olimpiadi invernali di 10 anni fa, Groupe F, collettivo fra i più apprezzati nel campo degli spettacoli pirotecnici. À fleur de peau la loro creazione, che vuole un po’ raccontare il magico che ancora l’uomo ha da attivare in sé attraverso il confronto con la natura. Ma Groupe F aveva anche festeggiato in questa stessa reggia la riapertura dopo i lunghi lavori di restauro nel 2007.
Insomma un grande ritorno dopo 10 anni, ed evidentemente il pubblico dei dintorni ricordava ancora bene la qualità spettacolare di quanto avevano visto 10 anni fa perché sono accorsi in tremila nei giardini della reggia sabauda domenica sera per assistere ad uno spettacolo davvero di potente impatto visivo.
Dopo un lungo peregrinare nei festival estivi, fra ricerca e situazioni off, una purificazione totale nello spettacolare tout court non ha potuto che farci bene. Proiezioni su una piramide tronca abitata da esseri dalla pelle luminosa, concrezioni e lingue incendiarie che si dissolvono nell’aria, fuochi d’artificio a tutto spiano, manichini alti 4 metri, gru che sollevano pedane e gabbie di fiamme all’interno delle quali i performer giocano di acrobazia. Insomma si, ci venivano in mente Latella, Latini, i loro attori che spingono il recitato verso l’iperbole dell’espressione tecnica… ma poi la catarsi pirica ha preso il sopravvento e anche se lo spettacolo era un pretesto per la creazione coreografico-pirotecnica senza alcuna pretesa drammaturgica, alla fine eravamo fanciullinamente contenti, insieme agli altri 2999 spettatori e forse più, di immergerci nella nube di zolfo che ci ha accompagnati verso i cancelli di questa edizione per altri versi molto ricca e intrigante di TaC.
Parliamo di un festival diretto ormai da anni con sabauda eleganza da Beppe Navello, con la consulenza artistica di Mara Serina e Sylvie Cavacciuti, che hanno fatto da scout in tutta Europa per conto della Fondazione Teatro Piemonte Europa al fine di mettere assieme una proposta che abbina ormai da anni l’idea dello spettacolo dal vivo con quella del turismo culturale, offrendo servizi e percorsi nelle dimore che ospitano gli spettacoli, con proposte, suggerimenti e visite guidate per la scoperta di luoghi e paesaggi indimenticabili del territorio piemontese. E’ così che quest’anno siamo finiti a Racconigi in un’oasi per cicogne e poi, dopo gli spettacoli nei giardini reali, a cena nelle bellissime cucine storiche della reggia, o a seguire i danzatori coreografati da Ambra Senatore nei corridoi e nelle stanze di Venaria in Promenade au Chateau, creazione site-specific in cui i tre performer si muovono, si rincorrono, dialogano in modo irridente con le opere d’arte ospitate nella reggia.
La performance avrà un secondo momento in settembre al Castello di Chambord nella Loira, dove Ambra reinventerà la sua coreografia in rapporto alla visionaria architettura di quell’edificio gemellato da un anno con Venaria.
Ma questi ultimi quattro giorni di Festival hanno riservato piacevoli sorprese, prima fra tutte il capolavoro assoluto legato allo spettacolo Les Limbes di Etienne Saglio, creazione di teatro di figura con inserti tecnologici di altissimo pregio, visto al Teatro Astra di Torino dove le maestranze si sono impegnate in un lavoro di allestimento tutt’altro che facile. Uno dei rarissimi casi in cui finalmente la tecnologia è al servizio di un pensiero scenico-poetico forte, e non viceversa. Uno spettacolo imperdibile che speriamo altri spettatori possano rivedere in Italia.
Sono state anche giornate di maestri del 3d, come Billy Cowie, che ha presentato in prima nazionale Under Flat Sky, un viaggio poetico tra immagini e realtà ricavato da epifanie poetiche di matrice giapponese: una versione ridotta per numero di performer e per impatto coreografico, che forse ha corrotto un po’ l’idea scenica dell’artista, ma che è comunque riuscita a trasmettere il senso di una creazione in cui il gesto ancestrale, poetico vede chi lo agisce completamente fuso nell’immagine visivo-sonora che commenta delle liriche sul destino dell’uomo, che legano il vissuto alla natura, così come le danzatrici sono fuse nella proiezione con il dipinto da cui paiono emergere con leggerezza.
Questa visione era stata preceduta da quella di Adrien M / Claire B: Hakanaï, spettacolo-installazione in cui si assiste ad una coreografia multimediale d’ effetto, con una danzatrice chiusa in una stanza-scatola trasparente sulle cui pareti di tessuto vengono proiettate immagini digitali eminentemente di codice geometrico. La visione anche in questo caso perde in nitore per via di un certo inquinamento luminoso che impedisce all’installazione di ambientarsi nel buio totale. Questo minus, tuttavia, non può far evaporare del tutto il sentimento di qualcosa che si prolunga oltre il dovuto senza la dovuta robustezza drammaturgica. Certo resta la sensazione che il management della residenza di Rivoli, già depositaria di una collezione di arte contemporanea di primissimo livello, potrebbe fare qualcosa in più per aiutare il Festival negli allestimenti. Ricordiamo operazioni, in questi stessi spazi, di altra omogeneità e resa scenica proprio perché in questo festival non è importante solo il dove generale, ovvero la reggia, la dimora storica, ma anche proprio il dove specifico, lo spazio riadattato, rivissuto, ripensato ad arte (e per l’arte, ma veramente).
Oltre al capolavoro di Saglio, sicuramente la giornata che ha riservato la maggior sorpresa è stato il 16 luglio nei giardini del Castello di Racconigi dove un pubblico di diverse centinaia di persone ha potuto assistere a due degli spettacoli più curiosi del Festival: La partida della coreografa spagnola Vero Cendoya e A string section del gruppo inglese Reckless Sleepers.
Il secondo ha aperto il pomeriggio con un concerto per cinque performer, seghe e sedie in legno massello, una creazione nata in Italia dove il regista Mole Wetherell, su idea coreografica di Leen Dewilde, ospite in residenza a Polverigi, ha prodotto alcuni mesi fa un’idea forte e di grande impatto emotivo. Questo finto concerto è in realtà la costruzione di un’azione di portata performativa in cui le cinque interpreti in un tempo prestabilito e con ritmi, tempi e modi diversi, con fare suadente, poi erotico, nevrotico, finanche acrobatico e disperante, segano le sedie su cui cercano affannosamente di restare sedute, in equilibrio instabile.
Un ragionamento crudele su quanto a volte ci facciamo male cercando di restare in piedi sulle macerie che costruiamo, mettendo in bilico la nostra esistenza. Qualcosa di individuale e anche di collettivo, come individualmente e in modo collettivo va guardata la costruzione di questa compagnia anglo-belga dal nome bizzarro, “dormiglioni spericolati”, fondata ormai più di 25 anni fa a Nottingham: 13 artisti esperti di discipline differenti, dal teatro alla danza, dalle arti visive al design e impegnati in progetti originali per contesti site specific o spazi museali e alternativi. Una creazione che ha diviso il pubblico, come tutte le gradi idee, capace di emozionare, far innervosire, ma certamente non di lasciare indifferenti e a distanza di alcuni giorni quegli sguardi, quei corpi aggrovigliati a pezzi instabili di legno massello, ancor più potenti si fanno nella memoria.
Finiamo con La partida, spettacolo per cinque danzatrici e cinque calciatori. La simulazione coreografica di una partita di calcio, con due squadre, quella femminile e quella maschile, e il pubblico a bordo campo nel ruolo di se stesso. Sugli spalti tifosi con bandiere che gridano il nome dei loro beniamini. Partendo dai testi di Galeano sul calcio, la creazione di Vero Cendoya in realtà vuole ragionare sul modo diverso di affrontare la vita di uomini e donne, con queste ultime più propense a fare squadra, a soccorrersi e a posporre l’interesse personale a progetti più grandi, come la famiglia e la maternità, la vita. In realtà il discorso si amplia progressivamente, esaminando le diseguaglianze nella società, e il campo di calcio, proprio come suggerisce il grande scrittore latinoamericano, diventa metafora dell’esistenza. Anche l’arbitro, con il suo potere insindacabile, diventa metafora dell’autocrazia che il nostro tempo ci fa conoscere, fra dittature, terrorismi e imposizioni massmediali. Forse troppe cose per soli 50 minuti di spettacolo, anche se nel complesso la creazione si fa seguire con interesse, sostenuta da creazioni musicali dell’italiana Adele Madau.
L’unica fortuna in tutto questo, il fatto che non ci fosse nessun invasato in giro nelle dimore a cercare Pokemon: si aveva tutti di meglio da fare che tuffarsi in realtà virtuali, perché, anche dove la tecnologia la faceva da padrona, la magnificenza del reale dominava su tutto, e il bello sovrastava. Un bello che ci ha aiutati non poco a superare giornate in cui il tragico ha fatto irruzione in modo sconvolgente nel nostro vissuto prossimo e che un festival con una vocazione transfrontaliera così forte come TaC ha respirato profondamente. La presenza delle autorità diplomatiche francesi a Rivoli all’indomani dei fatti di Nizza e le commemorazioni di quanto accaduto in Francia in questi giorni (per tacer della Turchia) hanno purtroppo puntellato più d’un evento. Purtroppo perché non avremmo voluto avere nulla da commemorare.
Per goderci il bello.
Solo il bello.
Il bello sempre.