MARTINA VULLO | “Il teatro sgorga dalla collettività, per ritornare alla collettività”: con queste parole nel 1971 Piero Patino, direttore artistico dell’allora neonato Festival Internazionale del teatro in piazza di Santarcangelo di Romagna, descriveva le intenzioni politiche e sociali di un evento destinato a farsi strada. Da allora di acqua ne è passata per i fiumi che bagnano il paese della provincia di Rimini: grandi nomi si sono alternati a grandi direzioni artistiche e Santarcangelo dei Teatri, attraversando evoluzioni e cambiamenti, è giunto alla quarantaseiesima edizione e costituisce oggi uno dei più importanti Festival della scena contemporanea. Fra antiche grotte, campi da basket, un lavatoio ora adibito a teatro, parchi, piazze e altri luoghi non convenzionali, si è tenuta dell’8 al 17 Luglio, l’ultima edizione di un quinquennio firmato dalla direzione artistica di Silvia Bottiroli ed esperienze locali e formazioni estere si sono alternate a progetti nati ex novo o in continuità con le edizioni precedenti.
E’ quest’ultimo il caso di Azdora Ritual #12 DAI: performance/concerto dello svedese Markus Őhrn che con la collaborazione della musicista queer-pagan-doom-avant-metal Stefania Pedretti – membro del duo OvO, del gruppo Allun e nota per il suo progetto solista col nome di Signorina ?Alos – e di un gruppo di signore del luogo, già dalla scorsa edizione ha concertato delle azioni incentrate sulla figura archetipica dell’Azdora: matriarca romagnola, reggitrice della famiglia e custode del focolare domestico, affrancata qui dal suo tradizionale ruolo costruttivo, per essere presentata in una chiave tutta nuova. Le donne che si sono messe in gioco hanno distrutto lavatrici, fatto tatuaggi e partecipato a laboratori di growl durante l’edizione scorsa, si sono spostate in inverno fino a Bologna per un rituale che ha visto protagonista con loro anche l’autore del progetto, mentre quest’anno a Santarcangelo dei teatri, con le loro gonne lunghe, i foulard in testa e il trucco in stile Kiss, si sono esibite in un concerto black/doom metal, con tanto di distribuzione nel finale di un album in vinile.
Dietro alle azioni che l’artista ha immaginato per loro c’è la consapevolezza che la figura matriarcale che in Romagna prende il nome di Azdora e che a pochi passi di distanza, nella vicina Emilia, cambia nome in Rezdora ma senza cambiare funzione, è una figura universale in grado di abbracciare donne appartenenti alle più diverse sfere geografiche e culturali. L’idea per la realizzazione del progetto in Markus Őhrn nasce dal ricordo della nonna che in punto di morte, alla domanda su cosa avrebbe cambiato nella propria vita, esprime il rammarico di essersi dedicata troppo agli altri e probabilmente troppo poco a sé. Ecco allora la funzione di un rituale di affrancamento, in grado di garantire alle protagoniste dell’esperienza un momento di distacco dalle dinamiche familiari e di offrire loro – riprendendo le parole da Virginia Woolf –“una stanza tutta per sé”. Non è poi certamente un caso che a curare l’aspetto musicale dell’azione sia stata proprio Stenia Pedretti nella cui ricerca musicale c’è una presenza forte della dimensione del femminile (qui un’intervista sulla rivista Noisey in cui l’artista, parlando delle Azdore, approfondisce l’argomento). Ma se, come sostiene nella sua Estetica del performativo Erika Fisher Lichte, la performance si colloca a metà fra rito e voyerismo, è facilmente immaginabile la curiosità che un concerto metal ad opera di un gruppo di signore over 60 può avere suscitato sul pubblico del Festival. Aggiungiamo a tutto questo una location segreta, un viaggio in autobus ad occhi bendati all’una di notte, un corteo a seguito delle insolite dark lady lungo un viale di alberi illuminato da fiaccole ed un portone che ai colpi di un’Azdora si apre su un palcoscenico-torre di immaginario Cyber, e l’idea della performance è presto resa.
Se nell’azione #Ritual11 che si è tenuta a Bologna, il protagonista insieme alle Azdore è stato Markus Őhrn, questa volta sulla torre, fra le donne intende in azioni sceniche, canti growl, chitarre elettriche e sintetizzatori, si è distinta la sagoma di Signorina ?Alos che tra fumo e luci psichedeliche, con i suoi lunghi dread e movimenti da preghiera ha conferito al tutto un ulteriore tocco suggestivo. Altro elemento importante è stata la scelta della location di Villa Torlonia: emblematico esempio dell’abilità dell’organizzazione nell’utilizzare e valorizzare anche i luoghi più distanti dal centro.
Degno di nota, parlando del Festival, è anche lo spettacolo Di natura violenta del gruppo Cosmesi nel quale si è indagato il rapporto ambivalente di desiderio e paura che lega l’uomo alla natura. Frammenti del libro Walden ovvero vita fra i boschi del filoso Henry David Thoreau, che nel 1845 si ritira dalla società consumista per vivere due anni su una capanna fra i boschi in simbiosi con la natura, convergono con estratti del saggio La società industriale e il suo futuro di Theodore Kaczynsky, meglio conosciuto col soprannome Unabomber: ex ricercatore universitario ritiratosi dalla vita accademica negli anni ’70 del Novecento, per vivere in una capanna fra i boschi, dove è rimasto fino all’arresto a causa delle derive terroristiche a cui è giunto con il suo estremismo. Un’esperienza multisensoriale in cui la parola potatrice di testi vicini fra loro, nonostante il secolo che li separa, si accompagna a stimolazioni uditive che mescolano musicalità a rumori naturali quali pioggia e vento, e a movimenti meccanici ed essenziali ad opera degli artisti sulla scena.
Quanto visto durante la serata a Santarcangelo riguarda effettivamente un festival intenso e polimorfo, in grado di coniugare diverse forme di sperimentazione, di rapporto col pubblico e di utilizzo dello spazio. Un festival in cui esperienze locali e internazionali hanno convissuto attirando l’attenzione di un pubblico numeroso e variegato. Un festival che ancora una volta si è fatto luogo di un teatro che “sgorga dalla collettività per tornare alla collettività”.