RENZO FRANCABANDERA | Con il solo scopo di guadagnare una manciata di clic e soprattutto i miei 15 minuti di visibilità (di questi tempi unica grazia concessa a noi mediocri), e non potendo fare interrogazioni parlamentari su questo o quell’artista che decide di indagare per il tramite del corpo le aree più nascoste e fragili delle nostre personalità, scrivo qualche riga su un tema che sta appassionando (tristemente, dal mio punto di vista) i social e rinfocolando qualche parlamentare in vena di mantenere il giusto presidio alla pubblica morale.
Parliamo del caso Holzinger-Riebeek (nelle foto immagini di alcune loro creazioni) al Festival Terni, ma potremmo anche parlare del caso di Tino Seghal e della famosa pipì a Santarcangelo, o delle feci sul volto del figlio di Dio di Castellucci, e ancora indietro potremmo andare agli aghi della Liddell, alla Abramovic. Insomma alle pruderie tutte mediterranee legate al non riuscire a vedere il corpo e la sua dimensione biologica e sessuale come possibili strumenti di libera espressione del pensiero.
E’ questa una caratteristica delle civiltà che hanno un profondo legame con un approccio etico di emanazione religiosa secolare, approccio che ammette sempre il doppio linguaggio, quello pubblico e quello privato, con la relativa doppia morale. La stessa, per capirci, per cui in TV è legittimo offendere, ma si badi bene a microfoni staccati, una donna per una relazione, e far vanto ad un uomo per la stessa azione; oppure chiamare, dando con il gomito, “friariello” il gay del gruppo di concorrenti del reality, tirando fuori il peggio dai peggiori, così poi da infestare edizioni online dei giornali con segmenti video del momento in cui tizio dà del “ricchiuncello” a caio, per raggiungere il picco dell’audience nel momento in cui tizio chiede scusa agli italiani, dicendo di avere centinaia di amici gay e di amarli tutti, correndo poi subito dopo a fare una bella doccia con l’amico di confessioni, pronto dopo poco a dare della “zoccola” ad un’altra donna, giusto per tenersi in allenamento. Ecceziunale veramente!
E i social nauseanti, a seguire, a tirar fuori la pancia della società media (mediocre, Umberto Eco sosteneva a giusta ragione, come è abbastanza evidente di suo), a soffiare sul fuoco dei commenti. È proprio vero, come diceva Castellucci, che volgere lo sguardo non è più un atto innocente.
Perché scandalizzarsi dell’integralismo dell’altrui cultura, che nega alla donna la possibilità di affermare la libertà del suo corpo, elemento intrinseco dell’identità umana, e poi accettare in casa ogni genere di turpiloquio o concetto discriminatorio, sghignazzando del “friariello”, o additando il segno dell’artista quando al centro dell’atto creativo pone il rapporto tra corpo e dimensione erotica, magari invertendo il ruolo biologico, per un pensiero altro, più forte?
Siamo ancora alle beghe morali che fanno tornare alla mente qualche azione pubblica in bianco e nero del Living Theatre, in attesa di una nuova Woodstock che faccia parlare ancora di libera espressione del corpo, nelle stesse ore in cui nella capitale due donne subiscono violenza per il solo essere uscite di casa pronte per andare a ballare. Torniamo indietro a discorsi e vicende che il mondo occidentale pareva aver risolto 30 anni fa.
Torniamo al triste quotidiano della mancata accettazione dell’alterita’.
Siamo ancora qui a verificare le misure del dildo, se le feci sono feci, se il piscio è piscio e se l’arte è arte. A misurare arte e morale col righello.
Da curioso delle forme sceniche e dell’arte dal vivo, dell’effetto dei neuroni-specchio sulle nostre visioni oculari, viene da chiedermi, ad esempio, davanti ad una sorprendente e quindi inaspettata copulazione anale a parti invertite rispetto al dato biologico, quali sinapsi in questo lavoro (che non ho visto, che son sicuro diceva anche tanto altro e che come Voltaire farei di tutto per vedere liberamente rappresentato anche se fosse espressione del brutto), quali collegamenti mentali – dicevamo – abbia inconsciamente vissuto chi era in sala: se lo spettatore abbia potuto ragionare su quell’atto come segno di desiderio o di dominazione, se abbia vissuto la sua dimensione attiva o passiva, se abbia trovato riscontro in quel narrarsi di una parte di sé magari repressa o non vissuta, o di pura libidine e quindi come tale censurabile per la morale corrente. O se l’abbia vissuto senza implicazioni morali o sociali di sorta, come atto coreutico libero, di movimenti ottenuti per il tramite di un oggetto. E mi chiedo se tutti questi non siano temi con cui l’arte abbia legittimamente il diritto di potersi interrogare o se ancora occorra subire la recrudescenza dello sguardo censorio, del rettangolo nero, apposto magari (come per bizzarria di tanto in tanto può perfino accadere, ma non è questo il caso) da chi con l’altra mano si sta collegando dal cellulare a Youporn.
Il solo pensarci, il solo dover riflettere ancora su queste questioni, fa capire come i burqua invisibili siano, come sempre, molto più pericolosi di quelli visibili, e di come l’identità e la libertà affermata attraverso il corpo siano ancora una conquista che il genere umano è di là dal compiere. E chissà se compirà mai. Forse saranno le ibridazioni uomo-macchina, prossime a venire, a superare il tema. Quando esibiremo orgogliosi i nostri chip sottopelle. E chissà, poi, che non siano questi ultimi da considerare assai più pornografici e concettualmente disumani rispetto ad un rapporto anale, disgustoso o sogno proibito prima ancora che atto artistico inguardabile. Vengono in mente le parole di De Andrè in Bocca di rosa e quelle lucide di Silvia Bottiroli a proposito del caso Seghal, che qui voglio riportare, come atto civile di resistenza alla barbarie.
“Si tratta quindi non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace, ma di una dichiarazione rispetto al rapporto tra danza e storia, tra dimensione dell’arte e dimensione della vita individuale e politica. E si tratta di un gesto fortemente coreografato, inserito all’interno di un contesto artistico specifico e dichiarato come tale, da uno dei maggiori protagonisti della scena artistica contemporanea.”
L’ha ribloggato su daniele de sanctis.
Tipico pistolotto da cultura pseudo-progressista radical chic, buonismo spicciolo dove è scandalo chiamare cieco anziche non-vedente ed handicappato invece di diversamente-abile, dove dare del ciccione o panzone a qualcuno anziche di magari pure “diversamente magro” o del “friariello” invece di gay. E poi la solita pappa che l Artista puo tutto perche artista, che anche se scoreggia è un genio perche le scoreggie di un artista profumano di cultura al contrario di quelle dei comuni mediocri, e quindi finanziamo le scoregge con i soldi pubblici. Come se la pornografia, mischiata o no con l arte non sia sempre esistita, e chi vuole vederla se la va a vedere legittimamente a sue spese. Create una nuova morale alternativa alla vecchia, con nuovi tabù ma peggiore perche più subdola, perche spacciata per progresso. Andate a f…….