RENZO FRANCABANDERA | Trama solita, ovvero l’amore della coppia contrastato dagli uomini e dal caso, con lieto fine. Un secolo e mezzo dopo la tragedia di Romeo e Giulietta, nel 1759 Goldoni scrive con finale più allegro Gl’innamorati, protagonisti Eugenia e Fulgenzio.
Teatro Libero di Milano, di ritorno dopo un buon successo di pubblico nella primavera scorsa, fruiamo una messa in scena della riscrittura del classico, firmata dal giovane Fabrizio Sinisi, classe 1987, negli ultimi anni in auge a teatro per le collaborazioni con Tiezzi; barlettano come il regista di questa messa in scena, Giampiero Borgia.
Riscrittura abbastanza lineare, senza fuoripista: di fatto una semplificazione della trama, con l’aggiunta di qualche sottotesto recitato e un pizzico di pepe qui e lì nella chiara direzione della commedia di coppia. Interpreti Borgia stesso e la aggraziata Elena Cotugno, da anni nella compagnia di Borgia con ruoli minori e che qui tiene bene la comprimarietà. La tesi drammaturgica, esposta chiaramente in apertura di pièce, è che le difficoltà spesso non sono esterne alla coppia, ma si originano dentro, quasi a dare alimento al sentimento, perché scopo del gioco delle parti, nell’amore, sarebbe quello di imprigionare l’altro e averlo solo per sè. Insomma l’amore litigherello e dispettoso.

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Ne segue un allestimento per lo più ironico, dove la vibrazione attorale si attesta all’interno di una banda di oscillazione emotiva che non provoca particolari sussulti, giocata su un testo che potrebbe, di tanto in tanto, virare sull’equivoco psicologico, ma che la regia porta piuttosto sul binario della commedia macroregionale, probabilmente guardando al verosimile bacino di circuitazione del lavoro. Questo sapore viene enfatizzato dall’inflessione pugliese senza correzioni di dizione per Borgia. Ortoepica invece la Cotugno. Non chiaro il motivo di questa differenza.
Lei altera con un sorriso dolce nel portato comportamentale, lui più gigione e incline alla sollecitazione della risposta da parte del pubblico sugli accenti ironici, anche per via delle diverse parti di cui è interprete.

Con più impegno, l’idea drammaturgica avrebbe potuto portare a qualcosa di vicino, nel sapore, a Piccoli crimini coniugali, invece così semplificata e poco “nuova”, l’operazione fa piuttosto balenare l’idea del piccolissimo reato di accidia: ci riferiamo un po’ alla riscrittura, scevra da significativi slanci poetici e di questioni letterarie coerenti con una riscrittura vera, ma ancor più alla lettura registica che, fosse stata esterna, avrebbe probabilmente depurato l’esito da una serie di circostanze su cui l’auto-sguardo è stato indulgente.

Dal novero degli indiziati al piccolissimo reato occorre comunque escludere Papaceccio MMC, cui si devono pregevoli e giuste riscritture alla moda di Vivaldi di alcuni classici del pop contemporaneo, che ben si intonano a questa rivisitazione dell’ambiente pseudo-settecentesco, rinforzata dai costumi di Giuseppe Avallone.

Notevole la scenografia studiata della Cotugno, che chiude la coppia in una stanza-prigione, per una recusione che ha però anche le caratteristiche del rifugio, con i sacchi di sabbia: basterebbe dunque l’installazione scenica di suo a far sintesi dell’operazione e del concetto, su cui lo spettacolo si dilunga poi per un’ora, precipuamente alla ricerca del divertissement, senza altre sfumature significative di cui necessiti qui far menzione.
Acide le luci di Pasquale Doronzo, che illuminano lo sfondo quasi in controluce e che giocano sui ‘complementari’ verde/rosso con cenni d’azzurro, mentre nello spazio agito in primo piano, all’interno delle grate/finestre, il piazzato di luce diffusa resta tale praticamente per quasi tutto lo spettacolo, con qualche rinforzo spot.
Nel complesso una visione leggera, per un pubblico largo, ma con marginali questioni di interesse per la critica del linguaggio.

 

GL’INNAMORATI
da Carlo Goldoni

drammaturgia di Fabrizio Sinisi
con Elena Cotugno e Gianpiero Borgia ( regia)

costumi di Giuseppe Avallone
musiche di Papaceccio mmc
luci di Pasquale Doronzo
scene di Elena Cotugno
foto di scena Raffaella Distaso
Coproduzione Teatro dei Borgia e Teatri di Bari