ESTER FORMATO | Se volessimo dare un giudizio sintetico sull’ultimo lavoro di Emma Dante, “Odissea A/R”, potremmo dire che questo spettacolo sia uno sviluppo del processo creativo insito in “Io, Nessuno e Polifemo”dal quale la registe riprende simboli ed immagini, costruendo una drammaturgia più compatta, scevra delle riflessioni metateatrali e metalinguistiche di cui la precedente opera era costellata. Qui ricompaiono le barchette di carta, le espressioni (“tesse e s-tesse” diviene la cantilena delle ancelle), i simboli, ritornano Ulisse e Calipso avviluppati stavolta in un’organizzazione formale e compositiva avvolgente ed armoniosa, attraverso i colori, i corpi e le coreografie degli allievi del teatro Biondo di Palermo.
Emma Dante ci narra della Telemachia (primi quattro canti dell’Odissea) e del ritorno ad Itaca di Odisseo, ponendo il perno dello spettacolo sul giocoforza fra i due sessi, incarnati dai Proci e dalle ancelle di Penelope. Di questi ultimi le forze erotiche e vitali si confrontano, si scontrano e plasmano orologi biologici, contrastando il tempo d’attesa di Penelope la cui tela diviene inviolato nero velo di vedova.
Essi s’intrecciano sino a creare un solo corpo scenico, dividendosi poi ai lati dell’assito, iniziando, attraverso cambi d’abiti, quindi di personaggio, un vivace gioco d’interscambi. Alla piacevolezza ed alla precisione tecnica della coreografia si accompagna un’alternanza fra bicromia (nero e bianco, soprattutto il primo è presente all’inizio dello spettacolo, mentre il bianco ne definisce l’epilogo, riconferma nuziale di Ulisse e Penelope) e policromia dei costumi che s’insinua nella festosità di una narrazione tutta visiva delle avventure di Odisseo sull’isola di Calipso, come del disordine sensuale che coinvolge Itaca.
L’esuberante dialettica tra maschi e femmine assume una cornice fondamentalmente estetizzante, mancando perciò di un’idea di coralità che s’innesta nella narrazione, qui riproposta in una chiave linguistico-espressiva che integra i versi originari dell’opera omerica con il dialetto; le mitiche vicissitudini sono, ancora una volta, calate nella dimensione antropologica siciliana; i Proci diventano sorta di picciotti, pronti a dimenarsi per la mano di Penelope, e le ancelle, sicule ragazze in preda ad ardori rivolti verso gli ospiti indesiderati, insieme artefici di un vitale disordine cui solo il suo ritorno di Odisseo, favorito da un Zeus muscoloso vanesio, porrà fine.
Ancora una volta, la regista siciliana dirige lo sguardo del pubblico su piani cognitivi simultanei, guidando lo spettatore attraverso la preponderante forza visiva nonché la presenza di segni chiave che nel gioco teatrale si concretano, ora moltiplicandosi (la pioggia di barchette di carte che cadono sugli astanti), ora ingrandendosi (l’interminabile srotolamento della tela che seppellisce il corpo luttuoso di Penelope o la lettera da quest’ultima scritta al marito disperso, che si estende su gran parte dell’assito); il tutto rinvigorito dal camaleontico apporto performativo degli allievi, diretti in maniera puntuale e sinergica, e dalla componente musicale – da una parte fatta di partitura dialettale, composta di canti siciliani, dall’altra dalle ultramoderne note di Gotye – che corroborano la vaga leggerezza irriverente dal sapore grottesco.
Mentre gli attori tutti conquistano vari applausi a scena aperta in un teatro affollato, costituito da un pubblico possibilmente trasversale – perché tale è un punto di forza della regista siciliana – resta l’impressione di un prodotto esteticamente ben congegnato ma con diversi problemi di contenuto. Manca, difatti, all’intera narrazione, un pensiero, un’idea portante che si estenda in profondità; oltre ad un’interpretazione (o riproduzione) di un’epica culla dell’Occidente verosimilmente sui generis, attraverso forme espressive integrante di cui non riusciamo a vederne una certa autenticità, ci sembra cogliere in “Odissea A/R” solo un’evoluzione formale dell’ultima Emma Dante, lontana dalla poetica più “viscerale”, e che si sofferma su una certa rielaborazione di topoi mitici e culturali. Il risultato è promettente esteriormente, difatti il pubblico accoglie con entusiasmo la performance e la sua piacevolezza, ma resta la prospettiva unidimensionale di un discorso che già lo era in “Io, Nessuno e Polifemo”, ancorata ad una mente più registica, accorta più al pregio della forma che ad una sostanziale poetica, istanza necessaria che ci aspetteremmo di scorgere nel vuoto spazio scenico. Si aggiunge alla vicenda della reale famiglia di Itaca, insomma, un profilo estetizzante, e della medesima natura resta il recupero di una lingua e di modelli antropologici affini all’arida e calda Sicilia; un processo di astrazione di un patrimonio culturale stesso che rischia di diventare mera forma, categoria estetica, asservita ad una certa teatralità, seppur brillante e tecnicamente impeccabile, che però riproduce se stessa, e quindi, di conseguenza, pronta a divenir puramente retorica.
ODISSEA A/R
testo e regia Emma Dante
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