RENZO FRANCABANDERA | Dal 1975 il Teatro del Buratto di Milano è un’istituzione che opera in dialogo con il territorio ed una parte fondamentale del tessuto sociale, ovvero le famiglie e i più giovani. Abbiamo incontrato Renata Coluccini, da anni fra i referenti di questo gruppo di lavoro attivo nella ricerca dei linguaggi per le giovani generazioni e il teatro di figura.

Il Buratto ha sempre cercato di ragionare su una forma di teatro totale, che quindi non si rivolgesse ai bambini come entità separata di un consesso sociale, ma come parte integrata in un sistema collettivo. Una scelta che ha trovato nell’incontro di domenica 16 fra genitori, bambini e sindaco di Milano un momento forse emblematico. Come si è declinata in questi tantissimi anni di attività la scelta del Buratto in questo senso?

Da sempre il teatro del Buratto è mosso da due considerazioni: la prima è che il pubblico di bambini e ragazzi per noi non è il pubblico del futuro, ma del presente. E’ sull’oggi che vogliamo incidere; un oggi che soprattutto nelle domenicali ci auguriamo sia esperienza condivisa con i genitori; i bambini, i ragazzi sono parte integrante della società; e da come la società li considera e li tratta possiamo desumere il pensiero portante dell’epoca.

Inoltre per noi il teatro “per ragazzi” è teatro; un buono spettacolo funziona con tutto il pubblico, anche se indica delle fasce di età come riferimento; spesso gli spettacoli presentano diversi piani di lettura senza mai dimenticare l’utenza prioritaria.

Il teatro, la visione di uno spettacolo è prima di tutto un’esperienza condivisa, per questa ragione oltre alle domenicali organizziamo delle serate dedicate a “genitori e figli” in particolare rivolte agli adolescenti. Riscoprire la dimensione della condivisione e dell’incontro nell’atto teatrale ci sembra importante in un’epoca di rapido e spesso solitario consumo di ogni evento, esperienza.


Pensi davvero che un incontro con il sindaco sia un atto in qualche modo necessario o foriero di possibili risultati? Quanto pensi sia simbolo e quanto invece possibilità concreta? E secondo te, possibilità concreta di cosa?

Penso che da un lato sia interessante far incontrate ai bambini chi nella città dove vivono ricopre ruoli, fa lavori di rilevanza sociale (quello con il sindaco è stato il primo di una serie di incontri), dall’altra è importante provare a guardare all’infanzia riconoscendo la necessità di una politica culturale a essa dedicata, che non si limiti a eventi sporadici, ma si radichi nel territorio.

Al Sindaco sono stati consegnati i desideri dei bambini; far nascere, riconoscere e sostenere desideri, passioni ci sembra necessario perché importante propulsore per una crescita personale e sociale.

Concretamente accadrà qualche cosa? Non so, ma non possiamo smettere di provare, di sollecitare.

Il nostro sogno, quello che il Teatro del Buratto, coltiva da molti anni, è la creazione di una città teatro dei bambini, in cui a partire da una sede teatrale stabile (che possa permettere una serie di attività differenziate e che diventi luogo d’incontro e di pensiero) si creino collegamenti con altre realtà che alla cultura per l’infanzia si dedicano.

Che ruolo ha quindi il facilitatore, il mediatore culturale, l’artista in una comunità metropolitana, con istanze complesse? Secondo te è cambiato questo ruolo nei vostri quaranta anni e più di attività sul territorio lombardo e non solo?

Credo in parte di aver già risposto, Sicuramente nei quarant’anni il ruolo, ma anche il mondo è cambiato. Agli inizi il teatro ragazzi era parte attiva di un movimento culturale più ampio che coinvolgeva non solo il mondo del teatro e delle arti, ma anche la scuola, l’editoria, il mondo del lavoro … Si lavorava in sinergia per un rinnovamento culturale.

Oggi credo ci sia la necessità di rincontrarci, credo che il lavoro per riprendere in mano e sviluppare una cultura dell’infanzia sia necessario viste anche le rapidissime e intense mutazioni sociali. Bisogna riflettere su nuove genitorialità, sull’interculturalità, sulla necessità di sviluppare un pensiero critico nei piccoli e ritrovarlo nei grandi.

In quanto responsabile della stagione del teatro ragazzi del Teatro del Buratto, che pensi si possa fare per rinnovare il dialogo e la vicinanza fra giovani e linguaggio scenico? E’ davvero così fuori moda o invece, come in molti sostengono, il teatro ragazzi e il circuito delle scuole è l’unico polmone ancora funzionante del sistema di incontro fra spettacolo dal vivo e fasce ampie della popolazione?

Sicuramente il teatro ragazzi resta un settore vivo e di grande frequentazione. Avvicinare i bambini al teatro è importante e dove con le insegnanti (che, di fatto, scelgono lo spettacolo e condividono “il Rito”) si riesce a create un buon rapporto l’esperienza è più che positiva; lo stupore, l’emozione del bambino trovano terreno fertile, l’incontro con l’attore diviene un’esperienza unica. Insomma non certamente fuori moda e la diversità dalle altre esperienze ne costituisce un valore. Per quanto riguarda gli adolescenti ritengo che il modo per coinvolgerli sia quello di proporre spettacoli che trattino temi di loro interesse, perché il teatro non sia “ciò che studi” visto in scena, ma ritrovi una funzione di condivisione sociale di stimolo a critica e pensiero. Ribadisco che il teatro (per ragazzi o no) è un atto d’arte non di didattica.


Come è cambiata l’estetica nel vostro lavoro in questi anni e cosa significa parlare ai giovani nell’epoca delle nuove tecnologie? Pensi il loro uso sia importante negli allestimenti, o ancora la magia del semplice resta più potente di tutto?

Rivolgersi ai bambini non ti permette mai di fermarti; nuovi temi e nuovi linguaggi con cui ti devi confrontare. Rispetto alle nuove tecnologie, ritengo che possano essere un elemento arricchente dello spettacolo là dove ne hanno funzione drammaturgica. Noi abbiamo la possibilità di usare strumenti nuovi e diversi, ma devono avere un senso, essere una necessità per l’azione teatrale, non un “ammiccamento”.

Che consapevolezza è chiamata a dare l’arte alle giovani generazioni? Pensi che l’arte abbia o debba avere un ruolo civico o invece, nella sfida del futuro, spingere un po’ più sulla fantasia, in un mondo forse troppo schematico e prigioniero di algoritmi?

Permettere l’esperienza del “bello”, provocare stupore, emozione è un grande risultato. Penso che i giovani oggi vadano educati alle emozioni, a riconoscerle a dargli un nome, e l’arte può ben svolgere questo compito. Altresì mi pare fondamentale che l’arte mantenga un ruolo di provocazione, di stimolo, di impegno civile e soprattutto educhi grandi e piccoli al pensiero critico.

Finiamo con te, con te persona e artista. In questi anni di lavoro sei stata a fianco di grandissimi del teatro e dell’arte, da Fo in avanti. Cosa ti è rimasto delle lezioni più importanti, dal punto di vista umano? Che tipo di guerriera sei ora?

Innanzi tutto penso che la cosa più importante sia che io, la mia generazione, abbiamo avuto dei “maestri” amati, combattuti, seguiti o rifiutati ma dei “maestri”, cosa che non vedo nelle generazioni seguenti.

La coerenza (o almeno il suo tentativo), il desiderio di non fermarsi, la curiosità, l’impegno sociale sono ancora oggi gli elementi che muovono il mio essere teatrante.