RENZO FRANCABANDERA | Ci sono quelli ormai alle porte dei 40 anni che hanno voglia di coprire i primi capelli bianchi con un’intensa attività di cocktailing. O quelli che hanno appena finito la terza media che di colpo si proiettano in problematiche esistenziali degne del miglior Ibsen. L’età di mezzo è sempre stata un incubo che il teatro ha saltato a piè pari: non è un caso che le proposte per questa età siano scarse, poco attraenti e svagate, anche perché è un’età in cui il gusto cambia, i destinatari passano ore chini sui dispositivi elettronici, divorando video a valanga, in un continuo beep di messaggi whatsapp che nascono dall’iscrizione a gruppi a tema inverosimili.
Dunque il gap di comprensione verso la generazione che fra meno di 5 anni andrà a determinare le sorti elettorali del paese, come pure di quella dei lavoratori di mezzo, che continuano il gioco liquido della precarietà fino ai 40 anni, è assoluto. Non ne sappiamo nulla.
Eppure qualcosa si muove, in Italia. Dritti con i piedi nel piatto arrivano sulla questione, ad esempio, Daniele Turconi e Matteo De Blasio con “Mondo Cane”, uno spettacolo prodotto da Frigoproduzioni che sarà ad inizio dicembre in scena al Sala Fontana a Milano insieme a Socialmente, che nasce all’interno dello stesso gruppo di lavoro e interpretato da Claudia Marsicano e Francesco Alberici.

Mondo Cane è un lavoro di una crudeltà esemplare, che racconta un personaggio, fra ironia e realtà, incapace di aderire ad alcun precetto politico, sociale emotivo che non sia una piccola dimensione edonistica larga poco più della sfera intima. In una scena con un dj che mette musica dal vivo (De Blasio), fra neon rosa shocking come i vestiti del protagonista, incontriamo il tardo adolescente all’esame di maturità e lo accompagniamo, fra università, amori finiti, stage fasulli e precarietà assoluta verso il progressivo svanire di tutti i suoi obiettivi di lungo termine.

Nulla arriva ad interessarlo profondamente se non il raggiungimento di equilibri di breve periodo, ad un carattere che ha la pretesa del finto autobiografismo, indossato da due post adolescenti con una interessante formazione anche internazionale di arti sceniche in senso lato. La costruzione dal punti di vista ritmico ha la pregevole crudeltà di mettere in crisi lo spettatore, così che nei momenti di cesura emotiva, quelli in cui tipicamente dovrebbe arrivare l’applauso, egli si trovi di fronte alle situazioni più tragiche e fallimentari del protagonista, costringendo chi è scomodo in poltrona ad un dilemma quasi esistenziale che spiazza il rapporto con la creazione artistica.

daniele-turconi-on-stage-teatro-mondo-cane-00480162-001-640x357Tanto più questa risulta convincente e tanto più lo spettatore è nello spettacolo, tanto meno ha voglia di applaudire, perché attorcigliato in un vortice di tracolli esistenziali, tanto che persino l’happy end si perde in una telefonata surreale, per aprire uno squarcio di realismo spiazzante, che di colpo porta in scena un’altra generazione, un altro progetto, una vita capace di guardare avanti in maniera generosa. Una nonna non convenzionale e madre degli ultimi. E il paragone fra quelle inconsistenze umane che negli anni 80 si abbandonarono all’eroina e i giovani adolescenti che nell’oggi social si narcotizzano di futuri impossibili è presto servita. L’ululato del protagonista, in un finto verismo scenico molto ben calibrato e ammalato, è l’ultimo verso di un essere che non trova modo di dar voce alla belva interiore, incastrata com’è in dialoghi con voci off sempre molto assertive e senza incertezze, figlie di una generazione ideologicamente non vacillante ma che ha generato con le sue certezze un presente sfaldato e inverosimile fino a 20 anni fa. Le certezze dei blocchi contrapposti sono lontane secoli e il nuovo ordine mondiale ha il sapore della disperante povertà. Come Esilio di Mariano Dammacco, questo lavoro ci proietta in un futuro che è già presente, con cui rifiutiamo di dialogare perché il fallimento è sempre meglio tenerlo lontano, almeno fino a quando non ci si aggrappa alle spalle e ci dice che a fallire siamo noi. E a quel punto ci vediamo in un buco nero con il vuoto attorno. Uno spettacolo di esemplare crudeltà, che fa sentire lo spettatore scomodo fin dalle prime battute, che ricorda La terra dei figli, l’ultima creazione del graphic novelist Gipi, per una prospettiva purtroppo non ottimistica ma da cui non riusciamo a staccare gli occhi.

Pretesa per certi versi analoga è drammaturgicamente perseguita, con una parola scenica colorita e senza mediazioni, da “Tropicana” una storia familiare per quattro personaggi scritta dalla trentenne Irene Lamponi, scuola veneta. La vicenda è presto detta: Lucia (la madre, interpretata da Elena Callegari) è stata lasciata da suo marito, del cui ritorno resta in attesa. Del suo andar via non riesce a darsi ragione proprio nell’età più esposta di Nina (la figlia, la stessa Lamponi), che vive in un mondo in cui iniziano ad affacciarsi i sentimenti fra imbranataggini e diffidenze. Contraltari di queste figure sono Meda (la vicina di casa e amica di Lucia, Cristina Cavalli) e Leo (il fidanzato di Nina, Marco Rizzo), la prima chiusa in un turpiloquio costante che corrisponde ad un’anestesia emotiva verso il mondo, il secondo invece appassionato e caldo, che cerca di portare sentimento in questo consesso tutto femminile e scomposto. La costruzione drammaturgica proprio perché fatta di contrappesi non in equilibrio è interessante (anche se non perfetta) e viene affidata alla regia di Andrea Collavino, che deve cercare il modo, invece, di creare una struttura a- là-Calder, dove tutto risulti in armonia rispetto alla direzione prescelta.

imgresize-1-phpA far da contraltare all’universo emotivamente dissestato della famiglia-non famiglia un fondale scenico da cameretta dei bambini, azzurro e con le nuvolette d’ovatta, il mobilio da stanzetta, insomma un mondo che vorrebbe uscire dall’infanzia ma dove tutti, adulti compresi, si comportano come bambini. 

Insomma una serie di pensieri interessanti e tutti un po’ in contrasto, dove però l’amalgama scenica non arriva a bersaglio. La regia infatti, a nostro parere, trova una modalità realmente efficace per porgere allo spettatore i dubbi e i conflitti che il testo vuole sviluppare (non senza qualche ingenuità e piattezza, come si diceva, specie nella figura di Meda). Alcuni incompiuti drammaturgici infatti, risultano poi in una composta dal sapore incerto: figure inchiodate in un recitato di ambiente sit com, che finisce per incastrarle in una gruccia caratteriale da cui non riescono a scuotersi, lasciando la sensazione di poca profondità, ed il personaggio che va in maggior sofferenza è proprio quello della ragazza adolescente, a testimonianza di come il racconto di questa età sia un coltello assai tagliente e senza manico, che bisogna impugnare dal verso giusto e con molto molta accortezza.

 

MONDO CANE

di Matteo De Blasio e Daniele Turconi
con Daniele Turconi
alla console Matteo De Blasio
Frigoproduzioni

 

TROPICANA

testo Irene Lamponi
creazione drammaturgica realizzata con il sostegno di “CRISI – Teatro Valle Occupato” 
con Cristina Cavalli, Elena Callegari, Irene Lamponi, Marco Rizzo 
regia Andrea Collavino 
produzione Fondazione Luzzati Teatro della Tosse Onlus