VALENTINA SORTE| Partiamo dal titolo. Ma quale? Quello ufficiale, Il Paradiso degli idioti, o quello che all’interno dello spettacolo gli fa da controcanto, ovvero il Paradiso degli eroi? In altre parole, chi abita il Paradiso de La Ballata dei Lenna: degli idioti o degli eroi? La questione non è banale.

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Da una parte c’è Andrea (Nicola Di Chio) che, dopo la morte del padre, è alle prese con la sua prima sceneggiatura “Il Paradiso degli eroi”, appunto: una saga cinematografica di supereroi che daranno il via ad una nuova era dell’umanità, la cui scena madre prevede l’uccisione di Adamo ad opera di una Donna-Scimmia. Il suo paradiso è a tutti gli effetti un universo parallelo, sovraccarico di simboli e di evasione, in cui si riversano i goffi tentativi di un trentenne di gestire l’eredità dei padri.

A irrompere in questo microcosmo immaturo e galvanizzato, dal lontano Canada, è la sorella Sonia, rientrata in Italia per leggere insieme al fratello il testamento morale lasciato dal padre prima di morire. Sonia, a differenza di Andrea, ha i piedi ben piantati a terra. Fin troppo. È un’artista visiva molto spregiudicata, pronta a travalicare qualsiasi limite etico pur di affermarsi. Realizza cioè vere e proprie statue viventi, ricorrendo alla più estrema chirurgia estetica: allungamento o accorciamento degli arti, amputazioni, sbiancamento della pelle. Una sorta di ORLAN ancora più radicale.

Le loro sono due forme di iperrealtà agli antipodi. La prima per difetto di realtà, la seconda per eccesso. Due deliri di onnipotenza che devono però fare i conti con un mondo tutt’altro che eroico, fatto di fallimenti e disillusioni.

Innanzitutto non esiste alcun testamento. Andrea si è inventato tutto per costringere la sorella a tornare, assente anche ai funerali di famiglia. Il messaggio è forte lo stesso: il padre non ha lasciato alcuna eredità morale ai figli. Una lezione dura quanto quella di Cristian Mungiu in Bacalaureat. Solo che qui, nemmeno i figli si salvano. I due fratelli sono infatti due figure antieroiche e senza riscatto, incapaci di prendere in mano la situazione o di gestire anche solo simbolicamente l’uccisione dei padri. Idioti?

Questa ambivalenza si ritrova anche nella partitura scenica. Lo spettacolo viaggia su due registri molto leggibili: quello più onirico e performativo che trova piena espressione nel gesto e nelle immagini, e quello più realistico e narrativo che prende forma nei dialoghi e nell’uso degli oggetti. Sicuramente quello più riuscito è il primo, grazie ad un bravissimo Francesco Marilungo nei panni di Adamo e alla capacità visionaria di Paola Di Mitri (alla regia) di comporre dei quadri surreali ma sempre equilibrati, e di scivolare con disinvoltura in cornici più realistiche, curando molto bene le transizioni dagli uni alle altre. E viceversa.

Due sequenze molto riuscite sono senza dubbio quelle legate alle metamorfosi di Adamo. All’inizio dello spettacolo vediamo Marilungo uscire da un cellophane uterino con un rosso cordone ombelicale, alla cui estremità è fissato un microfono. Questo microfono/cordone sarà la sua estensione cognitiva ed empirica, una protesi tattile e percettiva del mondo che userà per esperire sé e gli altri. Una riscrittura scenica della Fenomenologia della Percezione di Maurice Merleau-Ponty.

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Altrettanto suggestiva è la lenta trasformazione di Adamo nelle fattezze di un asino, sia nelle movenze del corpo che nella comparsa di orecchie posticce, se non addirittura di una maschera d’asino. L’andatura bipede cede il posto alle quattro zampe, lasciando intravedere interessanti ibridazioni morfologiche uomo-scimmia-asino degne del Codex seraphinianus. Anche Miriam Fieno nei panni dell’eccentrica artista in preda ad un vero e proprio delirio creativo ci regala una sequenza molto energica, dove il senso di sproporzione e l’eccesso riescono attraverso il gesto ad alleggerire e ritmare la narrazione.

Il Paradiso degli idioti è un lavoro interessante e ricco di potenzialità che può migliorare certamente sotto due aspetti. Per prima cosa deve mirare ad un maggiore equilibrio tra la texture drammaturgica e la scrittura scenica. I dialoghi risultano a volte eccessivi o poco efficaci, perché prevedibili o non essenziali allo sviluppo della storia o dei personaggi. Il rischio è infatti di appesantire una scena che vive al contrario nelle parti più performative. Togliendo tutto ciò che è superfluo, la composizione acquisterà di certo un ritmo più fluido e godibile. Anche perché La Ballata dei Lenna ha uno spiccato linguaggio visivo, sia nella scelta dei costumi che delle scenografie. Forte ad esempio l’idea di usare delle buste di plastica appese a lunghi cordoni ombelicali per costruire una parete divisoria fra l’interno della casa e l’esterno o per avvolgere gli oggetti in scena. Bravi quindi Valentina Menegatti, Eleonora e Lucio Diana.

In secondo luogo, è vero che lo spettacolo gioca sull’esplicita sovrapposizione di simboli e sulla capacità di rovesciarli, prendendoli per quello che sono ma anche distaccandosene con uno sguardo più ludico, ma la sensazione finale è quella di un eccessivo accumulo di segni non del tutto funzionale alla struttura dell’opera. L’operazione è pericolosa perché invece che aggiungere livelli di lettura e arricchire il lavoro finisce col depotenziare e soffocare i singoli elementi.

Detto questo, La Ballata dei Lenna non se l’è cavata affatto male. Dopo i primi spettacoli nati dalla collaborazione con Michele SanteramoLa protesta, Cantare all’amore e Realitaly – questo è un primo esperimento “solista” che fa intravedere la ricerca di un codice espressivo più personale e specifico, e di certo da seguire nella sua evoluzione.

IL PARADISO DEGLI IDIOTI

con Nicola Di Chio, Paola Di Mitri, Miriam Fieno, Francesco MariIungo

drammaturgia e regia Paola Di Mitri

scene Eleonora Diana, Lucio Diana

costumi Valentina Menegatti, 

con il sostegno di KILOWATT FESTIVAL, TEATRI DI BARI, TEATRO KISMET OPERA

Visto ad Arcene, all’interno della rassegna E.T. extra teatro – teatro in luoghi insoliti organizzata da Qui&Ora Residenza Teatrale