MATTEO BRIGHENTI | Bianco. Alle pareti, per terra. Bianco perché il teatro riscrive il mondo ogni sera. Gli Appunti di un pazzo, che Alessio Bergamo ha tratto dal quasi omonimo racconto di Gogol’ Le memorie di un pazzo (1835), sono fuori, all’ingresso della reinventata sala del Circolo Arci ‘La Pace’ di Compiobbi, Fiesole (provincia di Firenze): il nome sul campanello del sottosuolo immaginifico di Aksentij Ivanovič Popriščin. Quei fogli sono il dopo, il già stato, la fine che sarà. Il riscatto della fantasia contro l’ottusità del potere, della vita e dell’amore contro la disumanità e le barriere sociali, abitano oltre una piccola rampa, una breve rincorsa per un salto all’indietro nella luce splendente delle opportunità del prima.
La scelta di mettere un passo avanti all’altro schiude davanti agli occhi lo spettacolo più inventivo e poetico dell’anno, tra Terry Gilliam e Lewis Carroll, Eugenio Barba e Giancarlo Sepe. Una produzione che vede riuniti i fiorentini Teatro dell’Elce e Cantiere Obraz, in collaborazione con il romano Postop.
Il debutto nazionale all’interno della rassegna ‘Il Sole d’Inverno’, promossa dal Teatro Solare di Fiesole, è un diario scandito nella testa di un uomo qualunque, che si (de)costruisce di fronte a noi giorno dopo giorno: sono appunti, non memorie, la descrizione degli avvenimenti succede nello stesso momento dell’azione. L’una, quindi, cambia al cambiare dell’altra, merito della straordinarietà di attori in ascolto continuo del respiro della scena, un ensemble che rende pratica vibrante l’insegnamento di Stanislavskij di amare l’arte dentro se stessi e non se stessi dentro l’arte. Essere, prima di fare. Sentire, prima di dire. La verità dalla pienezza delle relazioni: un approccio che non ha quasi più nessuno, perché quasi più nessuno ha il coraggio di mettersi in gioco sul serio.
Ingegnere, architetto e muratore di Appunti di un pazzo non può che essere Popriščin in persona, cioè il funambolico Domenico Cucinotta, che ci osserva prendere posto con sguardo dolce e benevole, contento e divertito nel vedere così tanti ospiti a casa sua, poi in ufficio al ministero, poi ancora nell’intera città di San Pietroburgo. Ci disponiamo frontalmente e a sinistra e a destra della scena: il cielo e le ali dell’alto volo di cui Popriščin sarà sia soggetto che oggetto. L’universo degli Appunti, infatti, è quello che descrive per il suo e nostro diletto, con tocchi onirici su una tela di oggetti quotidiani, un trovarobato da caffè concerto. Lo stesso impiegato, che appunta le penne e fa commissioni che farebbero i sevi, lo conosciamo soltanto attraverso di lui: esiste solo il Popriščin di Popriščin.
Tutto esce dalla sua bocca, dal suo sguardo, dalla sua mente, come dai quattro ingressi nei lati lunghi più due nei lati corti della sala oppure dalla cassettiera-scadenziario in metallo con le ruote che spinge in scena Mavra, la donna delle pulizie interpretata da Marco Di Costanzo. Quei cassetti custodiscono i desideri del padrone più forti e profondi, quelli che lo fanno sentire superiore all’ambiente in cui vive. Il compito di Mavra, presenza comica e amara, che Di Costanzo restituisce unicamente con lo sguardo e il linguaggio del corpo, è rimettere Popriščin al suo posto: gli fa da argine ed è l’ultima a perdere la speranza e a gettare la spugna, ovvero il battipanni tramutato in scettro dal travet quando si crede Ferdinando VIII re di Spagna.
Per il momento, comunque, rimane strettamente legato ai parametri di giudizio dei suoi pari. Non è ancora in conflitto con la società in quanto sistema ingiusto, disumano e illogico, aspira solo ad avere un ruolo e una posizione diversi, più gratificanti. Sul cammino dell’ambizione incontra così il capufficio (Erik Haglund), risata sprezzante e ciuffo dadaista; il direttore generale (Stefano Parigi), etereo e svolazzante come le pratiche ministeriali su aeroplanini di carta; l’assistente-sgherro-tirapiedi (Massimiliano Cutrera), capace di fulminarti con una smorfia; Sophie (Alessandra Comanducci), la figlia del direttore generale che ruba il cuore di Popriščin con un’indiavolata danza sul posto. Il ‘teatro magico’ allestito da Alessio Bergamo per tradurre sul palcoscenico il ‘realismo magico’ di Gogol’ raggiunge il massimo splendore con la cagnetta di Sophie, la scodinzolante e pirotecnica Meggy impersonata da Daniele Caini, che insieme alla Fidèle di Parigi inscena un irresistibile scambio di lettere a quattro zampe, da cui peraltro Popriščin viene messo in scatto matto: Sophie è promessa a un altro, più alto in grado di lui.
La causa della sua follia, allora, non è tanto l’ambizione, è l’amore, l’unico sentimento che lo differenzia dagli altri e dal suo stesso modo di pensare. Al grottesco, che finora ci ha strappato infiniti sorrisi, si aggiunge il tragico: quell’amore è realmente ‘folle’ e dunque ‘umano’ nella realtà paradossale e disumana descritta da Gogol’.
Cominciano a saltare i riferimenti temporali, le date non sono più pertinenti. Popriščin esce progressivamente dal suo personaggio sociale per entrare in quello mentale del re di Spagna. Ha una sua logica: al mondo non c’è posto per lui, in Spagna non c’è il re, di conseguenza lui è il re di Spagna. Ormai non comanda più la realtà che gli si compone davanti, ciò che vede e sente è diverso da ciò che vediamo e sentiamo. La storia che lo includeva adesso lo esclude.
Scende su di noi uno stato di diffusa insofferenza. Non perché Appunti di un pazzo si smarrisca, come pure sembra dare a intendere, ma perché ci sta facendo provare cosa significa avere la mente sopraffatta da immagini e visioni, avere tutto in testa senza riuscire a dirlo. È incredibile: siamo diventati Aksentij Ivanovič Popriščin.
Abbiamo riso e irriso, gioito, sperato, palpitato, ora la scelta iniziale che ci ha portato qui mostra il suo rovescio, la responsabilità di accettare Popriščin perfino nella cattiva sorte, di condividere il peso della sua croce, di spartirne lo stigma di malato di immaginario.
I personaggi del racconto sono riconoscibili, ma come sfumati in ossessioni ripetitive, non guidano il loro carattere, ne vengono guidati, e le frasi che prima avevano addosso sono scomparse, accecate sono le pagine di diario da cui sono nati. La fantasia è scolorita in un incubo, il letto a castello del sogno si è ribaltato nella gabbia di un manicomio, che ci costringe a rivedere tutto da un diverso e opposto punto di vista. Ciò che era immaginazione, dunque, poteva essere anche il sintomo di una malattia sociale.
Domenico Cucinotta si fa carico di un andamento grave e doloroso, è una maschera drammatica dalla solenne regalità spirituale, mentre le sue ‘creature’ girano in tondo, sperdute come ombre nella notte. Cosa vogliono i medici da lui? Non ha più niente, neanche la forza di fantasticare, ha solo un ultimo lamento da esaudire, prima che il buio lo ingoi.
Eppure, Appunti di un pazzo ci dà la possibilità di salvare lui e l’umanità che rappresenta dentro ognuno di noi. Impegnandoci in un viaggio di risveglio e rinascita, verso la necessità di una qualche follia per scrivere con creatività la nostra esistenza tra le righe inesorabili dei giorni.
Altrimenti, la morte di Aksentij Ivanovič Popriščin sarà stata, davvero, follemente vana. E nemmeno la magia del teatro potrà riportarne indietro l’esempio.
Appunti di un pazzo
di N.V. Gogol’
regia di Alessio Bergamo
con Daniele Caini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Marco Di Costanzo, Erik Haglund, Stefano Parigi
scene e costumi Thomas Harris
una coproduzione Teatro dell’Elce, Cantiere Obraz
in collaborazione con Postop
con il sostegno produttivo di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il sostegno di Regione Toscana
Visto mercoledì 7 dicembre 2016, Teatro del Circolo Arci ‘La Pace’ di Compiobbi, Fiesole (Firenze).
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