FRANCESCA DI FAZIO | Dal 7 all’11 dicembre si è tenuta a Parma la terza edizione di Impertinente Festival, il festival di teatro di figura che da tre anni a questa parte propone un incontro di questo teatro con un pubblico sempre più variegato, educandolo ad allontanarsi dall’idea che teatro di figura significhi necessariamente teatro per l’infanzia.

 

Gigio Brunello
LA GRANDE GUERRA DEL SIPARIO.
Spettacolo per baracca, burattini e voce narrante
di Gigio Brunello e Gyula Molnar

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Linda e Mario, due burattini anonimi, trascorrono la loro vita quotidiana dietro la tenda del sipario, su un palcoscenico dove avrebbero dovuto recitare in passato la storia di Filemone e Bauci, se la produzione non fosse stata improvvisamente sospesa. Una notte però, senza che essi se ne accorgano, arriva la Morte a rubare il sipario. Il popolo dei burattini si sente minacciato e individua come colpevole dell’affronto il popolo dei peluche. Sarà l’inizio di una grande guerra che avrà termine solo quando la Morte deciderà di porre fine agli scontri facendo ricomparire il sipario. E se grande è il dolore di Fata Turchina e Balanzone per la morte del burattino Pinocchio, i suoi resti germoglieranno nel giardino dei due burattini anonimi tramutandosi in un ciliegio, facendo loro ricordare le ultime battute di quello spettacolo per cui non furono mai usati, Filemone e Bauci.
L’ultimo lavoro di Gigio Brunello, burattinaio e drammaturgo vincitore nel 2002 del Premio della Critica Teatrale per lo spettacolo Macbeth all’improvviso, conferma l’originalità dei suoi testi che mescolano con leggerezza tragedia e riso. Ne La grande guerra del sipario, sketch divertenti intersecano una trama che, seppur con sguardo delicato, narra di violenza, di perdita, di ostilità e conflitto tra uguali.
Lo spettacolo si compie interamente in baracca, la quale è più grande delle baracche “standard”: è un parallelepipedo di legno chiuso ad ogni lato, il boccascena è un rettangolo che si apre sulla parte superiore della facciata; esso è privo dunque di arco scenico e di decorazioni ai lati, è una semplice apertura nella parete lignea. Lo stesso rigore caratterizza l’interno: esso è spoglio, scevro dai consueti fondali dipinti e da qualsiasi decorazione, le pareti sono nere e nude, in alto è il supporto per le tendine del sipario. Nel corso dello spettacolo anche gli oggetti di scena saranno quasi del tutto inesistenti: quel che riempie tutto sono le teste di legno, le loro vite e le loro battute.

 

Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia
DAI 3 AI 93. Una meravigliosa invenzione. Vittorio Podrecca e
il Teatro dei Piccoli
di Barbara Della Polla ed Ennio Guerrato

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Il teatro stabile Friuli Venezia Giulia porta uno spettacolo che ricostruisce l’avventura di Vittorio Podrecca, impresario e direttore della compagnia di marionette I Piccoli di Podrecca, da lui fondata a Roma il 21 febbraio 1914.
Dai 3 ai 93 è uno spettacolo narrativo in cui traspare il lavoro di ricerca e ricostruzione che la compagnia ha attuato per restituire i particolari più significativi e interessanti dell’impresa di Podrecca.
Il palco presenta un allestimento visivamente fascinante, con il ponte di legno e le marionette appese a vista. Ve ne sono tantissime e di ogni fattura, tra le quali un gran numero di marionette originali, animate da un gruppo di marionettisti che mantengono vivi gli storici numeri del varietà: ci sono il pianista Pikkolowski, la cantante Silforosa, i Divisionisti, Serafina e la palla, Bill Boll Bull, gli Struzzi, la Rumba…
I momenti agiti dalle marionette si intervallano a momenti di racconto effettuati da Barbara Della Polla e a proiezioni video di alcuni spezzoni di spettacoli originali e di cinegiornali che raccontano gli sviluppi della compagnia oltreoceano, dopo il trasferimento in Argentina dovuto agli anni della seconda guerra mondiale.
Una costruzione drammaturgica meno simmetrica e un po’ più mossa avrebbe reso lo spettacolo più intrigante, lontano da toni documentaristici che richiamano necessariamente il più diffuso format televisivo. Ma dalla sala si esce divertiti e con la sensazione di sapere qualche cosa in più: una buona sensazione.

 

Teatro Gioco Vita
DONNA DI PORTO PIM
Ballata per attori e ombre dal racconto Donna di Porto Pim di Antonio Tabucchi
un progetto di Tiziano Ferrari e Fabrizio Montecchi
con Tiziano Ferrari
regia e scene Fabrizio Montecchi
oggetti e sagome Nicoletta Garioni
musiche Alessandro Nidi
luci Davide Rigodanza
assistente alla regia Lucia Menegazzo

Il racconto di Tabucchi trova una nuova trasfigurazione nella forza visiva delle ombre. Un solo attore interpreta sia lo scrittore (Tabucchi stesso) che il protagonista del racconto, un vecchio baleniere, un uomo affascinante che racconta la storia della sua vita. Al centro di essa, l’incontro fatale con una donna di cui s’innamorò perdutamente ma che non riuscì a fare mai sua, se non nell’estremo momento in cui la forza della gelosia lo portò a compiere il femminicidio.
La recitazione un po’ troppo accademica di Tiziano Ferrari ci fa entrare nel vivo di una storia passionale che riesce più coinvolgente grazie alle scene umbratili realizzate dalla regia di Fabrizio Montecchi, responsabile artistico della compagnia Teatro Gioco Vita, dalle sagome realizzate da Nicoletta Garioni e soprattutto dalle incantevoli musiche di Alessandro Nidi.
L’attore è al tempo stesso il manipolatore delle sagome, delle quali si avvale per rafforzare il suo racconto usandole per disegnare le visioni d’ombra su due pannelli di tela bianca posti sul fondo del palco. Le ombre sono dunque agite a vista sia davanti che dietro lo schermo dei pannelli. Il resto dell’impianto scenico è sobrio, più che d’oggetti ci si avvale di materiali con cui vengono creati diversi effetti di luce: creta, sabbia, legno, acqua.
Riesce solo parzialmente lo sforzo della compagnia volto a creare la figura di un moderno dalang occidentale e contemporaneo: pur integrandosi bene il gioco delle ombre con la narrazione teatrale, quest’ultima mantiene un ruolo preminente e relega le interessantissime ombre a un ruolo di accompagnamento visivo; la forte presenza scenica dell’attore le relega altresì ad una posizione di subalternità rispetto ad esso.