RENZO FRANCABANDERA | E’ al teatro Libero di Milano, fino al 22 dicembre Questa sono io monologo per un personaggio e più identità tratto dall’omonimo romanzo di Federico Guerri, adattato per il teatro da Corrado d’Elia (anche autore di alcune tracce vocali), e interpretato da Monica Faggiani per la regia di Alessandro Castellucci. “Tre, due, uno. In onda. Intervista ad una delle donne più amate del momento. Femmina perfetta. Il suo corpo si sviscera sui cartelloni pubblicitari. Un orgasmo mediatico. Lei è una che ce l’ha fatta. Ha fatto il botto. Accavalla le gambe. Saluta. A domanda risponde. Prende la pochette. Sorride. Fuoco in diretta”.
La parte più significativa del lavoro, che non si darebbe senza l’interprete, riguarda il rapporto fra la protagonista della storia, Laura Prete (ovvero i suoi diversi volti) e l’attrice Monica Faggiani, che si rende incarnazione di un’identità finta, ma tanto finta da sembrar vera, quasi fastidiosa nella sua prima declinazione, e poi via via sempre più cruda e lucida, in una vicenda che riverbera di costruzione e narrazione massmediale. I tre aspetti del carattere della protagonista, infatti, in questo thriller surreal-criminale in cui il pubblico diventa anche pubblico dello show televisivo in cui è ambientato l’inizio della pièce, assomigliano davvero a tre caratteri venuti fuori dai canali telematici della pay tv: la soubrette del programma postprandiale per umanità casalinghe (uomini o donne che siano), la assassina in puro stile serial killler da programma sulle personalità criminali tipo Lucarelli, e poi la protagonista di un docufiction su una terrorista dal tratto autistico-geniale.
Nel romanzo queste tre facce della stessa medaglia sono in dialogo, addirittura si parlano e tracciano in modo netto, sullo sfondo, un affresco sociale dai toni abbastanza nitidi e riconoscibili, dove ai personaggi che popolano il romanzo davvero potrebbe darsi nome e cognome, sfogliando la cronaca politica e da feuilleton dell’ultimo ventennio in Italia.
Nella riscrittura questo elemento, pur presente, un po’ sfuma sia per esigenze sceniche che per centrare il narrato sui tre caratteri dell’unica persona, che vengono svelati in sequenza: per prima la bella-scema, poi la lucida arrivista criminale, infine la geniale rivoluzionaria dalla personalità autistica, in un crescendo di incredulità e quasi sollievo nel leggere un vago riscatto da una femminilità troppo becera (la prima) per essere vera. Eppure….
Eppure quella femminilità è tanto assurda quanto attestata nella cronaca televisiva e da soft porno del sottobosco politico, quello che sempre intasa, fra giri di escort, droghe e altro, le cronache delle personalità di medio alto cabotaggio della macchina statale (e non solo al livello della politica, ma anche e forse soprattutto della macchina burocratica), per uno spettacolo consigliato ad un pubblico adulto non meno di quanto dovrebbe esserlo leggere i quotidiani e l’ostensione pornografica del tramonto (a livello planetario) delle democrazie.
Il rimando drammaturgico alla crisi valoriale del sistema sociale nell’era della comunicazione di massa aiuta la Faggiani a costringere il pubblico a guardarla, desiderarla, detestarla, ad incuriosirsi e sordidamente parteggiare, navigando nel degrado da cui riemergiamo in un finale di ribellione tanto inverosimile quanto non frequente nella realtà (quello dell’utopica e per certi versi romantica eroina rivoluzionaria): i due precedenti caratteri, quello della intrattenitrice analfabeta e quello della lucida ed arrivista prostituta di regime, sembrano invece la triste norma del degrado nell’era del like e del televoto. “Il pubblico da casa ha deciso…” Ma figuriamoci! Il pubblico da casa non decide proprio niente, per questo è così utile ai fini televisivi. Decide restando innocuo, quindi decide, si, ma tutto ciò che è inutile.
Ci pare centrale, infatti, anche se non scritto, l’elemento del riverbero mediatico della massa inerme nella sua riproducibilità catodica in un paradiso delle oche, dove il merito e il quoziente d’intelligenza sono un disvalore mentre la chiave di ingresso e permanenza nel mondo “che conta” è l’accettazione di squallidi festini di tono orgiastico. Pur di restarci dentro, pur di occupare uno sgabellino nel circo mediatico moltissimi/e sono disposti a qualunque cosa, e qui scenderemmo nel banale a dettagliare oltre.
Dal punto di vista critico, sicuramente la suggestione delle tre donne che si parlano fra loro per tutto il romanzo qui si perde e ciò riduce per certi versi la tridimensionalità dei caratteri che nella variatio polifonica trovano ulteriore maniera di acquisire una strana verosimiglianza, declinandosi l’uno nell’altro. La riscrittura per la scena, per altro canto, ha però la forza di impartire un ritmo molto serrato, capace di far saltare il banco nel momento giusto, conferendo alla creazione un andamento che porta bene il fulcro sull’interprete, che diventa nella seconda parte tanto più credibile quanto più televisiva e falsa è nella prima.
La verosimilissima oca diventa astuto corvo e poi spietata aquila. Aggiungono poco, invero, alcuni inserti video che di tanto in tanto narrano il personaggio da altro punto di vista o lo proiettano, nel finale, in una dimensione mentale quasi da videogame/matrix. Il centro dello spettacolo, e non potrebbe che essere così, resta la Faggiani, che all’inizio è solo corpo, per diventare poi personaggio e infine evanescenza psycho-killer, per una bella prova d’attrice in uno spettacolo che fila via d’un fiato, portando lo spettatore in un inferno poco distante dal divano di casa ma costringendolo qui, come nel finale di Arancia Meccanica, a guardare senza poter cambiare canale.
Questa sono io
da un romanzo di Federico Guerri
adattamento teatrale di Corrado d’Elia
regia Alessandro Castellucci
con Monica Faggiani
assistente alla regia Arianna Aragno
scene Andrea Finizio
luci Alessandro Tinelli
Produzione TLLT