EMILIO NIGRO | Un’imponente struttura scenografica campeggia la scena. Un muro, dall’irregolare forma esagonale. Formante un angusto angolo acuto nell’incontro tra pareti. A dare stratta profondità e rimpicciolire lo spazio d’azione. Renderlo relativo. Vicino allo sguardo, all’intromissione, al contatto. Confinato. Avvicinare lo spazio per intercedere ed attraversare. In antitesi alle dichiarazioni tematiche. Esporre, e quindi schernire, l’impossibilità di assoluto, umana, appannaggio di un benessere conseguenziale, materialista, effetto d’avere.

I personaggi di Dennis Kelly figurano in questo spazio scenico di per sé traccia di complicità intenzionale tra palco e platea. Si materializzano e svaniscono. Nella parola, secca, asciutta, d’una drammaturgia acclamata a livello mondiale, meccanica e di apertura, violenta e scarna, senza ammiccamenti.

La costruzione registica e attoriale a ricamo determinano il comparire d’un universo riconoscibile e scrutato. Epurato da vizi formali e di costume per un approdo carnale.

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foto Laila Pozzo

E la storia d’una coppia, David e Jess, si frammenta per quadri insubordinati alla regolarità temporale. Indipendenti eppure arti d’uno stesso corpo. Ripercorrendo le storie personali e dell’universo attorno, prossimo, anche remoto, in ogni caso connesso a sfumare e condizionare il rapporto di relazione.

Squarcio sul quotidiano, nell’indagine sociale di Kelly, a far fuoriuscire il sangue dalla pelle, senza mostrare le ossa. Per una partitura testuale forsennata, latente, di consumo e circolare dal punto di vista della compiutezza, pur se imbrogliata (nella sequenza temporale). Dall’ascolto diretto ma dai rimandi plurimi: capace di fare apparire sottotesti, di creare rimbalzo tra situazioni drammatiche non consecutive, di riportare, anticipare, predire e fare accadere.

Una parola potente. Ricreata per azioni, duelli, fronteggiarsi attoriale orizzontale e verticale, disegnando cifre vagamente manierate in alcuni contesti e imponendosi un deliziare il fraseggio prosaico.

E il muro alle spalle degli attori, si scompone per mano degli stessi, unico momento di svelamento, a suggerire simbolicamente una mano che modifica ambienti e luoghi ma poco può con qualcosa che interiore immutato persiste ai mutamenti.

Le storie attorno alla coppia divengono innate e crudeli, paradossali, tragiche. Talmente da risultare ridicole. Dei genitori alle prese con la sepoltura della loro figlia scomparsa prematuramente e il dolore trasformato in rancore… l’approccio di un viscido senex, banalmente carismatico, verso un’adolescente smaliziata e in cerca di facili emozioni, lo sfruttamento lavorativo determinato da coinvolgimenti sentimentali, isolamenti e andirivieni normativizzati. L’uomo e il relazionarsi. Con sé, annichilendo la dignità appartenente per natura (come il diritto), e comandato dalla materia.

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foto Laila Pozzo

Un disegno luci magistrale connota intenzioni e suggerisce toni, compone, caratterizzando fortemente il drammatizzato. L’appunto registico manovra e ricrea in maniera sobria, dividendo lo spazio, caratterizzando fedelmente alle tracce drammaturgiche, interponendosi nella figura a formalizzare, e dare sostanza, a ulteriori strati.

Il neo sta nelle differenze attoriali non supportanti a dovere la potenza espressiva, visionaria e drammatica del testo, in alcuni, forse troppi, momenti. Sarà per il poco rodaggio, probabilmente, che determina un’affinità ancora poco cementata. Ma la sensazione, avvertita in smarrimenti, declino di smalto e deviazioni verso lo smorto da una generale progressione di climax, è quella di non riuscire a supportare la diversità di dettami a cui si è chiamati. Attori brillanti quando le circostanze di parte avvicinano alle proprie corde e meno attenti quando si è chiamati a fuoriuscire dal ruolo, mutarsi. C’è tempo per raddrizzare il tiro. E uniformare lo spettacolo, comunque, di fragorosa potenza.    

 

Love&Money

di Dennis Kelly

regia di Marinella Anaclerio

con Stella Addario, Flavio Albanese, Antonella Carone, Patrizia Labianca, Tony Marzolla, Domenico Piscopo

scena e costumi Luigi Spezzacatene

disegno luci Franz Catacchio

organizzazione Tiziana Laurenza

Prod: Compagnia del Sole

Visto al Teatro Kismet Opera il 16 dicembre 2016 – Bari

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