ROBERTA ORLANDO | La troviamo distesa sul palco ad occhi chiusi, vestita di bianco, nell’attesa che il pubblico, attraverso il silenzio, la inviti a cominciare. Poi in una breve penombra, scorgiamo appena la sua figura che prende posto nel piccolo spazio scenico, un rettangolo di legno contornato da terra cosparsa e vasi vuoti, che simula un giardino incolto. Quando le luci si riaccendono, Vanessa Korn accoglie gli spettatori con un sorriso luminoso, che scioglie sin da subito quel sottile strato di ghiaccio, ultimo residuo di una quarta parete indesiderata. Ha così inizio A Parte Me, la prima sfida autoriale della Korn, che dopo il debutto nel 2015 e una serie di repliche, è andato in scena al Franco Parenti dal 25 al 29 gennaio. Con questo monologo che è più un dialogo col pubblico, l’introspezione profonda dell’attrice è accompagnata da rimandi a fenomeni socio-culturali attuali, creando immagini facilmente condivisibili che favoriscono l’immedesimazione.
Si parte da una riflessione sul corpo femminile, tema principale di questo spettacolo scritto su commissione in occasione della Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, che è ricorsa proprio qualche giorno fa, il 6 febbraio. Un compito accettato dopo qualche esitazione (ci racconta Vanessa) per via della superficiale conoscenza di questo fenomeno, che ha però ispirato una ricerca approfondita e un lavoro di riflessione di maggiore ampiezza rivolto a tutte le donne, di ogni cultura e Paese.
“Sono una donna libera. Sono nata dalla parte giusta del mondo” afferma l’attrice nella scena iniziale. Una pseudo-verità, si potrebbe dire, poiché l’ironia che pervade tutto il monologo si palesa in fretta, smascherando uno dopo l’altro cliché sociali e mediatici al femminile davanti ai quali è facile sentirsi inadeguate. Solo la difesa da questa inutile richiesta di perfezione può renderci libere. Ma allora, se la libertà presuppone la difesa, si può definire tale?
Il corpo della donna è fatto per essere modificato, lo si può constatare ogni giorno: il trucco, la depilazione, la chirurga estetica, il mito della pancia piatta, sono solo alcuni esempi su cui si fa luce nella pièce, ridendone insieme e menzionando spot pubblicitari firmati Mastrota e Marcuzzi. Ma pian piano il fascio di luce si allarga, fino a raggiungere la sua massima espansione toccando l’argomento degli interventi di mutilazione genitale, seppur con il tatto e l’onesto distacco di chi può solo immaginare cosa voglia dire. L’attrice, nel riportare informazioni teoriche e testimonianze di donne vittime di mgf, recita in tono cronachistico e in posizione statica e scomoda, come costretta sul lettino di un ginecologo. Questi brevi intermezzi sono delle parentesi all’interno del lavoro introspettivo della Korn, che richiama e accompagna il nostro sguardo prima su di sé, poi su noi stessi per poi andare oltre e intorno a noi. A parte me è un inno all’amore, un invito a darne con la speranza di riceverne, un esempio di paziente attesa dei primi germogli nel proprio giardino, o di quell’amore che sa andare oltre i difetti e i momenti bui, un’attesa che implichi però una costante cura, almeno verso quel piccolo mondo che esiste “a parte noi”.
L’avevamo vista anche allo Spazio Avirex Tertulliano, il 3 dicembre, col suo nuovo spettacolo Je Suis la Mer (titolo in francese che forse vuol essere un tributo alla poesia di J. Brel, Conosco delle barche). Nato da una riflessione sull’emigrazione, si concretizza in un racconto sul viaggio, visto come spostamento, cambiamento e di conseguenza smarrimento e ricerca del proprio posto nel mondo. Anche in questa occasione, Vanessa Korn ci offre una parte della sua storia personale, fatta presumibilmente di viaggi e cambiamenti sin dai tempi della prima infanzia. Così, come onde che smuovono un mare tranquillo, emergono le difficoltà di chi ha dovuto abbandonare una stabilità e andare verso l’incognito di ciò che è nuovo, col peso dei ricordi, dei bagagli, della paura di non farcela.
Anche qui, come nel primo lavoro, l’attrice esordisce nell’ombra del palcoscenico e si mostra con discrezione, con la sincera timidezza di chi sta per lasciarci una parte di sé. Al tragicomico scenario di vita quotidiana nel monolocale milanese in cui si è appena trasferita (gli scatoloni sono l’elemento scenografico prevalente), vengono sovrapposti racconti di viaggio che trasportano il pubblico dalla realtà a una dimensione onirica, fatta di memorie personali, letture, rielaborazioni di racconti popolari e musica (da viaggio, appunto, come Long Way Home di Tom Waits o Fast Car di Tracy Chapman o ancora Homesick dei Kings of Convenience). Il risultato è leggero e coinvolgente, ma a tratti manca un po’ di originalità: ad esempio i riferimenti, seppur giocosi, all’Arca di Noè o all’Odissea, sono rimandi al tema del viaggio che ci risultano un po’ scontati e pertanto destituiscono il testo di quel mistero e dell’intimità che lo caratterizzano per la maggior parte. La lettera di un padre espatriato o il racconto biografico della madre dell’attrice, sempre in viaggio, sono risultati in tal contesto più interessanti di Ulisse, e questo è un valore da considerare. Sarebbe piacevole veder evolvere questo lavoro in una direzione che preveda maggior coesione tra le varie scene e che chiarisca meglio la linea tematica.
La recitazione di Vanessa Korn è la maggior certezza di questi due spettacoli. Lei sa esprimere dolcezza e sincera gentilezza, trasformando un percorso insidioso come quello che racconta in un’avventura, che è un po’ quello che si fa quando si affrontano discorsi scomodi coi bambini. Ecco, torna bambina in diversi momenti scenici, per poi mostrarci una donna che si fa ancora un sacco di domande, che ha compreso le scelte difficili che affollano la vita di un adulto o un genitore, lasciando intravedere anche un desiderio di maternità che supera la paura di questo compito arduo. E non c’è forse miglior genitore di chi non sa essere, all’occorrenza, un po’ bambino?
Je suis la mer
di e con Vanessa Korn
A parte me
di e con Vanessa Korn
produzione Crisalidi e Oyes