MATTEO BRIGHENTI | Nascere, crescere, invecchiare, morire. Il tempo è una linea retta e implacabile, passa e scolorisce l’oggi dal mattino alla sera, giorno dopo giorno. È legge ed è natura. L’unica forza che spezza questo vuoto a perdere di senso è l’amore, perché costruisce il futuro condividendo il presente che in due, insieme, si chiama “per sempre”. E quando arriva la routine o peggio, molto peggio, la malattia, se è davvero amore impari ad accettare che per tua moglie i calzini sono guanti e la borsa un cappello. Entri nel suo mondo, stai alle regole dell’Alzheimer, per rendere la vita comune, quella che c’è ancora, che rimane, vivibile per un altro po’.
Semplice e struggente quanto la fisarmonica che suona per loro, André e Dorine di Kulunka Teatro più di ogni altra cosa ci ricorda o insegna come si ama di fronte alla fine. José Dault, Garbiñe Insausti ed Edu Cárcamo non proferiscono alcuna parola, si muovono nel silenzio di gesti e volti chiusi in grandi maschere che coprono la testa, i capelli, la nuca. Eppure, sulla scena sale un’intera città di caratteri e stati d’animo, sprizzando ironia e tenerezza a ogni passo: un teatro visuale lontano dal dato oggettivo e degradante di Sul concetto di volto nel Figlio di Dio della Socìetas Raffaello Sanzio, un teatro di figura scevro dall’asetticità anaffettiva di Amour, il film di Michael Haneke con Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. “Quando c’è il cuore e il talento non servono parole per emozionare”, commenta una spettatrice accanto a me.
Kulunka Teatro è una giovane compagnia nata nel 2010 nei Paesi Baschi, in Spagna, grazie a Garbiñe Insausti, attrice, produttrice e cantante, e José Dault, attore e produttore. Con Edu Cárcamo formano un portentoso trio che riesce a ricreare in André e Dorine qualcosa come 15 personaggi, seguendo una drammaturgia collettiva diretta da Iñaki Rikarte (le maschere sono creazione della stessa Insausti). Vincitore nel 2011 al Birmingham European Festival e al Havana International Theatre Festival, lo spettacolo ha all’attivo più di 400 repliche in più di 25 paesi in tutto il mondo. Un teatro nei fatti, oltre che nelle intenzioni, accessibile al grande pubblico, senza confini per via di un linguaggio muto che usa le maschere come finestre su un mondo di sensibile leggerezza. Per la loro prima volta in Italia i Kulunka Teatro hanno scelto il Teatro di Rifredi, per anni la casa fiorentina dei berlinesi Familie Flöz, a cui, inizialmente, possono essere associati: le maschere dei Kulunka sono diverse e originali, gli occhi di chi le indossa non sono visibili, la vitalità e l’espressività sono in capo alla destrezza degli attori, anche mimi e performer.
André e Dorine abita un salottino in miniatura, a destra una sedia, una scrivania, una macchina da scrivere, alcune mensole con dei libri, a sinistra una poltrona e un violoncello. Alle pareti carta da parati, fotografie, un attaccapanni con i ganci. Una scena domestica accompagnata dal battere a macchina di André e dal suonare di Dorine: lui disturba lei, lei disturba lui. Sono vestiti modestamente, i calzettoni, il cardigan, le maschere allungate, quasi imbronciate, di chi ha già visto tutto e non si aspetta più niente. L’esterno arriva dopo il campanello, è il figlio a cui regalare lo stesso golf rosso e bianco di quando era piccolo. È la quotidianità stanca di una coppia anziana, fatta di abitudini esauste che si ripetono senza meta, né accordo, né armonia, finché Dorine non è come attraversata da un’ombra: vacilla, per un attimo sembra dimenticare chi è, dove si trova. Dalla casa allora l’azione si sposta nella sala d’attesa di uno studio medico.
Qui Dault, Insausti e Cárcamo danno coinvolgente prova di un’ironia delle piccole cose (ad esempio, se il vicino ha la scabbia e si gratta, ci si allontana di un posto) ingigantite dalle maschere che paiono cambiare forma, espressione, perché nel frattempo sono cambiati i rapporti tra i corpi e le situazioni – abbiamo tutto scritto addosso, come afferma danzando We love Arabs, visto da poco proprio al Rifredi – e di conseguenza è mutato il nostro modo di guardarle. L’albero non diventa scuro quando è buio, è la notte che scende, ma l’albero di per sé resta albero. Il nostro sguardo si comporta allo stesso modo con le maschere: le ricopre e attraversa come lenti d’ingrandimento posizionate su persone comuni con problemi comuni. Perciò, quei volti finti che nascondono e svelano tic, manie, ossessioni, paure e speranze, sono teatro, sono il teatro.
Per rimuovere la notizia dell’Alzheimer André si butta sulle notizie, sul giornale, una copia riconoscibile de “la Repubblica”. Sta succedendo oggi, qui, adesso: André e Dorine vibra di contemporaneo, è impegnato e collegato alla realtà. E nella realtà si ride, perché la tragedia è anche comica, la malattia assume sembianze buffe, le piace scherzare, e mettere la vestaglia al contrario, usare i calzini come guanti o la borsa come cappello, fa ridere. Diverte però noi che assistiamo da fuori, da dentro è un dramma ancora più insopportabile: una doppia lettura resa possibile dal concerto straordinario dei gesti, che scatenano i nostri sorrisi, con le maschere, attraverso cui capiamo che non c’è niente da ridere.
Ci guardano spesso, soprattutto André, volta la testa, rompe la quarta parete, e ha l’aria di chiederci: “E ora?”. Il figlio rifiuta la malattia della madre, abituato, come tutti i figli, a prendere più che a dare. Lui, André, comprende invece che non può far altro che accompagnare Dorine: il suo a parte non è di sconfitta o resa, è di pietà, compassione, amore incondizionato.
Inizia così un viaggio all’indietro nella loro storia per raccontare e raccontarsi chi erano. Le foto ricordo si staccano dalle pareti e diventano quadri di vita vissuta, l’incontro, la prima volta, il matrimonio, la casa, la nascita del figlio. André batte a macchina e il passato si disegna un passo oltre il presente: una costruzione scenica che rende concreto il futuro che avevano davanti e che ora devono ritrovare nell’oscurità che li sovrasta. Per tornare a essere chi sono sempre stati e continuare ad amarsi. Nonostante la fine, che arriva ultima, ma arriva per tutti.
ANDRÉ E DORINE
di Garbiñe Insausti, José Dault, Iñaki RIkarte, Edu Cárcamo, Rolando San Martín
regia Iñaki Rikarte
con José Dault, Garbiñe Insausti, Edu Cárcamo
scene LLaura Eliseva Gómez – luci Carlos Samaniego “Sama”
costumi Ikerne Giménez – maschere Garbiñe Insausti
musica Yayo Cáceres
Visto giovedì 9 febbraio 2017, Teatro di Rifredi, Firenze.