RENZO FRANCABANDERA | Non vorremmo iniziare questo articolo dicendo che Roma è una città nel marasma: rischieremmo una gogna mediatica che non abbiamo tempo di fronteggiare. Certo però lascia stupiti come, di fronte a problematiche certamente note e che occorre anche ovviamente risolvere perché riguardano tematiche di rispetto della legge, la solerte amministrazione di Virginia Raggi, il suo assessore alla cultura Bergamo, le municipalità, le forze dell’ordine, concertino e concentrino le loro attenzioni sui teatri.
Nel giro di nemmeno quarantott’ore a Roma è stato sgomberato il Rialto Sant’Ambrogio e messo sotto sequestro il Teatro dell’Orologio. Dopo che ieri il III Dipartimento del Comune di Roma ha eseguito il recupero coatto della struttura di via di Sant’Ambrogio dove si erano presentati, all’alba, i vigili urbani, questa notte è toccato ad un altro luogo storico della cultura teatrale indipendente della capitale: il Teatro dell’Orologio di Roma è stato infatti messo sotto sequestro dalla questura.
In meno di due giorni la capitale rinuncia a due degli spazi più vivi e conosciuti a livello nazionale del circuito indipendente.
Il Rialto, un palazzo al Portico d’Ottavia, ospita, tra gli altri il Forum dei movimenti per l’acqua, Attac!, il circolo Gianni Bosio, Transform, il Forum ambientalista. Adesso c’è una catena all’ingresso e i sigilli ad ogni piano.
All’Orologio il problema è invece la storica e nota a tutti mancanza di un’uscita di sicurezza, da sempre assente.
Che la situazione potesse infuocarsi lo lasciava presagire anche il nome dello spettacolo in cartellone: Combustibili, della compagnia umbra Teatro Di Sacco.
Il giovane gruppo che da alcuni anni ha rilanciato la struttura rilevandone la direzione artistica, commenta così quanto accaduto poco dopo la mezzanotte: “Sono venuti in otto, appartenenti alla polizia di stato, ai vigili del fuoco, all’ispettorato del lavoro: non c’era niente fuori posto, o sono 37 anni che siamo fuori posto. Hanno voluto controllare tutto. Era tutto in ordine, tranne ciò su cui non siamo mai stati a posto: l’uscita di sicurezza”.
Questa è la classica storia della beffa, la storia che si scontra con la Storia, visto che al teatro dell’Orologio avevano anche provato a realizzare un’uscita di sicurezza, ma come sempre capita a Roma appena si scava per mettere giù un tubo o aprire un portone, viene fuori qualche mitreo, qualche catacomba, una domus. “Noi ci abbiamo provato, con uno sforzo economico e di energie non indifferenti, siamo arrivati a tre metri dall’aprire quell’uscita, ma poi abbiamo trovato la Storia e ci siamo dovuti fermare.”
A quel punto il giovane gruppo dirigente cerca un’interlocuzione con le amministrazioni competenti, per cercare una soluzione pro tempore, una deroga.
La tutela della cultura che ammazza la cultura è veramente un paradosso che solo la città di Roma e chi la vive può comprendere in tutta la sua devastante portata.
Il passato incancellabile a tratti sembra impedire un presente accettabile.
Certamente non sono rari i casi in cui dopo eventi tragici ci si dice: lo si sapeva da cento anni. Così come anche, non perché una situazione irregolare dura da decenni, deve proseguire necessariamente senza regolamentazione. Ma quanto stridore fanno queste chiusure, tutta questa solerzia, nella città delle ville sul Colosseo a propria insaputa, delle polizze a propria insaputa. E anche dei 1000 localini senza uscita di sicurezza, dei venditori abusivi, dei parcheggiatori abusivi, dei gladiatori abusivi. Tutti regolarmente al loro posto stamattina, alcuni anche sotto gli occhi dei vigili urbani. Stai a vedere, adesso, che il problema di Roma era proprio l’unica cosa saputa!
Sembra la sindrome dei macachi di Romeo Castellucci. Una cosa che si sa da mesi e che non si riesce ad evitare.
E soprattutto, la cosa che viene da chiedersi rispetto ad una amministrazione capace sarebbe questa: sai, perché si deve sperare che lo si sappia a livello amministrativo nel dialogo fra le funzioni, che stai per mettere i sigilli a due istituzioni culturali attive, dinamiche. Stai chiudendo due spazi che la città vive profondamente. È mai possibile che questa cosa non possa essere prevenuta dalla convocazione delle parti E dall’assegnazione pro tempore di uno spazio, una qualsivoglia struttura, qualcosa che eviti di infliggere una ferita senza avere nemmeno a portata di mano qualcosa utile a ricucirla?
“Cerchiamo una risposta da parte di tutte le forze politiche: crediamo di essere un bene, un’istituzione culturale. Se non è così, ditecelo: non ha senso continuare a farci del male.” Sosteniamo e chiediamo la stessa cosa anche noi.
Che strana assonanza poi: l’orologio, il tempo passato, il tempo presente, il futuro. Chissà che tic tac batte sui tavoli dell’amministrazione capitolina, e che orario segna.