L’Asta del Santo
L’Asta del Santo

MATTEO BRIGHENTI | Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi. Lo dice il proverbio, la saggezza popolare comprovata nei secoli dei secoli – e la voce del popolo è la voce di Dio. Chi è nel numero dei beati, e come tale è riconosciuto dalla Chiesa, va rispettato, non può e non deve essere usato per scopi, interessi o affari privati. Con L’Asta del Santo Gli Omini se ne fanno beffe: smerciano santi costruendo un caustico mercante in fiera sulle loro vite.
Non sono però blasfemi, ma dissacranti, nel senso stretto del termine, cioè riportano al suo valore terreno ciò che per tradizione è stato considerato intoccabile. Restituiscono ai santi la loro umanità, li staccano dai santini in cui il tempo li ha fissati per restituirceli nello specchio paradossale delle carte da gioco. Lo spettacolo diventa così la messa (in scena) laica della nostra religiosità quotidiana. Del resto, i santi stanno su tutto, vie, piazze, edifici, e anche nelle carte d’identità.
L’Asta del Santo, o meglio il progetto Casamatta, di cui fanno parte anche L’uovo e il pelo (per bambini) e Io non sono lei, è lo spartiacque della compagnia toscana. A fine 2011 sentono l’esigenza di allargare i confini del loro percorso artistico, sviluppando e arricchendo le individualità di ognuno. È in questo periodo che la formazione cambia, Riccardo Goretti esce dal gruppo e poco dopo entra Giulia Zacchini, che si unisce a Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini. È storia, ma è ancora presente, perché L’Asta del Santo da allora è stato replicato a teatro, in piazza, in spiaggia, in pineta, alla bocciofila, nei circoli, contro la facciata di una chiesa, nel giardino di un prete e nelle serre. I disegni sono di Luca Zacchini, i testi di Giulia Zacchini, in scena ci sono Francesco Rotelli e lo stesso Luca Zacchini.
All’ingresso della sala del Teatro di Rifredi di Firenze Rotelli ci consegna un piccolo sacchetto di carta. È vestito di bianco e porta i sandali con i calzini bianchi, pare tanto un Testimone di Geova quanto un tedesco in vacanza al mare. Nel sacchetto ci sono delle monete, gettoni che variano da mille a centomila lire. Naturalmente, chi più ne ha più ne potrà spendere, ma questo solo il caso può deciderlo oppure, in sua vece, ci si può coalizzare e mettere in comune con altri il proprio gruzzolo: l’unione aumenta il potere d’acquisto.
Sul palco, al limitare della ribalta, è accesa una fila di lumini, più che votivi da night club o insegna di Broadway, mentre al centro sono tirati tre fili come quelli per stendere il bucato all’aria aperta. Rotelli fa gorgogliare del vino rosso in un bicchiere e poi brinda alla salute del pubblico da dietro una sorta di pulpito di legno. Adesso pare dividersi equamente tra un chierichetto un po’ attempato e un cameriere che si versa da bere a fine turno. Suona un campanello ed entra Luca Zacchini. È vestito anche lui di bianco, ma in più ha le scarpe e un cardigan rosso. Cammina aggrappandosi a un bastone: è il Gandalf dei banditori, l’officiante de L’Asta del Santo.
Il silenzio, fin qui quasi assoluto, viene rotto quando Zacchini inizia l’omelia, la spiegazione delle regole di questa partita con la santità. Hanno scelto 52 santi, tanti quanti un mazzo da gioco, tra i 4000 esistenti, ciascuno con la sue straordinarie avventure, sovrannaturali peripezie, impensabili morti disegnate su carte divise in 4 semi: Rosso, i santi martiri; Grigio, i santi di strada; Nero, le sante donne; Bianco, i santi d’acqua. Le figure sono splatter e naïf e ricalcano tutte la forma del pesce, che è uno dei simboli cristiani più arcaici (in greco antico ‘pesce’ è l’acronimo delle parole ‘Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore’). Prima il racconto della vita del santo, poi le offerte. Solo in tre vincono e i premi sono bottiglie di ‘acqua santa’, San Benedetto, Sangemini…

Disegno di Luca Zacchini
Disegno di Luca Zacchini

C’è l’asta semplice, l’asta multipla, l’asta al ribasso, lo scontro diretto per alzata di mano. Chi si aggiudica l’asta guadagna una carta e porta il santo corrispondente al sorteggio per la vittoria finale. Tutti quelli che passano il turno vengono appesi da Luca Zacchini ai fili stesi in palcoscenico, mentre Francesco Rotelli, ‘fratello pesce’, si muove per la platea a contare i soldi e consegnare le carte.
In bilico tra ironia e agiografia, sarcasmo e rigore storico, con fare più da imbonitore che da banditore a La migliore offerta di Tornatore, Zacchini illustra, commenta, nomina santi noti e meno noti, che sembrano usciti da un libro di Benni: San Tranquillino, San Poppone, San Oliva, San Calimero. Su Sanremo Rotelli dimostra di avere una gran voce cantando il capolavoro festivaliero Ciao amore, ciao di Tenco: è molto più di una spalla comica, è l’incarnazione del misticismo, dell’estro, del senso del sacro che ne L’Asta del Santo percorre anche le strade battute dal pop.
Le biografie sembrano incredibili e invece sono vere o comunque ricostruite da fonti e testimonianze storiche. Babbo Natale, Santa Claus, ad esempio, in principio era San Nicola, un greco del 280 d.C. vescovo in Turchia. Un giorno, si racconta, entrò in una locanda il cui proprietario aveva ucciso tre ragazzi, li aveva fatti a pezzi e messi sotto sale, servendone la carne agli ignari avventori. Nicola non si limitò a scoprire il delitto, ma resuscitò anche le vittime: “ecco uno dei motivi che lo resero patrono dei bambini”, chiosa Zacchini.
Santi si diventa facendo almeno due miracoli, avendo un’idea e non rinnegandola mai, anche a costo della vita. Una fede, una forza che non si può vedere né toccare, ma che ti sostiene nell’andare oltre di te, i limiti, la sofferenza. E noi a cosa siamo disposti a rinunciare per ciò che non è direttamente alla nostra portata, come la vittoria finale a L’Asta del Santo? È facile ‘avere fede’ quando si usano i soldi finti, ben più difficile quando entra in gioco la moneta vera: il rischio è alto, la posta bruciante. Uno spettatore, forse un complice, a metà partita offre 1 euro, gelando la platea (succederà in un altro paio di occasioni). Ora non si scherza, si fa sul serio.
I conti del valore del nostro investimento su di noi e sulle nostre possibilità di farcela, stante la disparità di partenza della distribuzione dei denari, arrivano al termine dello spettacolo, quando Gli Omini ci chiedono di restituire loro i gettoni non spesi e le carte non pagate con soldi veri: solo ciò che abbiamo realmente comprato resta nostro. Quindi, più in generale, soltanto ciò per cui veramente ci spendiamo ci ripaga, anzi, ci arricchisce. In scena Luca Zacchini ci ha mostrato il suo secondo miracolo, il primo ce l’ha messo in tasca. Quest’asta è davvero di un santo.

L’ASTA DEL SANTO
un mercante in fiera sulle vite dei santi
con Francesco Rotelli, Luca Zacchini
disegni Luca Zacchini
scritture Giulia Zacchini

Visto venerdì 17 febbraio 2017, Teatro di Rifredi, Firenze.