RENZO FRANCABANDERA e ELENA SCOLARI | RF: Ricco interno alto borghese. Cena lussuosa. Una decina di ospiti in abito di gala. Se non fosse a colori potrebbe essere un film muto di inizio secolo scorso, perché sul muro in alto appaiono proiezioni testuali in carattere liberty manco fosse una pellicola anni Venti. L’occasione del festeggiamento è una nomina importante, per la classica cena teatrale delle beffe. E infatti dopo alcuni minuti, proprio mentre il festeggiato inizia il suo discorso di ringraziamento, fra carampane ingioiellate, rampantelli di nuova generazione e qualche dandy dal tratto omo, arriva la polizia per arrestarlo. Apriti cielo, fuggi fuggi generale e topi che abbandonano la nave.
ES: Secondo me in questo spettacolo si parla di due cose, in buona sostanza, e nessuna delle due nuova: della boria un po’ imbecille dei ricchi corrotti e della solitudine incombente quando si viene beccati con le mani nella marmellata. A mio avviso è più interessante la seconda, benché già sondata.
Credo che Souper, tratto da La cena dell’ungherese Ferenc Molnar (l’autore de I ragazzi della via Paal, per intenderci), nella traduzione di Ada Salvatore per la regia di Fausto Paravidino, sia una rappresentazione divertita, esagerata, veloce, di quanto può essere tragico il declino di qualcuno che cade dal potere alle galere, tu che dici?
RF: Divertita e soprattutto nella prima parte divertente, con un buon ritmo iniziale, che fra ironia sociale e schemi drammaturgici consolidati nella tradizione classica alla quale il regista-autore sempre guarda con buona capacità di rielaborazione in proprio, introduce lo spettatore in uno schema in cui ben presto, complice la sempre presente musichetta thriller, ci si aspetta il delitto…
ES: I personaggi – seduti a una tavola che per prospettiva allude alle Ultime cene con convitati più noti – sono tutti Giuda di fronte all’accusato, tutti pronti a segnare la propria estraneità ai fatti criminosi. Sono una compagine di “tipi”, tanto improbabili quanto stupidi, resi maschere da costumi, gioielli e trucchi pesanti: vecchie col braccio sempre teso a farsi riempire la coppa di champagne, bancari servili e adulatori, mogli pacchiane e insincere… Il ruolo che è forse più significativo nel suo silenzio è quello della cameriera, in crestina e uniforme, giovane e storpia, non parla, serve, rabbocca i bicchieri senza sosta, dispensa bollicine zoppicando tra un calice e l’altro.
Io ci ho visto la diversità, anche nel difetto, perché fisico e non morale, di chi è a servizio di una classe superiore per censo ma se ne distingue. Irrimediabilmente.
E qui mi pare possa stare una chiave di lettura: un testimone muto della pochezza umana che traballa nell’andatura ma che assiste a tremolii ben più gravi.
RF: Senz’altro questa intuizione del servo muto non è un’idea da camera da letto, per giocare con le parole, il poggia abiti, anche perchè i suoi passi e il suo saliscendi dallo scalino che separa la stanza della cena dal resto della casa sono amplificati quasi in un grottesco riecheggiare della profezia della caducità della ricchezza. Ma è poi vero che la ricchezza e l’egoismo sono la forza che esce sconfitta dalla storia. Alla fine il mandato d’arresto è lo scherzo di un parentello di campagna dal tratto buontempone.
ES: Dal punto di vista teatrale io trovo che dopo la rivelazione dello scherzo il testo cominci immediatamente a sfilacciarsi e a ripetersi, è già stato tutto detto e lo spettatore rilegge subito il senso di ciò che ha visto in tempi molto rapidi, bene quindi che la chiusura arrivi poco dopo. Anche perché l’attore che interpreta l’ideatore del diabolico scherzo (l’attore Andrea Germani, scuola Piccolo Teatro e premio Ubu con gli History Boys all’Elfo) deve recitare con un tono stridulo difficilmente sopportabile per tempi lunghi, diciamolo. Così come gli applausi da sit-com dopo ogni battuta. O sono troppo insofferente?
RF: Diciamo che l’esperienza teatrale di Paravidino ben gli suggerisce di non tirarla per le lunghe, non separando troppo il sipario dalla rivelazione del motivo di conflitto, sanato il quale ovviamente la crapula ipocrita riprende, secondo il più classico degli schemi, con ancora più vigore di prima, sommergendo tutto e tutti di laido strusciarsi dell’opportunismo.
ES: La riscrittura di Paravidino è pulita, decisa (specialmente per la parte della moglie del direttore), non lascia però con questo lavoro un segno particolarmente incisivo, direi. Firma un quadro tagliente per brevità e godibile per il susseguirsi di giochi di prestigio ma che difficilmente può rimanere nella memoria a lungo. Il che per me avviene quando mi si lascia da pensare, qui è tutto messo in tavola su piatti ben evidenti.
RF: E’ un divertimento teatrale ben costruito nella prima parte, che trova il suo esito in un colpo di scena, esaurito il quale la vicenda non trova altro spunto. Tutto riprende più o meno dal punto di partenza immobile: Paravidino torna, come spesso accade nelle sue drammaturgie, nell’immobile cechoviano, rivisitato con la buona intuizione dell’ibridazione dei segni mutuati dal cinema. Ma restano due idee originali dell’allestimento, più che del testo.
ES: L’andamento drammaturgico è accompagnato da luci ad effetto, una parete di fondo che si colora segnando cromaticamente i cambi di atmosfera, musiche che creano suspence cinematografiche, tutto è molto carico, non ci sono equivoci, se non nei rapporti tra i personaggi, quelli sì, equivoci e chiaramente utilitaristici.
RF: Bene nel complesso gli attori a raccontare le maschere di una società che la regia vuole dire immortali, dove il ricambio generazionale, anche se meno elegante e più cafoncello, certo non fa mancare la continuità sulle sedie che contano. Per parte mi sono divertito, nell’esatto istante in cui mi stavo chiedendo: a questo punto dovrebbe finire, effettivamente il tutto finisce. Nessuna rivoluzione. Forse è proprio quello che vuol dirci il regista. Ma è poi così vero in un mondo dove fuori soffia tempesta e stravolgimento? Forse ne vedremo delle belle, purtroppo, e magari qualche bufera arriverà anche in qualche salotto addobbato.
Souper
Di Ferenc Molnar
Traduzione Ada Salvatore
Adattamento Fausto Paravidino
Scene Laura Benzi
Costumi Sandra Cardini
Suono e video Daniele Natali
Aiuto regista Maria Teresa Berardelli
Luci Alessandro Macorigh
Foto di scena Simone Di Luca
Regia Fausto Paravidino
Produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Interpreti: la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos e Federica De Benedittis (attrice ospite)