“Siamo a teatro, è tutto finto. Siamo a teatro, è tutto vero.”
MARTINA VULLO | 3 Marzo. Teatri di Vita. La scena di W.S. Tempest ad opera del Teatro del Lemming coincide con l’intera sala Pasolini del teatro di Borgo Panigale, priva per l’occasione di poltrone. L’atmosfera è cupa e i 30 spett-attori guidati fino a lì dal drammaturgo e regista Massimo Munaro, distinguono nel buio 7 performer. Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Katia Raguso, Marina Carluccio, Alessio Papa, Boris Ventura e Alessandro Sanmartin sono dispersi nello spazio con i volti illuminati dalla luce fievole di una candela. Seduti a terra scrivono su fogli. Con le braghe nere, la blusa bianca, i sorrisi eterei e l’espressione assente, complice la musica composta dal regista, in grado di far sconfinare lo sguardo dentro a una dimensione più emotiva, ci appaiono come la rievocazione dell’autore elisabettiano, osservato qui nell’atto della sua creazione. Una voce al microfono sussurra di non aver paura, mentre i performer allungano le mani e con un accennato “vieni” chiamano a sé gli spettatori. Prende così avvio il naufragio: ma è quello di Prospero? di Shakespeare? della compagnia? o degli spettatori? Le domande sono tante ma, come un aneddoto rivelato in confidenza dagli interpreti ci insegna, una chiave, in fondo, non occorre.
Quella che segue è un’immersione sensoriale nell’eco dell’Opera shakespeariana, pretesto per un affondo altro nel teatro e poi, attraverso lo scambio, nell’individuo. La tempesta è uno stato d’animo, creato da frammenti di frasi che gli attori sussurrano o gridano agli avventori e dai loro spostamenti repentini e condivisi nello spazio. È un viaggio in un immaginario fatto di antichi libri, di acqua, terra e bambole che muovono i primi passi (gli elementi scenici di Luigi Troncon). È una ricerca di senso: è la domanda amletica, il canto di Ariel, è l’atto V, scena V del Macbeth dove la vita è paragonata al fugace declamare dell’attore (il performer bendato e a petto nudo, che scagliato a forza contro gli spettatori cerca con loro un contatto, prima dell’emarginazione). Il naufragio è quello del teatro che cerca di resistere interrogandosi sul proprio ruolo, malgrado la marginalità a cui lo costringe la voce grossa dei luoghi comuni, ambulante e urlante sopra un podio rosso. Naufragio è l’empatia creata da un’attrice che fa uso del dialetto veneto, è la creazione di un rituale collettivo, esplicitato dal suono del tamburo accompagnato dal marciare degli artisti a petto nudo: simil-sacerdoti di una funzione dionisiaca. È la ricerca dell’incontro con l’altro, sottolineata dall’invito alla restituzione di un feedback nella lettera postuma allo spettatore.
Come Amleto und Die Fortinbracmaschine di Roberto Latini, rivisitazione di una rivisitazione shakespeariana, che scompone in frammenti evocativi le parti di una tragedia antica, al fine di farla parlare con l’attualità, chiedendosi continuamente dove stia lo sguardo (letteralmente “where is this sight?”), anche W.S. Tempest del Lemming, terzo movimento di una più ampia trilogia shakespeariana (insieme ad Amleto e a Romeo e Giulietta – lettere dal mondo liquido) ricorre all’eco di un classico – anzi, dei classici shakespeariani – per farlo rivivere attraverso lo sguardo del pubblico. Cambia la modalità che è in questo caso quella di un teatro partecipativo, fatto di corpo e fiato, di scambio e di empatia.
drammaturgia, musica e regia Massimo Munaro
con Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Alessio Papa, Maria Grazia Bardascino, Boris Ventura, Marina Carluccio, Katia Raguso, Alessandro Sanmartin
elementi scenici Luigi Troncon
una produzione Teatro del Lemming 2016
Visto il 03/03/2017 presso Teatri di Vita di Bologna