ELENA SCOLARI | Un testo incompiuto è quanto di più congeniale Roberto Latini possa scegliere per una sua messinscena. Per di più un testo incompiuto di Luigi Pirandello, autore complesso anche nei suoi lavori completi. Con l’aggiunta della caratteristica metateatrale I giganti della montagna è un’opera che si presta perfettamente alla riflessione sul contrasto tra finzione e realtà e quindi sul ruolo dell’attore e del teatro che Latini sta percorrendo in modo profondo nel corso della sua produzione, di recente con Amleto + Die Fortinbrasmachine di Heiner Müller.
Questo spettacolo, in circuitazione da circa due anni, ha un che di ieratico, sia nell’impianto estetico sia nella modalità scenica che l’attore (qui anche regista e adattatore del testo) ha costruito in collaborazione con chi ha ideato il piano luci e la cura di musiche e suoni (Max Mugnai e Gianluca Misiti).
La vicenda de I giganti della montagna mescola fin da subito la rappresentazione con la realtà, creando una sovrapposizione di piani: una compagnia di attori un po’ border line, capitanata dalla contessa Ilse, non trova dove rappresentare La favola del figlio cambiato (di Pirandello stesso) e girovagando si imbatte in una villa – La Scalogna – apparentemente abbandonata ma in realtà abitata da altri personaggi anche più bizzarri, il Mago Cotrone e gli Scalognati. Questi dapprima tentano di scoraggiare gli avventori con tuoni, fulmini e fantasmi ma gli attori sono cocciuti, non se ne vogliono andare, e così il mago, capace di realizzare ciò che appare nei sogni, si impegna a convincere la contessa a rappresentare il dramma per gli ospiti della villa, Ilse non acconsente ma finirà però per accettare di recitare davanti ai Giganti, soprannaturali e potenti signori occupati in misteriose faccende.
Il tutto è evidentemente una grande metafora, di non facilissima lettura, vita e sogno, esistenza e teatro, razionalità e forze occulte.
La realizzazione di Latini regala suggestioni visive bellissime, quadri scenici che immergono il pubblico in una dimensione sognante. Campi di grano, fumi, una cortina di garza che appare e scompare, frasi proiettate, bolle di sapone (sigh)…
Va però detto che lo spettacolo non accompagna lo spettatore dal punto di vista narrativo. Le scene si susseguono in un modo che non offre appigli saldi per la comprensione dell’intreccio, con la difficoltà di seguire il solo Latini in un caleidoscopio di personaggi. Pur avendo un’inclinazione favorevole al teatro non immediato e che richiede anche un tantino di fatica per essere compreso, questi Giganti mettono davanti a una prova per solutori più che abili.
La sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini, di dimensioni medio/piccole, a nostro avviso non era la più adatta per accogliere questo lavoro, abbiamo avuto l’impressione di una certa costrizione di spazi e il piano luci è parso un po’ frustrato. Certo al Castello di Lari (Pisa) dove tanti colleghi hanno visto lo spettacolo c’era un altro respiro.
Il rapimento prodotto dalla voce profonda, cavernosa e mutevole dell’interprete, tra i più intelligenti ed espliciti eredi del grande Carmelo Bene, è giusto ribadirlo, ottiene comunque il suo scopo ipnotico, l’utilizzo di microfoni ed effetti sonori fa della voce una materia che vuol essere elemento tangibile benché di natura evanescente. Onda invisibile che rimane nelle orecchie e nella memoria.
Roberto Latini è raffinatissima “bestia di scena”, il suo spettatore tipo non può essere un turista teatrale. Ma a dire il vero non è condiscendente nemmeno con chi si applica, il che è una scelta, legittima, il rischio è però crogiolarsi eccessivamente nelle architetture d’intelletto, in questo caso lavorando su un’opera già altamente simbolica e poco lineare.
Ci sono splendide parti di testo, in particolare il monologo su fantasmi, proiezioni, credenze di ognuno di noi: “…non crederete veramente di vivere? non crederete di essere davvero voi?” In queste e altre parole si gode con soddisfazione della bravura di Latini, perché in questi frangenti – in cui il testo diventa altamente poetico – l’attore si spoglia e la recitazione è rotonda, piena, inarrestabile.
I giganti della montagna consta di due atti, il terzo e ultimo è quello mancante, per sopravvenuta morte del drammaturgo. Il finale dello spettacolo vede avanzare l’interprete tremebondo, su un trampolino mosso dal secondo attore (quasi un doppio illusionistico), elevato per recitare davanti ai Giganti, sospeso sopra il pubblico, in un equilibrio eternamente incompiuto tra la paura di tutti gli umani e l’ispirazione esaltante di tutti i veri artisti.
di Luigi Pirandello
adattamento, regia e interpretazione Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci Max Mugnai
una produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti, Fondazione Orizzonti d’Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione
Roberto Latini vincitore del Premio della Critica 2015 (ANCT) per I giganti della montagna
Gianluca Misiti vincitore del Premio Ubu 2015 come Miglior progetto sonoro o musiche originali
Spettacolo finalista al Premio Ubu 2015 come Spettacolo dell’anno
Roberto Latini finalista al Premio Ubu 2015 come Miglior attore o performer