VALENTINA SORTE| Dicembre 2016, Zona K. E’ sull’immagine dell’attacco alle Twin Towers che Agrupación Seňor Serrano chiude Katastrophe, uno dei suoi ultimi lavori. Marzo 2017, Teatro dell’arte. A distanza di qualche mese, la giovane compagnia catalana ritorna a Milano con A House in Asia e apre lo spettacolo con la maxi proiezione di un simulatore di volo. L’obiettivo sono le Torri Gemelle. Una copia in 3D delle Torri Gemelle.
Inizia da questo punto la ricostruzione della più importante caccia all’uomo del XXI secolo, ovvero l’uccisione di Osama Bin Laden. E infatti la casa a cui allude il titolo è quella che si trova ad Abbottabad, in Pakistan, in cui è stato ucciso il terrorista islamico. Di quella casa, ci raccontano i Serrano, esistono almeno tre copie uguali: quella costruita in scala uno a uno nel North Carolina e usata dall’esercito americano per la simulazione dell’attacco; quella che è servita come set cinematografico alla troupe di Kathryn Bigelow per girare Zero Dark Thirty, in Giordania; infine quella riprodotta in miniatura per lo spettacolo e al centro dell’allestimento scenico. A queste copie reali se ne potrebbero aggiungere altre, virtuali: quella di Second Life e di “Kuma War II”, un videogioco basato sulla ricostruzione di reali eventi di guerra. Copie delle copie insomma.
E tutte queste copie, tutti questi surrogati di realtà diventano in qualche modo l’unico modo di esperire quella realtà. E’ facile confondere i piani. Si entra così nel vivo della riflessione del gruppo catalano: la realtà e la sua rappresentazione; la realtà e l’esperienza della realtà attraverso le sue rappresentazioni. Ovviamente in scena Alex Serrano, Alberto Barberà e Ferran Dordal riescono ad affrontare questi temi con molta disinvoltura, senza mai sedere in cattedra. Al contrario i tre sembrano divertirsi a moltiplicare e manipolare i piani della narrazione e della rappresentazione. Ogni casa si trasforma in un nucleo narrativo “aperto” che rimanda ad altre micro-narrazioni, creando una drammaturgia liquida, mai destrutturata.
E’ sorprendente vedere infatti tutti i modi in cui riescono a declinare e a giocare con il binomio copia/originale. C’è spazio per tutto: dal caso di omonimia tra Mark Owen, pseudonimo di Matt Bissonnette (esecutore materiale dell’attacco a Bin Laden), e Mark Owen dei Take That, al playback canoro di Alex Serrano, così come certe meta-sequenze sul copione della Bigelow che non fanno altro che confondere il piano della realtà e della finzione. Non mancano certamente degli importanti omaggi al cinema: vere e proprie poesie visive. In Birdie (2016) erano Gli uccelli di Hitchcock, in A House in Asia invece Goucho Marx e La guerra lampo dei fratelli Marx – la scena dello specchio, appunto.
Quello che però rende “esplosiva” questa riflessione, sicuramente non nuova nel teatro, è proprio il dispositivo scenico su cui Agrupación Seňor Serrano costruisce i suoi lavori e che gli è valso il Leone d’argento (nel 2015): una sorta di estetica della visione che si articola principalmente su tre piani. Il piano delle miniature, ovvero i piccoli oggetti in miniatura che allestiscono lo spazio scenico come fosse uno spazio installativo, il piano delle gigantografie, che consiste nella proiezione su maxi schermo degli oggetti e delle scene in miniatura, e infine il piano della manipolazione cioè quello dei performer che manovrano oggetti e telecamere, muovendosi “a vista” all’interno dell’allestimento scenico. L’interazione dei diversi piani è molto stretta e la visione d’insieme non è data dalla somma distinta dei tre livelli ma dalla loro simultaneità (e dall’uso di tecniche avanzate di post-produzione). Lo spettatore può infatti vedere sullo schermo il “prodotto finale”, l’immagine più vera del vero, e allo stesso tempo osservare gli altri due piani della rappresentazione. Non è azzardato paragonare la loro estetica a una nuova archeologia del vedere. Foucault e la sua lettura di Las Meninas non sono poi così lontani. I Serrano: dei nuovi Velasquez.
Grazie a questa capacità di costruire delle metafore visive tramite la simultaneità e lo slittamento dei piani prospettivi, la riflessione sulla rappresentazione della realtà scivola nella riflessione sulla rappresentazione dei conflitti. Il “pretesto” è presto trovato: è il caso di un’altra omonimia, ovvero Geronimo, il soprannome dato a Bin Laden dall’esercito statunitense nell’operazione Neptune Spear. Il gioco dei rimandi e dei due schieramenti nemici si riproduce allora in loop. I buoni e i cattivi. Bush/Bin Laden o Obama/Bin Laden da una parte, il Settimo Cavalleggeri e gli Apache dall’altra. L’allestimento scenico diventa un wester teatrale – a volte interattivo – dove decine di soldatini si fanno la guerra, sul campo e in rete. Non manca – ed è qui la finezza – nemmeno la coppia Achab/Moby Dick. La più grande caccia all’uomo del XXI secolo diventa così la più grande caccia al mostro.
Che effetto fa quindi sentire le parole di Bush o di Obama dalla bocca di Gregory Peck, o al contrario sentire le parole di Bin Laden dalla bocca di Geronimo? Quella dei Serrano è un’interessante operazione, più difficile da spiegare che da guardare. Si parte dall’accostamento e dalla sovrapposizione di due elementi, si passa poi ad uno slittamento (la voce di Obama sul labiale di Achab) che agisce per banalizzazione. Il risultato è una risignificazione piuttosto spiazzante degli elementi di partenza. Il meccanismo è talmente raffinato e ben strutturato che alla fine, come in un esercizio di magia, togli la sedia ma nessuno cade. Da Gli uccelli togli gli uccelli e resta la paura della gente mentre scappa, da Moby Dick togli la balena e resta l’ossessione di Achab. Prendi la balena bianca e mettila al posto di Geronimo o Bin Laden..il gioco è fatto. Un gioco sottile capace di andare dritto al punto.
A HOUSE IN ASIA
Agrupación Señor Serrano
CREAZIONE Alex Serrano, Pau Palacios, Ferran Dordal
CON Alex Serrano, Alberto Barberà, Ferran Dordal
PRODUZIONE E ASSISTENTE REGIA Barbara Bloin
Visto a Triennale Teatro dell’Arte, Milano
In collaborazione con ZONA K
01 marzo 2017