ESTER FORMATO | A quanti di noi è capitato da bambini di giocare nel buio fingendosi invisibili agli altri, ed è tenero pensare che un gioco così ingenuo possa tramutarsi in una narrazione teatrale in cui la partitura gestuale rende superfluo l’uso delle parole.

Homologia di DispensaBarzotti, interpretato da Riccardo Reina e Rocco Manfredi, ha convinto la giuria di Premio Scenario 2015 per l’umiltà e l’immediatezza del lavoro che fa del silenzio, di piccoli ed ordinari gesti la sua sola grammatica per assurgere ad un teatro di figura che trova proprio nella sua apparente elementarità la suggestione più grande, senza rinunciare ad una ricerca continua di una tecnica raffinata che portino a compimento un gioco preciso.

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Homologia si ispira al primo capitolo del libro di Daniel Miller, “Cose che parlano di noi”, studio incentrato sulla relazione fra soggetto ed oggetto, inteso come cultura materiale nell’ambiente domestico che definisce, specie nella società di massa,  l’identità del singolo. La prima storia dell’antropologo inglese ha come  protagonista George, un settantacinquenne il cui appartamento è privo di qualsiasi arredo rilevante o accumulo di oggetti in grado di  rappresentare un ricordo o una fase dell’esistenza, e tale assenza trova esatta  corrispondenza nella consapevolezza di non aver visto la propria vita iniziare.

In Homologia il vuoto interiore di quest’uomo si traduce in uno spazio completamente sgombro e buio in cui il suo corpo ormai decrepito è a malapena illuminato da una fievole luce che timidamente fende l’oscurità in cui si è immersi. Il  volto rugoso con la foltissima capigliatura canuta sovrasta il resto della persona, quasi come se si trattasse di un enorme puppet. Se tutta la partitura ed i referenti scenici ci fanno pensare ad un contemporaneo  teatro di figura che riflette un mondo globalizzato, la grande maschera ci suggerisce un ritorno ad un rituale antropologico come prima ed immediata riflessione che l’essere umano ha avuto di se stesso che si converte nel contesto urbano e attuale dello spettacolo.   Il silenzio, un ronzio di una mosca, il tic tac di un orologio, il trillare di una sveglia sono il solo tessuto sonoro volto a sfigurare l’asse del tempo.  Vecchi i giornali, una logora coperta appoggiata sulle ginocchia mentre da una scatola l’uomo prende una candelina, una torta, cappellini da feste di compleanno, tutto comporta l’annullamento del tempo. L’uomo soffia i suoi chissà quanti anni, il palloncino scoppia… inizia un valzer d’oggetti intorno a lui che prendono magicamente vita, illusione scenica resa grazie alla contrapposizione buio/luce che vivacizza tutto quanto lo spazio.

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L’intuizione più interessante del lavoro di DispensaBarzotti sta nel trasformare il caos di oggetti, privi di pregnanza di passato, di vita da raccontare, in un’armonia scenica; la casualità del tocco con il quale il vecchio sceglie  le caramelline, gli elementi così apparentemente banali che  estrae dalla scatola a segnare una cronologia della propria esistenza, la lastra di radiografia a rammentare la fragilità del suo cammino terreno, le frequenze radio che danno una musica di altri tempi, la pubblicità televisiva che lo coglie nel suo dormiveglia, lo specchio, la torta… riconosciamo il senso di una vita amorfa in queste microsequenze apparentemente slegate, eppure elementi compositivi di una drammaturgia fisica equilibrata e sottile. Così, ci figuriamo il vecchio (ri)conoscere le  cose  che fruga intorno a sé nella profonda oscurità della propria solitudine. Se morire è come nascere, essere vecchi è come ritornare bambini quando si scoprono le cose cui dar nuovi nomi, quando si scruta per la prima volta se stessi allo specchio, credendo che il proprio riflesso sia un altro bimbo dispettoso che non smette di fare il nostro verso.  Surrogare, infine, un mondo inventato e parallelo  che ci aiuti, ora che si è vecchi, a solcare il confine fra vita e morte.

Homologia è uno spettacolo che frantuma le nostre sovrastrutture da spettatori;  ci aspettiamo  che da quegli scatoloni fuoriescano pezzi di vita vissuta a ricostruire la storia di quell’uomo, ma proprio quando ci convinciamo di poter sbirciarne il passato, il meccanismo onirico che i due attori innescano sulla scena diviene sempre più rarefatto; un pupazzo, un manichino, un gemello che si anima seguendo i suoi  movimenti, e poi un altro se stesso, giovane, uscito da un’enorme scatola rossa e al  quale manca un pezzo. Così Riccardo Reina e Rocco Manfredi conducono il pubblico alla  riscoperta di una forma di linguaggio quanto mai primitivo, ingenuo ma così denso  che  torna alla ribalta e ci rende disarmati e ci coglie così disabituati e impreparati a tanta semplicità. Oltre alle nostre concezioni intellettualistiche con le quali  ci relazioniamo al palcoscenico, oltre alle nostre riflessioni che presumono di trarre da una narrazione teatrale una complessità espressiva e contenutistica che possa adeguarsi alle nostre pretenziosità,  il breve ed immediato  Homologia riesce ad avvicinare chi guarda e chi è sulla scena attraverso una delle più antiche ed elementari modalità di racconto e mimesi,  la parola diviene superflua costringendoci a deporre qualsiasi filtro interpretativo, a non prendere nessun altro appunto che lo analizzi o lo svisceri, ma solamente a guardare, come un numero di magia, oggetti che fluttuano e che regalano poesia e dignità anche ad una vita mai sbocciata, prima che la sua candela si spenga per sempre.

 HOMOLOGIA                                                                                                                                             di Rocco Manfredi, Riccardo Reina, Alessandra Ventrella                                                              con  Riccardo Reina e Rocco Manfredi                                                                                                  regia  Alessandra Ventrella                                                                                                 produzione  DispensaBarzotti

Segnalazione speciale Premio Scenario 2015