LUIGI SCHIPANI | C’è chi non riesce a vedere la menzogna in chiave negativa e la rilettura della commedia goldoniana “Il Bugiardo” di A. Arias si configura come un vero e proprio “elogio della bugia”, declinato sotto molteplici aspetti. Dopotutto, non stupisce che la creatività dell’artista argentino, fondatore tra l’altro del gruppo TSE, che alla fine degli anni Sessanta riuniva artisti orientati alla produzione di opere umoristiche e fantasiose, si sia spinta ancora una volta nella macchinazione di uno spettacolo effervescente e insolito.

Siamo a Venezia, o meglio in una Venezia “imbastardita”: una tela fissata nel retroscena rappresenta uno scorcio del Canal Grande in una giornata un po’ uggiosa, in cui il sole è celato da piccole nuvole, che filtrano e impediscono la sua luminosità. Ai lati si ergono due case, realizzate con travi di legno irregolari e invecchiate, che poco hanno a che vedere con lo splendore dei palazzi veneziani; vicino agli usci e sparse qua e là si trovano vecchie sedie di legno, che rievocano la piazza di una città tipicamente meridionale, popolata da gente curiosa, solita a osservare ciò che succede nei paraggi. Già la scena suggerisce che il regista si sia divertito a mischiare elementi diversi per creare un prodotto poco fedele alla realtà, proprio come una bugia.

Anche il piano temporale è depistante e poco coerente: se nel primo atto i costumi di scena rievocano gli anni Cinquanta del Novecento, nel secondo sono molto vicini alla moda veneziana settecentesca. Dove ci troviamo? In quale epoca e in quale città?

A dare labili coordinate spazio-temporali sono quindi la scenografia e i costumi, opera della ultrasettantenne Chloé Obolensky, famosa per le numerose collaborazioni con il regista britannico Peter Brook e per aver vinto nel 2000 il premio Molière per i costumi di Peines de coeur d’une chattare française, opera di H. Balzac, riadattata dallo stesso A. Arias.

A introdurre lo spettacolo è una voce, che ringrazia la premiata Ditta Cannavaciuolo, famiglia di teatranti che ha permesso la realizzazione del dramma (curioso scoprire che l’espediente teatrale non si discosta molto dalla realtà, visto che nella vita reale gli interpreti sono legati tra loro da rapporti familiari o d’amicizia). Prende così il via la vicenda, fedele nella struttura narrativa al modello goldoniano, ma portavoce di un messaggio nuovo.

Dalle spalle del pubblico sale sul palco Lelio (Geppy Gleijeses), vestito di abiti beige e con indosso un cappello… un esploratore degno di Indiana Jones! Il passo sicuro e l’atteggiamento spavaldo lo connotano fin da subito come un buon commerciante di se stesso, pronto ad affascinare chi lo ascolta; si pavoneggia come un miles gloriosus, di ritorno da una lunga permanenza a Napoli (significativo, a tal proposito il suo ingresso dalla platea e non dalle quinte, quasi a suggerire la distanza dalla città natale). L’accento napoletano e i suoi atteggiamenti baldanzosi rievocano così gli italiani rimpatriati nell’immediato dopoguerra, che, vestiti da gran signori, erano soliti raccontare le proprie imprese gloriose.

Sue interlocutrici sono Rosaura (Mariangela Bargilli) e Beatrice (Valeria Contadino), Ntfi11062015bProvaIlBugiardophsalvatorepastore3S7A0063.jpgentrambe divertite a flirtare col protagonista, mostrandosi a tratti accondiscendenti (quando sono tutti e tre al centro del palco) a tratti sostenute (quando le giovani sono sul terrazzo della loro casa e il protagonista all’esterno dell’abitazione). Abiti succinti e scollati ben si amalgamano alla civetteria delle donne, di cui viene esaltata la sensualità e la femminilità. Degna di nota in questa prima parte del dramma è la performance del fedele servo del protagonista, Arlecchino (Lorenzo Gleijeses), che ha dominato la scena a fianco del suo padrone con movimenti elastici e acrobatici, dando vivacità all’azione e attribuendo alla pièce un tono leggero.

In una rottura della finzione scenica tra i due atti, i personaggi si interrogano sul senso di questa commedia oggi, criticando l’abilità degli interpreti, che da più anni portano in giro lo spettacolo e chiedendosi se non sarebbe meglio affrontare, piuttosto, argomenti legati all’attualità: espediente che non induce lo spettatore a riflettere, ma che dà respiro a un dramma concitato, in cui le sezioni si susseguono velocemente e senza sosta.

I costumi del secondo atto ci fanno intuire che il tempo ora è cambiato: lunghe parrucche e vestiti carnevaleschi ci riportano indietro nel tempo, all’età di Goldoni, quasi a suggerire il fenomeno sempiterno della menzogna. Quando le bugie di Lelio verranno a galla, l’ammonimento finale di suo padre, Pantalone (Andrea Giordana), sbalordirà di nuovo il pubblico e darà voce alla chiave interpretativa del regista: nessun rimprovero serioso al figlio, nessuna punizione, ma solamente il desiderio di voler assistere nuovamente ad altre bugie. In questo modo viene ribaltato il messaggio originario di Goldoni, che voleva criticare coloro che dicevano il falso, tessendo un elogio al potere salvifico della fantasia menzognera.

Che male possono fare coloro che si rifugiano in un mondo fantastico, evitando la monotonia della quotidianità con qualche innocua bugia? Perché non considerare il pizzico di colore che possono dare a una vita standardizzata e grigia? A tal proposito il messaggio è stato trasmesso persino con le luci di scena (opera di Luigi Ascione), che si fanno più vive quando è presente Lelio e più deboli quando non c’è, quasi a sottolineare il potere salvifico che le bugie possono avere. In una Venezia un po’ malinconica dalle tinte pastello, dunque, lo spirito di Lelio è in grado di illuminare anche visivamente l’ambiente circostante. Lo spirito surreale è suggerito anche dalle musiche e dai testi di Mauro Gioia, il cui studio è volto al  recupero della memoria canora di Napoli, inserendola in spettacoli legati alla tradizione dei varietà e dei cabaret .

Il lavoro di A. Arias nasce come opera giocosa, in cui attori e pubblico si divertono a sognare a occhi aperti: una giostra che intrattiene, che fa evadere dalla realtà, ma che nel ritmo frenetico e concitato finisce per non dar molto spazio agli eventuali interrogativi morali e sociali su cui fermarsi a riflettere.
Il timore è quello che un’opera dal piglio così frizzante e agitato faccia presto a sgasarsi, disperdendo nell’aria tutte le sue bollicine.

IL BUGIARDO

di Carlo Goldoni
adattamento Alfredo Arias e Geppy Gleijeses
regia Alfredo Arias
con Geppy Gleijeses (Lelio), Marianella Bargilli (Rosaura), Lorenzo Gleijeses (Arlecchino/Brighella/Portalettere), Mauro Gioia (Ottavio)
con la partecipazione di Andrea Giordana (Pantalone)
e con Valeria Contadino (Beatrice/Cleonice), Luchino Giordana (Florindo), Luciano D’Amico (Dottor Balanzoni)
scene e costumi Chloe Obolenski
musiche originali Mauro Gioia
luci Luigi Ascione
produzione Gitiesse Artisti Riuniti

Visto al Teatro Carcano di Milano