LAURA BEVIONE | Sarà Boys, lo spettacolo in prima nazionale del pluripremiato coreografo israeliano Roy Assaf ad aprire, martedì 16 maggio, la diciassettesima edizione di Interplay, il festival internazionale d danza contemporanea ideato e curato con indefessa passione da Natalia Casorati, e che contribuisce, insieme al festival Torino Danza e all’attività di molte realtà, fra cui le Lavanderie a Vapore, a fare di Torino una delle città più attente a quest’arte. Abbiamo intervistato Natalia Casorati a qualche giorno dall’inizio del festival, indaffarata ma come sempre sinceramente disponibile.
Quali i fili rossi dell’edizione 2017 di Interplay?
Fili ce ne sono tanti e ci portano in giro per diversi paesi europei, molte regioni italiane, varcando il “Mare Nostrum” per arrivare fino al bacino mediorientale. Quest’anno avremo un focus dedicata alla danza araba, un progetto pilota organizzato con altre 11 realtà nazionali, per cui 6 giovani coreografi provenienti da diversi paesi arabi da maggio, (noi siamo primi il 26 maggio alle Fonderie Limone) a fine ottobre, attraverseranno l’Italia presentando spettacoli, facendo residenze e condividendo periodi di lavoro con altri giovani artisti italiani. E certamente se un filo rosso comune lo devo trovare, tutti gli artisti ospiti al festival hanno la capacità di leggere la nostra quotidianità con estrema ironia, smontando i luoghi comuni e andando oltre una disillusa verità.
Molti gli artisti italiani in cartellone: qual è lo stato di salute della danza contemporanea in Italia?
Interplay ospita importanti ritorni, da ©e il più giovane Daniele Ninarello; accanto a loro come sempre giovani emergenti che si sono distinti sulla scena nazionale per l’originalità dei linguaggi coreografici.
Le opportunità per i giovani danz’autori in Italia sono cresciute in modo esponenziale negli ultimi 10 anni. Grazie a iniziative attente, coordinate di più soggetti, e penso ad esempio alla rete ANTICORPI XL, (32 soggetti provenienti da 15 Regioni italiane tra festival, circuiti e rassegne), che hanno saputo offrire visibilità, progetti formativi, sostegni alla mobilità… Tutto ciò ha creato un sistema che negli anni si è consolidato strutturando una sorta di sistema sostenibile, anche economicamente, perché ha saputo mettere assieme le forze di più soggetti, aiutando anche gli artisti a crescere.
Diversi fra gli artisti ospiti hanno usufruito di periodo di residenza in varie realtà italiane: cosa pensi del sistema delle residenze? Pensi possa essere realmente utile al percorso creativo degli artisti?
Certo. Anzi, ora finalmente anche in Italia esistono le “residenze coreografiche”, come all’estero. Spazi dove gli artisti possono lavorare con continuità, spesso ottenendo anche un supporto economico e comunque senza dover sostenere costi aggiuntivi per il vitto e l’alloggio. A cui si sono aggiunte importanti opportunità, come poter presentare in anteprima i work in progress davanti a un piccolo pubblico, ottenere dei coach …. Insomma un po’ quello che noi iniziammo a fare in modo quasi “clandestino”, 8 anni fa presso la nostra sede performativa di MosaicoDanza per i progetti di Inside/offf, nati proprio dal confronto che avevo con i miei colleghi internazionali e dalle urgenze dei giovani coreografi che non sapevano dove provare i loro lavori.
Quella che si è aperta il 16 maggio è la 17. edizione del festival Interplay: un breve bilancio degli anni passati e un auspicio/desiderio per il futuro.
Interplay è un progetto che ogni anno mi entusiasma tantissimo; che cerco di rinnovare continuamente. La collaborazione con il corso di Laurea di Fisioterapia dell’Università di Medicina di Torino ne è un esempio: saremo monitorati per creare uno studio sulle patologie che possono nascere nel corpo di un danzatore, di cui manca anche uno studio scientifico; o il focus sui giovani coreografi arabi, di cui accennavo prima. Ritorni di artisti importanti, accanto a nuovi nomi per la prima volta in Italia…
Desideri? Che il sistema a sostegno della cultura cambi, che non ci riducano a diventare dei ragionieri della burocrazia, obbligati a compilare moduli e modelli ogni volta diversi e ogni volta sempre più impegnativi e inutili… invece di lasciarci il tempo per dare forza ai progetti artistici, quelli che rendono competitivo un festival, incuriosendo il pubblico, facendo crescere gli artisti e creando reali connessioni con l’Europa e il resto del Mondo.
Naturalmente a tutto ciò si affianca la necessaria economia, senza la quale nessun progetto può crescere ed esistere. Ma questo è un altro discorso….