RENZO FRANCABANDERA | In un articolo del Febbraio scorso che commentava la visione del Richard III di Ostermeier, altra grande produzione della Schaubühne Berlin, il noto critico del Guardian Michael Billington definiva già nel titolo quella che gli appariva essere la scelta del regista “We’re in crisis – so why has Ostermeier stripped Richard III of politics?”
L’argomento della riflessione sostanzialmente è che in un tempo in cui la crisi ha quasi del tutto azzerato lo spazio della politica, attraverso uno spettacolo che ripropone, come era nella tradizione, la forza istrionica dell’interprete del personaggio principale, la lettura di Ostermeier manchi di una visione politica.

Raccontiamo l’allestimento, che abbiamo visto replicato al Piccolo di Milano all’interno della rassegna primaverile di festeggiamento per i 70 anni del grande teatro italiano.
Il solito spettacolare disegno architettonico di Jan Pappelbaum divide lo spazio scenico in una parte visibile e agita e una invisibile e nascosta, il palazzo, all’interno del quale le trame di potere hanno luogo.

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Davanti una sorta di rotonda, spianata con la sabbia e che è il fuori del palazzo, dove il visibile, il dicibile, viene mostrato ad una platea che è il prolungamento naturale dell’azione scenica sia dal punto di vista spaziale che dal punto di vista umano e spettacolare. Per quasi tutto lo spettacolo, infatti, la riflessione si estende e in molti casi coinvolge direttamente il pubblico, che diventa popolo, assemblea giudicante e condannante, esercito sempre meno pensante, in balia del governante di turno dal cui potere istrionico viene via via soggiogato.
Riccardo, come il governante-tipo del nostro presente, è seduttore e manipolatore, prima ancora che governante interessato alla cosa pubblica. L’ascesa al potere, che diventa anche simbolica grazie all’uso di un piano scenico sopraelevato con una balconata, è tutto ciò a cui ambisce questo uomo deforme e con attributi quasi clowneschi.

it_riccardoiii-850_original.jpgMa tanto meno credibile nell’apparenza, tanto più, grazie alla potenza attorale del suo interprete Lars Eidinger, questo uomo, le sue mostruosità e le sue ambizioni meschine, riescono fin da subito a diventare quelle di tutti. Questo uomo colpisce e lenisce, coccola e frusta, irride e commuove, diventando di volta in volta quello che il pubblico si aspetta e in fondo vuole, proiezione dell’io egoista e frustrato che in sala assiste e alla fine sorregge nel coro mostruoso con cui il governante condanna i suoi sudditi. Il finale, che in Italia ricorda memorie di fine regime fascista, propone il dittatore sconfitto e appeso a testa in giù in un delirio che mescola sogno e realtà. Davvero finisce la dittatura o cambia solo forma?
E’ questo, ci pare di poter dire, l’interrogativo molto politico che forse Ostermeier propone agli spettatori, in un clima che dal punto di vista del ritmo scenico si raffredda dopo un’iniziale frenesia per ghiacciarsi e rallentare in una sorta di dramma cechoviano del potere, dove nulla succede se non l’inevitabile ascesa al potere del predestinato.
Evita forse la scalata al piano del comando il fatto che quest’uomo dileggi il buon senso, oltraggi un cadavere in modo mai visto in scena, poggiandogli le natiche in faccia, e compia altre turpitudini degne del peggior catalogo della miseria umana? No di certo, e questo perché, politicamente, anzi in modo politicamente corretto, siamo abituati a non intervenire più. A restare spettatori. A non intervenire. A restare inermi, magari guardando qualche video di questa o quella strage.
Forse non è la politica che vorremmo ma è la politica che c’è. E in assenza di bandiere sventolanti delle complesse ideologie utopiche ottocentesche, il destino dell’uomo appare ineluttabile, come quella dell’ascesa al potere delle macchine. E forse non è un caso che fisicamente quest’uomo deforme abbia degli accenni gothic-techno. Quasi cyborg.
Il prossimo dittatore forse avrà solo le sembianze umane ma è facile che possa essere un replicante. In scena appaiono anche pupazzi dal sembiante umano. E forse siamo noi in sala ad esserne specchio. L’aveva già detto Kantor, trent’anni fa.

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Richard III
di William Shakespeare, traduzione Marius von Mayenburg
regia Thomas Ostermeier
scene Jan Pappelbaum,

costumi Florence von Gerkan, luci Erich Schneider
musica Nils Ostendorf,

video Sébastien Dupouey
drammaturgia Florian Borchmeyer,

burattini Ingo Mewes, Karin Tiefensee
con Lars Eidinger, Moritz Gottwald, Eva Meckbach, Jenny König, Sebastian Schwarz, Robert Beyer, Thomas Bading, Christof Ertz, Laurenz Laufenberg, Thomas Witte (batterista/percussionista)
produzione Schaubühne Berlin

Spettacolo in lingua tedesca con sovratitoli in italiano