ILENA AMBROSIO | Esiste una sostanziale differenza tra l’adeguarsi e l’aderire. Potremmo collocarla sullo stesso piano dell’antitesi passivo/attivo: nel primo caso l’atto è quello di una conformazione a un percorso tracciato da altri, di un “rendersi uguale” che porta con sé una certa dose di più o meno inconsapevole sottomissione. Aderire, invece, implica una volontà, meglio, una propositività nel condividere un’idea, una visione del mondo, un progetto.
Tale divario semantico potrebbe essere un filtro ottico utile per inquadrare il percorso artistico di Roberto Castello. Percorso raccontato, nella sua fase più recente, dal film/documentario Danze nel presente. Roberto Castello 1993-2013 di Graziano Graziani e Ilaria Scarpa, proiettato lo scorso 1 giugno nella Sala Squarzina del Teatro Argentina.
Fil rouge del ritratto è esattamente l’essere di Castello un «artista molto politico, ma disimpegnato», per usare le parole di Christian Raimo, presentatore della serata. Il disimpegno sta proprio in quel mancato adeguamento, nel rifiuto di schemi tanto artistici quanto sociali, politici, etici – perché la danza può e deve inglobare tutto questo – al fine di rivendicare autonomia di pensiero, creatività che va oltre i limiti comunemente condivisi, oltre il “bello artistico”, spesso oltre il decente. La politicità di un tale approccio sarà, allora, da intendere come attenzione alla polis perché la danza riguarda il collettivo, la comunità e, soprattutto, come consapevolezza di avere, da artista, una responsabilità, quella di interrogare il reale, di «sporcarsi di reale».
Continuo gioco di equilibrio tra questi due poli è, dunque, un percorso che inizia, nel 1990, con una svolta, l’abbandono della compagnia Sosta Palmizi. Lì, alle origini, sta Enciclopedia, collage di assoli ispirati ai danzatori degli anni ’20-’30. Questo lavoro che nasce, nel racconto di Castello, da un «bisogno di investire su sé stesso», pare quasi momento di raccoglimento e raccolta, di autodefinizione alla luce di un passato che, in qualche modo appartiene, sul quale porre le fondamenta ma, dal quale, poi, iniziare un nuovo e innovativo cammino, quello che nel 1993 principia con la nascita di Aldes. Da subito la struttura della compagnia, i lavori, le iniziative proposte descrivono un universo artistico, una concezione della danza, una poetica, insomma, che è quella originalissima e fermamente anticonformista di Roberto Castello.
Per totale avversità alla tradizionale organizzazione capocomicale, gerarchica e autoritaria Aldes è uno «studio associato di coreografi» – intervistati a più riprese nel documentario Alessandra Moretti, Ambra Senatore e Stefano Questorio – nel quale gli interpreti si «fanno autori». A partire da Sabbie (1993), allora, il processo creativo sarà sempre collettivo, comunitario; il risultato, sempre la sintesi di più menti e corpi che fanno, insieme, lo spettacolo, che sono, insieme, lo spettacolo. La frammentarietà, il pastiche, l’assemblamento – pensiamo a Biosculture (1998), vero e proprio museo di unità danzanti autonome – tecniche care alla poetica di Castello, trovano comunque una loro unità nell’essere risultato di un progetto comune, dell’aderire a una stessa idea di arte.
E sta qui il nodo centrale, nella ferma e radicatissima concezione che Roberto Castello ha della danza che fa della globalità la sua categoria fondate.
«È danza tutto ciò che attiene alle potenzialità espressive del corpo umano», citazione di Rudolf Laban cara a Castello; in Carne trita (2011), allora, sarà danza anche la voce intesa come facoltà espressiva pura, che sta prima del canto e del linguaggio, e saranno danza anche rumori, versi, tutto il represso osceno e non dicibile ma facente comunque parte del corpo.
Ma tale visione “olistica” va ben oltre fino a inglobare anche ciò che, nel senso comune, danza non è. In un’intervista del 2011 a Controradio Castello sottolinea con estrema chiarezza l’anacronisticità della tradizionale divisione delle arti e l’oramai compiuta intersezione tra la danza e i linguaggi del cinema, delle tecnologie della videoarte. Proprio a tali convinzioni va ricondotto il progetto di SPAM!: uno spazio, in provincia di Lucca, che dal 2008 diventa quella «zona franca da riconquistare» che, per Castello, è la creatività; dove l’interdisciplinarità, la sperimentazione, l’incontro tra i linguaggi artistici più disparati sono volti all’elaborazione di un’idea di arte quanto più possibile aderente al reale.
Apertura, dunque, ma non solo a livello artistico perché, se accogliere l’interdisciplinarità dell’arte come dato di fatto corrisponde precisamente a un atto di realismo, allora quell’apertura è anche e soprattutto verso il reale, appunto, e verso ciò che del reale, per un artista, è rappresentate più esplicito: il pubblico.
La politicità, nel senso già specificato di attenzione alla polis, alla comunità si pratica, allora, in Scene da un matrimonio (2008), spettacolo urbano che si offre a un pubblico assolutamente non selezionato come può essere quello dei passanti; nel Il Duca delle Prugne, vero e proprio cabaret che coinvolge gli spettatori e, anzi, concentra il suo senso proprio sulle proiezioni che essi hanno sul denaro, aggiungendo una buona dose di ironica critica del sociale intorno a uno dei temi, il denaro appunto, centrali negli spettacoli di Castello. Ma la politicità, per un artista come Roberto Castello, può esprimersi anche in un contesto del tutto inaspettato. Nel 2010 la collaborazione con Rai3 per Vieni via con me di Fabio Fazio e Roberto Saviano. Danzare sulle macerie del Paese, questa la richiesta di Fazio che incontra alla perfezione i progetti di Aldes. Per l’occasione, Sfavillante, il nono dei dieci capitoli de Il migliore dei mondi possibili, progetto pluriennale che potremmo considerare un’enciclopedia – e il cerchio si chiude – delle forme espressive, dei temi, delle posizioni della compagnia: l’obiettivo, descrivere il presente, raccontare l’oggi; la struttura, quella del frammento, i linguaggi, quelli più disparati; ancora la molteplicità che trova senso organico e unitario in quella consapevolezza del ruolo politico dell’artista che è interrogare il reale e sporcarsi con esso.
Non sorprende allora la partecipazione a un programma “di massa” come Vieni via con me. Castello è certamente un anticonformista ma la sua posizione non si traduce mai in una scelta ermetica o elitaria; l’anticonvenzionalità si applica, piuttosto, agli schemi precostituiti dell’arte, alle convenzioni prive di contatto con la realtà, all’adeguamento cieco insomma. La questione primaria è sempre una: cosa offrire allo sguardo? E lo sguardo è quello del pubblico, pubblico reale, fatto di gente che vive il reale e che nell’arte si aspetta di riconoscere il reale. «Non è possibile che l’elite intellettuale pretenda di espandere la cultura ma poi dia all’arte un valore direttamente proporzionale alla sua incomprensibilità… Io penso al mio lavoro come funzione all’interno della comunità». Con queste parole di Castello si conclude il documentario di Graziani e Scarpa, espressione limpida e più che mai esplicita di un radicale e convinto disimpegno politico.
Danze nel Presente. Roberto Castello 1993-2013
Italia, 100′, di Graziano Graziani e Ilaria Scarpa
Presentato da Teatro di Roma e ALDES