ESTER FORMATO E ELENA SCOLARI | PAC prosegue il resoconto dal festival Primavera dei teatri 2017 di Castrovillari con le opinioni su Frigoproduzioni, Scena Verticale, Fratelli Dalla Via.

EF: Frigoproduzioni apre le danze della quarta serata di Primavera dei Teatri con “Tropicana”, un lavoro che rivela tutte le fragilità di una ricerca volta a scardinare i convenzionali processi di comunicazione, quindi una drammaturgia tourt court in termini di forma.  Tutto ruota intorno alla scrittura e composizione di Tropicana, hit italiana della lontana estate 1983, cantata da Gruppo Italiano. Nella stridente dicotomia fra testo e ritmo s’insinua questa creazione collettiva a cura di Francesco Alberici,  nella quale gli interpreti, incarnando i membri del gruppo musicale (che non allude obbligatoriamente a quello vero), convivono in assito ora come monadi, ora come parti conflittuali.

ES: Pensare di costruire un intero spettacolo su un tormentone canoro estivo degli anni ’80 è una scelta che, alla luce del risultato, risulta azzardata. Per quanto il contrasto tra lo spensierato calypso della melodia e l’apocalittico testo possa rivelare qualche interesse, mi pare un fondamento facile allo sgretolamento. Dal punto di vista generazionale sono pure affezionata a quella canzone, e la riascolto volentieri, ma una volta che mi si è fatto rilevare che con note allegre il Gruppo Italiano accennava a scenari pessimistici, mi aspetterei che un testo teatrale fondasse il proprio senso in una riflessione sulla fine – del mondo e di noi – che qui invece rimane solo sorvolata. 

EF: Incursioni autobiografiche fanno capolino fra una prova ed un’altra, la presenza di microfoni (siamo presumibilmente in una sala prove) e l’utilizzo frequente di essi ci danno l’impressione di un corto circuito della comunicazione che però confluisce in una certa meccanicità dialogica, finendo per appesantire una composizione drammaturgica ancora non chiara, ancora non focalizzata su una coerenza ritmica e concettuale.

ES: Il fatto è che nella finzione teatrale l’incedere stentato dei lavori del gruppo, le difficoltà comunicative, i continui fraintendimenti che alludono a messaggi e disagi impliciti mai confessati, così come quelli nascosti nella canzone, non possono essere così dilatati nel tempo della realtà scenica, troppi vuoti assumono la fisionomia di incertezze vere. Ci sono molte battute azzeccate, la presenza forte di Claudia Marsicano è un pregio, così come una certa disinvoltura degli altri interpreti, le scene dei quattro che osservano un finto sole/faro interrogandosi con bibita sul destino potrebbero essere perni importanti, ma il tutto incespica troppo spesso in lungaggini fiacche.

EF: Arriva come un impulso, ancora priva di un’idea teatrale di riferimento, una sorta di esigenza collettiva di esorcizzare sotterranee angosce ed incertezze che cercano il  proprio canale nello sgretolamento del testo, stavolta ancorate a un’opera musicale impiantata nella nostra memoria in maniera distorta; suona ora più inquietante che mai il motivetto di Tropicana, anno 1983.

ES: Lavorare in condensazione per ottenere un succo più concentrato, insomma. Cosa pensi invece della grazia ineffabile dello spettacolo di Scena Verticale? Molti sapori, anche amari, presentati con una delicatezza assai tenera, no? 

EF: Con Saverio La Ruina entriamo in tutt’altro mondo; di “Masculu e fiammina” già si è parlato su Paneacqua. La Ruina restituisce al pubblico il suo monologo innervato in una struttura semplice, ben rodata dopo altre repliche, come una sorta di partitura sonora. Merito della sua voce e dell’eleganza della propria presenza scenica che trasformano il racconto in un’elegia.

ES: Io ho apprezzato di nuovo la bravura di La Ruina attore che si è saputo creare una cifra, riconoscibile, costante nella misura e nello stile contenuto. Non ci sono rivoluzioni di stile, non necessariamente da ricercare se la cura e la sapienza recitativa sono di alto livello. Anche la scrittura è fluida, coerente nel susseguirsi dei fatti che compongono il racconto.
L’umanità del protagonista è calda, le sue parole, anche quelle su ricordi dolorosi, arrivano soffici perché rappacificate da una distanza nel tempo che ammanta tutto di ovatta, come la neve della scena. Questo diaframma del tempo tende ad addolcire molto, c’è un po’ di zucchero in questi omosessuali angelici e solari, sensibili e sofferenti.

EF: Strano è pensare di sedere nella Sala Consiliare di Castrovillari i cui luoghi sono gli stessi che fanno di Peppino il suo “piccolo mondo antico”, sfondo alla sua individuale esperienza di amore e sofferenza. Sembra, infatti, che questa confessione struggente della propria omosessualità confortata da un insieme di segni che legano al sud tale condizione e che riconosciamo ormai da tempo nel nostro teatro (le figure femminili, un atavico erotismo vissuto in luoghi simbolici,  un’educazione sentimentale aspra e dolce al contempo), si apra ad un racconto condiviso ed empatico tanto da farne emergere l’immediatezza, e con essa una vicinanza attiva del pubblico che, a Castrovillari, cerca di immaginare Peppino da ragazzino, a pochi passi da esso.

ES: Decisamente lontano dall’immaginario storico/geografico del meridione è invece Personale Politico PentothalOpera rap per Andrea Pazienza, coproduzione Fratelli Dalla Via/Piccionaia/Gold leaves, che personalmente ho trovato il lavoro più interessante e compiuto visto nelle mie giornate di Primavera. La seconda eccezione veneta al disordine drammaturgico diffuso cui accennavo nella parte#1. Marta Dalla Via è attrice di talento, cuce (con il fratello) uno spettacolo preciso, con un testo e una struttura dall’architettura solida, decisa e senza tentennamenti. 

Siamo nella Bologna degli anni ’70, costellata di lotte studentesche, di tossici trapassati tragicamente, di atti terroristici, di storie d’amore “stupefacenti”. Pentothal è uno degli alter ego di Paz, ma è anche il siero della verità del fumetto Diabolik. E c’è molta cruda, lucida verità, in questa Opera rap. La ricerca linguistica dei Dalla Via si lega alle espressioni inventate e inventive di Pazienza, rivoluzionario della sua epoca, creando un parlato vagamente testoriano. L’interpretazione è sicura nello snocciolare parole ironiche e feroci su un periodo duro, continuamente tagliuzzato da sensazioni forti e ineluttabilmente votate al disfacimento. Il rap del sottotitolo è incarnato in scena da due cantanti hip hop, che lavorano con un bisturi compositivo altrettanto tagliente e letterario, perfettamente in linea con l’obiettivo di squarciare i perbenismi futili. La loro presenza è forse un po’ abbondante, quantitativamente, ma la qualità degli interventi musicali costruisce un contraltare contemporaneo libero alla nostalgia per le prime radio indipendenti.
Un teatro che riflette sull’oggi, ricordando un passato prossimo con le sue drammatiche opacità, con un pensiero sfacciato e acuto. Lo direi anche sotto pentothal.

 

TROPICANA
Ideazione e regia Francesco Alberici, assistente alla regia Daniele Turconi, interpreti Claudia Marsicano, Daniele Turconi, Salvatore Aronica, Francesco Alberici, scrittura scenica a cura di Francesco Alberici
Produzione Associazione culturale Gli Scarti e Teatro I/ con il supporto di Fuori Luogo La Spezia e Pim Off/Residenza IDra e Settimo Cielo (progetto CURA 2016)

MASCULU E FIAMMINA
di e con Saverio La Ruina, musiche originali Gianfranco De Franco, collaborazione alla regia Cecilia Foti, scene Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo, disegno luci Dario De Luca e Mario Giordano, audio e luci Mario Giordano
produzione Scena Verticale

PERSONALE POLITICO PENTOTHAL
un progetto Fratelli Dalla Via + Gold Leaves
di e con Marta Dalla Via e Omar Faedo (Moova), Simone Meneguzzo (DJ MS), Michele Seclì (LETHAL V), Roberto di Fresco (GIOBBA), direzione tecnica Roberto Di Fresco, scene e costumi Fratelli Dalla Via
una produzione Piccionaia Centro di Produzione Teatrale + Fratelli Dalla Via
co-produzione Festival delle Colline Torinesi con il sostegno di B-motion Bassano Opera Festival