MATTEO BRIGHENTI | La storia, scrive Marx, si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Vista da qui, l’arte della commedia appare come l’evoluzione congeniale, ancorché sorprendente, per una compagnia come Archivio Zeta, la cui poetica è passata attraverso le asperità di Eschilo, Sofocle, Kraus, Pasolini, Shakespeare.
Plutocrazia, da Pluto di Aristofane, è la dimostrazione che Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni sanno entrare nella carne viva dei nostri giorni anche con il bisturi del riso (amaro). La leggerezza della battuta non pregiudica la durezza del pensiero, il divertimento dell’interpretare non compromette il rigore dello stare in scena.
Nel testo, d’altra parte, conflagrano anche le parole di Franco Belli, Noam Chomsky, Goffredo Parise e dello stesso Marx, senza soluzione di continuità.
Al debutto nel 408 a.C., ma a noi pervenuta in una successiva redazione del 388, Pluto è l’ultima commedia di Aristofane che possediamo. Il protagonista è un cittadino di Atene, il povero, onesto Cremilo, che, insieme al servo Carione, si reca dall’oracolo di Delfi. Poiché nel mondo la ricchezza non è suddivisa equamente e, soprattutto, non premia gli onesti, vuole sapere se anche suo figlio sarà destinato a restare povero.
La risposta è che Cremilo dovrà seguire la prima persona che incontrerà fuori dal tempio. Così, s’imbatte in uno straccione cieco: è Pluto, il dio della ricchezza. La cecità allude proprio alla casualità nel distribuire il denaro, risorsa che muove le cose ed è più forte anche di Zeus.
Tutto questo è già successo quando comincia Plutocrazia, Cremilo (Gianluca Guidotti) segue già Pluto (Enrica Sangiovanni), tirandosi dietro Carione, interpretato da Ciro Masella.
La scena sul palco del Teatro Magnolfi di Prato è a più livelli, a gradini, forse è la nera scalinata di un tempio, un’antica torre templare, a simboleggiare la comunicazione tra il cielo e la terra, tra chi ha tutto e chi nulla.
I fari a vista, le corde, le travi, la fanno assomigliare pure alla polena di una nave che fa vela nel sole. Guidotti, allora, sembra un nostromo o un pirata e Masella il suo mozzo, Sangiovanni, invece, ha la faccia di biacca e una lunga tunica nera, come la Morte de Il settimo sigillo di Bergman. “Scalognati” al limite tra la favola e la realtà, “agli orli della vita” come la misteriosa villa di cui parla Pirandello ne I giganti della montagna.
La traduzione di Federico Condello è solenne e disinvolta, poetica e fantasiosa. Negli endecasillabi germinano anglismi (‘okay’, ‘cash’), parolacce (‘vaffanculo’), e i governanti e gli scandali del tempo sono adattati ai nostri e storpiati, Trump in Tromp, la ministra Pinotti in Pinotta, Salvini in Salvoni, Grillo in Grullo, Ruby in Rubina e Berlusconi in Berlosca. Un teatrino di guitti messi alla berlina per il loro uso sfacciato di denaro e potere.
Gli attori hanno in mano lunghi bastoni con cui si puntellano, sono i ‘fili’ che tengono su i personaggi, per vedere, sentire, scontrarsi. Chi li tesse non è tanto il loro autore drammatico, quanto piuttosto il contesto, l’orizzonte in cui agiscono, cioè il desiderio contro la Legge, la ricchezza che accresce unicamente l’insaziabilità degli uomini (“Il vero dramma – afferma Giulio Sonno su Paper Street – non è la ricchezza in sé e per sé, ma è la brama di denaro)”.
‘Soldi per fare soldi per fare soldi’ è il ritornello impazzito della macchina turbocapitalista: a terra resta cadavere ciò che (chi) quel denaro lo produce, ovvero il lavoro (i lavoratori). Difatti, in sala, all’inizio, ci ha accolti un rumore incessante e insistente: macchine da cucire e telai quasi fossero mitragliatrici. Siamo a Prato (la produzione è del Teatro Metastasio), uno dei più grandi distretti industriali italiani e mondiali per filati e tessuti di lana. Negli ultimi anni quel sapere antico, che si tramanda dal XII secolo, è stato colpito al cuore.
Pur quando arrivano in scena, le Singer non si muovono di un ingranaggio. Il lavoro è un’eco, un fantasma: chi produce e chi guadagna sono persone diverse e contrastanti. In più, nel caso specifico, l’immagine evoca anche il ‘distretto parallelo’, il sistema produttivo cinese, illegale e sfuggente, interno al comparto pratese.
Con tre cifre, 70% – 85 – 3.500.000.000, scritte con il gessetto sui gradini, sale sul palcoscenico la una guerra mondiale dei ricchi contro gli emarginati. Guidotti cita Chomsky, che a sua volta si rifà a un rapporto di Oxfam, secondo cui in 85 guadagnano ogni anno quanto 3.500.000.000 di individui, mentre il 70% della popolazione americana non può intervenire sulle decisioni politiche, semplicemente perché in stato di povertà.
Non viviamo in democrazia, ma in plutocrazia, cioè in sistemi in cui chi detiene la ricchezza esercita direttamente o indirettamente il potere politico ed economico, con il fine unico di soddisfare i propri interessi. Così facendo, si alimentano povertà, disuguaglianze e s’inaspriscono le lotte di classe.
Di conseguenza, l’amico che va a far visita a Cremilo, per sincerarsi che abbia incontrato davvero Pluto, non è Blepsidemo: è Marx in persona.
Lo “spettro che si aggira per l’Europa” è un commesso viaggiatore con valigia in pelle, barba posticcia e capelli da scienziato pazzo. Ciro Masella risale la platea e dà fondo al suo vulcanico trasformismo, parlando un tedesco in zeta, esse, verbi all’infinito. Arringa una rivoluzione che nessuno può e vuole fare, perché ne abbiamo già perse abbastanza.
La sconfitta è proprio lì, sotto i piedi. Da sotto il palco compare Enrica Sangiovanni, stringe nelle mani due sacchi di stracci, cenci pratesi: giacche, cappotti marroni, blu, neri, vengono deposti sui gradini, ora monte di pietà, per un concentramento di esseri svuotati della loro essenza, come nelle installazioni di Jannis Kounellis.
Perciò, la fonte della ricchezza dei potenti è nel sottosuolo, nell’illegalità, nella speculazione, nello sfruttamento di chi produce e poi non beneficia di ciò che ha prodotto.
Sangiovanni impersona Penia, la Povertà, venuta per fermare Cremilo, convinto di rendere la vista a Pluto, in modo che possa distinguere tra onesti e disonesti e premiare solo i primi. Povertà intesa non come miseria o ‘comunismo’, ma come necessità, “educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita”. Parla per la penna di Goffredo Parise, che pubblicò sul ‘Corriere della sera’ del 30 giugno 1974 l’articolo Il rimedio è la povertà.
Ciò nonostante, ormai abbiamo perso il rispetto del necessario, non sappiamo più assaporare, distinguere, conoscere, ma soltanto consumare. Il Marx dei Manoscritti economico-filosofici è sopraffatto, smarrito, perduto, il viso sbanda e le mani si aprono a un tormentato esame di coscienza (del suo fallimento): il denaro si è impadronito di noi.
In appendice, un coro in video riprende le interviste a persone di origine cinese contenute nella ricerca Vendere e comprare – processi di mobilità sociale dei cinesi a Prato a cura di Fabio Berti, Sara Iacopini, Valentina Pedone, Andrea Valzania (Pacini Editore/ricerca Sociophaenomena). Chi prende la parola, però, è italiano, sono cittadini che hanno partecipato a un laboratorio che si è svolto al Magnolfi da febbraio ad aprile 2017.
A questo punto siamo tutti ‘cinesi’.
“Ma… cos’è questa crisi?” si domanda Rodolfo De Angelis nella sua omonima canzone umoristica del ‘33, che apre e chiude lo spettacolo. Un contrasto economico, un collasso dialettico, si legge nel sottotitolo di Plutocrazia. Il “Paraparapapapà” che si risponde De Angelis è la pungente goliardia di sfottò e critica sociale che Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni e Ciro Masella hanno messo in scena con acuta e vivace intelligenza.
Seppur battuto sul piano dialettico da Penia, Cremilo non rinuncia al suo progetto e restituisce la vista a Pluto. Nel lieto fine della commedia di Aristofane Archivio Zeta riconosce che a trionfare non è la ragione, ma un’utopica quanto ingannevole fantasia di giustizia.
Archivio Zeta
PLUTOCRAZIA
un contrasto economico, un collasso dialettico
un progetto di Archivio Zeta
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
dal Pluto di Aristofane
traduzione Federico Condello
conflagrazioni Franco Belli, Noam Chomsky, Karl Marx, Goffredo Parise
riflessione teorica e ricerca empirica Fabio Berti, Valentina Pedone, Andrea Valzania, Sara Iacopini
con Gianluca Guidotti, Ciro Masella, Enrica Sangiovanni
coro in video Agnese Belcari, Fabio Berti, Guja Iginia Del Bene, Tommaso Di Ienno, Giulia Fantastichini, Elena Franchi, Franca Giovannelli, Sara Iacopini, Elisabetta Lombardi, Silvia Mercantelli, Mauro Morucci, Deborah Pagliero, Andrea Valzania, Renzo Vannucchi
videoriprese/editing Federica Toci e Tamara Pieri (Il gobbo e la Giraffa –videoproduzioni)
partitura sonora Patrizio Barontini
luci Roberto Innocenti
produzione Teatro Metastasio di Prato
Visto venerdì 19 maggio 2017, Teatro Magnolfi, Prato.