ANDREA OLIVA| La ventiduesima edizione del Festival delle Colline, a Torino dal 4 al 22 Giugno con ben 27 compagnie in cartellone, propone ancora una volta, come tema principale, quello dell’identità, del genere, ma focalizzandosi più sul femminile, sulla donna “testimone della contemporaneità”, secondo le parole degli organizzatori.
In tal senso lo spettacolo della compagnia tedesca She She Pop, presentato come appuntamento clou dal programma, è in linea con le intenzioni tematiche del festival, ma allo stesso tempo le trascende.
50 Grades of Shame, rappresentato al teatro Astra, come il titolo richiama, si basa in parte sul testo di di E.L. James “Cinquanta sfumature di grigio”, inframezzato con il dramma di Wedekind “Risveglio di primavera”. Nessuno dei due testi però è strutturale per il divenire dello spettacolo, al contrario, sono più che altro sussidiari utili per la lezione che la compagnia ha preparato. L’obiettivo infatti non è rappresentare un’indagine della sessualità ma indagare la sessualità rappresentata, i corpi, e soprattutto cosa è loro permesso o vietato.
Su un palco quasi spoglio, la scenografia è composta infatti solo da alcuni gradoni a fare da seduta per una parte degli attori, un “pulpito” sul quale si alternano, e tantissime videocamere, lo sguardo degli spettatori è costretto a scegliere tra il guardare i molteplici attori in carne ed ossa, che operano molto spesso in contemporanea, o i due teli appesi centralmente sui quali sono proiettati figure ricomposte di volta in volta dalle parti, smembrate, dei corpi degli attori ripresi dalle videocamere. Ed è proprio il principio di scomposizione, parallelismo e ricomposizione ad informare sia la rappresentazione dei corpi che quella verbale.
La performance si annuncia come una lezione per gli spettatori: il corpo docente, gli attori, procede tassonomicamente ad analizzare lo strano fenomeno dei corpi desideranti, con qualche eco alle teorie queer militanti di Preciado. Un’altra eco però, ben più fondante, è presente nella ricomposizione tecnica di corpi organici su una superficie liscia, quello di Deleuze, richiamo che non può essere casuale dato che sorregge la messa in scena dello spettacolo stesso.
Tra una lezione e l’altra si frappongo alcuni degli atti del “Risveglio di primavera”, attraverso cui gli attori si appropriano di maschere dalle quali esporsi, e le improvvisazioni degli attori, quando sottoposti a domande fondamentali. Sono loro infatti, e non una sceneggiatura, a tentare di analizzare i nostri preconcetti in tema di sessualità. Certo, si possono notare alcune banalizzazioni, forse anche alcuni cliché, ma l’analisi su vergogna, impulsi sessuali, maternità, solo per citare alcune tematiche, è profonda e feconda, sicuramente attuale e necessaria.
La tecnica attorale, in ogni caso, è superba: far recitare un pezzo di corpo dando senso ad un tutt’uno ricomposto in video non è e non sembra semplice, ma la disinvoltura degli otto attori sul palco, anche nelle combinazioni più esplicite e complesse è ragguardevole, unito ciò ad un sapiente uso del buio, delle musiche, di cui una buona parte dal vivo, almeno per il cantato e la batteria, rende l’esperienza coinvolgente e immersiva; quasi è difficile accettare che ci siano solo 13 lezioni, più l’ultima.
Human Animal invece, della compagnia La Ballata dei Lenna, si discosta di più dal tema annunciato del festival, la donna non è protagonista, lo è l’identità, oppure il ruolo sociale, se si preferisce una lettura politica.
Lo spettacolo, rappresentato negli spazi della Scuola Holden, prende corpo dall’ultimo romanzo incompiuto di David Foster Wallace “Il re pallido” e porta in scena, con un pesante supporto cross-mediale, la vita, da un lato, e il confronto con una calamità imprevista dall’altro, di tre giovani impiegati dell’agenzia dell’entrate italiana.
La prima parte dello spettacolo si svolge (quasi) tutta dietro le quinte. In scena ci viene riportato ciò che accade grazie alla proiezione diretta di quel che la telecamera riprende al riparo dalla nostra vista. L’afflato documentaristico, che indaga oppressivamente con la telecamera primi piani e particolari senza mai far prendere respiro all’inquadratura, si scontra con la surrealtà della situazione rappresentata. Purtroppo il tentativo di autenticare la messa in scena della vita “dietro le quinte” attraverso l’espediente tecnico della ripresa dal vivo, con qualche sporadica apparizione sul palco, è in realtà più stancante, ai limiti della soglia dell’attenzione, che emozionante.
Lo spettacolo però non si conclude con le azioni e le parole dei tre impiegati, ma rivela una sorpresa. Gli attori infatti fanno accomodare gli spettatori su una nuova platea e riprendono la recita su un nuovo palco: ora interpretano se stessi, o per lo meno se stessi come attori, narrandoci in prima persona, sempre in sospeso tra surreale e comicità, il senso e la genesi dello spettacolo, il loro personale Foster Wallace.
Questo meta-spettacolo si rivela più interessante e stimolante. Il lavoro di costruzione dei personaggi è evidente e la loro messa in scena è convincente, eppure alla fine dello spettacolo si prova un retrogusto di supponenza non piacevole. Che sia forse la ricerca troppa affettata del senso nell’incompiutezza del libro, e dello spettacolo di riflesso? Che si nasconda nei modi, l’ironia pervasiva e l’autoreferenzialità della seconda parte della performance, una volontà pedagogica poco digeribile ad un pubblico adulto? Bastava rappresentarlo il vostro “vero” Foster Wallace, senza la pretesa, che qui e lì ci arriva, di insegnarcelo.
50 GRADES OF SHAME
di Gundars Abolins, Sebastian Bark, Lilli Biedermann, Knut Berger, Jean Chaize, Anna Drexler, Jonas Maria Droste, Johanna Freiburg, Fanni Halmburger, Walter Hess, Christian Löber, Lisa Lucassen, Fee Aviv Marschall, Mieke Matzke, Ilia Papatheodorou, Florian S
regia She She Pop
ideazione She She Pop
con Gundars Abolins, Sebastian Bark, Lilli Biedermann, Knut Berger, Jean Chaize, Anna Drexler, Jonas Maria Droste, Johanna Freiburg, Fanni Halmburger, Walter Hess, Christian Löber, Lisa Lucassen, Fee Aviv Marschall, Mieke Matzke, Florian Schäfer, Susanne Scholl, Berit Stumpf, Zelal Yesilyurt
video Benjamin Krieg
scene Sandra Fox
costumi Lea Søvsø
musiche Santiago Blaum
consulenza artistica Ruschka Steininger
drammaturgia Tarun Kade
suono Manuel Horstmann.
luci Michael Lentner
tecnici Florian Fischer, Andreas Kröher, Sven Nichterlein
produzione/pr ehrliche arbeit – freelance office for culture
organizzazione tournée Tina Ebert
amministrazione Aminata Oelßner
manager di compagnia Elke Weber
produzione She She Pop e Münchner Kammerspiele
coproduzione HAU Hebbel am Ufer Berlin, Kampnagel Hamburg, FFT Düsseldorf, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt a.M. e Kyoto Experiment
con il supporto di Commissione Cultura e Media del Governo Federale nell’ambito di Alliance of International Production Houses e di Assessorato alla Cultura e all’Europa del Land di Berlin
presentato in collaborazione con Fondazione Piemonte dal Vivo e Goethe-Institut Turin
e con il sostegno di Assessorato alla Cultura e all’Europa del Land di Berlin
versione originale con sottotitoli in italiano
matrice sottotitoli PANTHEA/Anna Kasten
traduzione Eloisa Perone per il Festival delle Colline Torinesi
HUMAN ANIMAL
di Paola di Mitri
regia Nicola Di Chio, Paola di Mitri, Miriam Fieno
con Martin Chishimba, Paola di Mitri, Miriam Fieno
luci e visual concept Eleonora Diana
video e riprese Vieri Brini e Irene Dionisio
produzione La Ballata dei Lenna
produzione esecutiva ACTI Teatri Indipendenti
sostegno alla produzione Hangar Creatività (Assessorato alla Cultura Regione Piemonte, Fondazione Piemonte dal Vivo), Zona K Milano, Factory Compagnia Transadriatica,
Principio Attivo Teatro
in collaborazione con Scuola Holden