FILIPPA ILARDO |È l’unico festival in un’estate siciliana dove la parola Teatro compare come appendice alla voce turismo. È il Festival Internazionale delle Orestiadi di Gibellina, giunto alla XXXVI edizione, che si svolgerà quest’anno dal 15 luglio al 12 agosto. Un mese complessivo di eventi tra 20 spettacoli; 7 concerti; 4 prime nazionali (per il programma completo http://www.fondazioneorestiadi.it/festival/#programma).
La Compagnia Marionettistisca Fratelli Napoli, il regista e drammaturgo Vincenzo Pirrotta, il coreografo Roberto Castello, l’attore Andrea Cosentino in Not Here Not Now sulla poetica di Marina Abramovič, Giuseppe Pambieri che rende omaggio a Pirandello, Ersilia Lombardo con uno spettacolo da lei scritto e diretto, Salvatore Cantalupo con la prima nazionale di Maledetti e ancora la Compagnia Zappalà con Romeo e Giulietta 1.1. e Collettivo Cinetico con i 10 miniballetti: questi i nomi più importanti del ricco cartellone.
Da nove edizioni la direzione artistica è affidata al regista palermitano Claudio Collovà. A lui rivolgiamo delle domande:
Una storia lunga e un’identità forte quella del festival di Gibellina che mantiene delle costanti eppure si rinnova, sta al passo con tempi, li precorre o va in controtendenza…
Abbiamo sempre cercato di mantenere inalterata la missione del fondatore Ludovico Corrao. Sono cambiate sicuramente alcune condizioni di lavoro. Le Orestiadi non producono più e non sono da tempo sede di laboratorio. Vorremmo tornare a quella pratica naturalmente, come vorremmo anche tornare al Cretto di Burri come sede di spettacoli. Ma in questo momento la nuova dirigenza che si è insediata l’anno scorso, con il presidente Calogero Pumilia, è molto attenta al risanamento e sotto questo profilo sta facendo molto bene. In futuro riprenderemo il percorso interrotto e torneremo al Cretto. Dal punto di vista delle proposte artistiche invece rimane inalterata la costante che riguarda il linguaggio della contemporaneità, la ricerca non affrettata o episodica degli artisti coinvolti. A me interessa molto presentare spettacoli che siano tappe di un percorso, sia per quanto riguarda gli artisti più maturi che si possono considerare maestri, sia per quanto riguarda quelle compagnie giovani che presentano da subito dei tratti distintivi. E’ favorito il linguaggio della complessità espressiva, soprattutto se tiene conto del dialogo tra le arti. Nella costruzione del programma non c’è un tema, diciamo che il tema si costruisce senza conoscerlo dall’inizio. Non mi permetterei mai di chiedere a un artista di lavorare su qualcosa di specifico. Ma non tutto può essere presentato alle Orestiadi e la scelta è frutto di un lungo lavoro. Diciamo, per rispondere alla tua domanda che stiamo al passo con altri tempi.
La particolarità di questa edizione sembra essere la musica, linguaggi e sperimentazioni che intrecciano un forte legame con l’aspetto musicale in tutte le declinazioni possibili…
Ecco, una linea rossa in questa edizione è proprio il rapporto tra la musica, la parola, il teatro nel suo complesso e che riguarda la musica come fonte di ispirazione per tanti artisti di teatro e, allo stesso tempo, musicisti che hanno dentro il DNA della performance e usano la parola per esprimere stati emotivi molto vicini all’esistenza in scena. E questo lo si vede moltissimo in Cesare Basile, in Fabrizio Cammarata e Antonio Di Martino, ovviamente in Peppe Servillo con il Pathos Ensemble, ma anche in Curva Minore, basta pensare a quanto teatrali siano i canti di Rosa Balistreri interpretati da Matilde Politi. Ma anche Visioni del Limite Massimo Consentito di Trapani ha due pianiste in scena e in scena i corpi si muovono secondo geometrie sonore. Trattato di Economia del coreografo Roberto Castello che incrocia danza e teatro, ma non diventa teatro-danza. La danza ha fonti sicuramente teatrali in Romeo e Giulietta 1.1. di Roberto Zappalà e musicali nel Macbeth di Verdi della Compagnia dei Fratelli Napoli, o come nei due spettacoli della Compagnia della Magnolia di Torino, che fanno riferimento alla musica già nei titoli. Per non parlare di Binnu Blues. Il racconto del codice Provenzano di Vincenzo Pirrotta che più di recitare promette di cantare.
La danza, vera cenerentola delle programmazioni siciliane, è stata sempre una presenza importante nel festival delle Orestiadi.
La danza aveva un posto fondamentale nei primi anni, specie la danza che nasceva da ispirazione popolare, con una forte connessione geografica con il mediterraneo e i popoli del Maghreb. Ho visto qui da giovane danze provenienti da tutto il mondo. Erano spinte forti che provenivano da Ludovico Corrao, in lui c’era il desiderio di lanciare la sfida per un dialogo nel mediterraneo, e la danza era intesa come un forte segno di pace. In realtà questa linea purtroppo si è interrotta. Per la verità il ministero dà regole precise: noi siamo un festival di teatro e come tale veniamo finanziati. Tuttavia non ho mai rinunciato a presentare la danza. In particolare sono stato attento a quei coreografi che hanno fondato la danza contemporanea in Italia. Moltissime sono state le Compagnie ospitate sotto la mia direzione e quest’anno il gradito ritorno di Roberto Zappalà e Roberto Castello oltre che con il Collettivo Cinetico. Non possiamo fare a meno della danza e del lavoro dei coreografi, come non possiamo fare a meno del linguaggio dei musicisti. Il ministero dovrebbe lasciarci liberi, non imporre sempre tetti limitanti e quantitativi.
Un’altra linea rossa riguarda soprattutto il legame con il territorio isolano: come si offre al tuo sguardo il Teatro siciliano di oggi?
La Sicilia cresce tanto e ogni anno mostra molte cose degne di attenzione, ed è un rispetto verso il territorio che segna anche in questo caso un collegamento con il passato. Enna, Trapani, Palermo, Catania, la scorsa edizione Messina. Teatro puro ma con spinte molto forti all’azione del corpo come nel caso del duo Sabrina Petyx e Giuseppe Cutino, o la prima nazionale di Ersilia Lombardo con Sara. C’è Vincenzo Pirrotta da Palermo. E per me è puro teatro anche Cesare Basile da Catania o l’Officina Teatro LMC di Trapani. Pambieri è prodotto da Catania e l’autore è Pirandello. Il concerto di Cammarata e Dimartino è teatro musicale e viene da Palermo. Inoltre le prime nazionali sono ben quattro tra le quali c’è sicuramente da ricordare quella di Salvatore Cantalupo, che è vero viene da Napoli, ma in fondo Napoli è sempre regno delle due Sicilie. Significa che la Sicilia dovrebbe consolidare e proteggere molte altre esperienze. Mi fa piacere che altri teatri sentano forte questo stesso impulso verso gli artisti siciliani. Anche il Biondo quest’anno punta molto sugli artisti che vivono qui. E questo è un bene.
Parliamo del pubblico delle Orestiadi…
E’ un pubblico che ama gli artisti e viene ricambiato. E’ assorto, silenzioso, curioso, attento. Non accende telefonini o filma. Li saluto uno per uno al loro ingresso. E’ bello incontrarli perché un pubblico affezionato che cresce sempre di più. E si ferma a parlare con gli artisti dopo, è curioso e fa bene al cuore vedere un pubblico così. Fanno spesso 80 km per venire a vedere. E’ una bella responsabilità per tutti noi. Però amano venire qui, in questa isola felice, dove si può mangiare, vedere le mostre, assistere a qualcosa di magico sotto le stelle. E non è un pubblico frastornato da 4\5 spettacoli al giorno. Qui ne vede uno, effettivo e reale. E poiché siamo distanti da tutto non ci sono addetti ai lavori, se non in una benvenuta minoranza. Per cui spesso mi sento dire dagli artisti con stupore di essersi finalmente trovati davanti a un pubblico vero. Anche gli amici critici sono pochi ma vengono qui con piacere. Qui tutto è più lento, non sono i frastornanti 5 giorni con 45 spettacoli. Se dovessi esprimere però un desiderio, sarebbe quello di vedere molta più comunità di Gibellina. Il pubblico della città che ci ospita è incrementato negli anni, ma davvero mi piacerebbe che almeno una volta tutti ma proprio tutti venissero qui a vedere che emozioni regala il festival.
Teatro, danza, musica, ma non solo: la Fondazione è aperta anche alle arti visive, alla letteratura, ai laboratori.
Nel periodo del festival saranno inoltre aperte e inaugurate le mostre No Borders a cura di Francesca Corrao e Enzo Fiammetta, una mostra che rende omaggio ai paesi oggetto del muslim ban firmato da Trump nel gennaio 2017, attraverso manufatti e testi poetici provenienti dal Iran, Iraq, Siria, Somalia, Sudan, Yemen. Nel giorno d’apertura verrà inaugurata la mostra “Mimmo Paladino a Gibellina” con bozzetti, foto e documenti realizzati dall’artista in occasione della Sposa di Messina di Schiller, presentato qui alle Orestiadi del ’90, con la regia di Elio De Capitani. Domenica 16 verrà inaugurata la mostra degli allievi dell’Accademia delle Belle Arti intitolata A29, inserita negli atelier e nel nostro museo. Il 29 luglio presenteremo Nuddu, documentario di Stefania Orsola Garella e alcuni ristretti della casa di reclusione di Favignana, sempre il 29 luglio ci sarà la presentazione della nuova edizione del libro ‘Il sogno mediterraneo’, intervista di Baldo Carollo a Ludovico Corrao, infine verrà proiettato il documentario di Leandro Picarella Orestiadi trentacinque, documentario realizzato in collaborazione con la Scuola Nazionale di Cinema, sulla precedente edizione.