LAURA NOVELLI | Oltre venti ragazzi di diversa nazionalità e formazione vivono insieme da alcune settimane nei suggestivi spazi del Forte Vecchio di Cavallino-Tre Porti vicino Venezia (fortificazione permanente a pianta lunettata edificata tra il 1845 e il 1851 dagli Austriaci dove, dal 1996, è attiva l’associazione Metaforte, tesa alla salvaguardia di questo imponente bene storico-architettonico ma anche a costituire un polo culturale attivo sul territorio, https://www.youtube.com/watch?v=uyf_2D9SGss), dedicando la loro quotidianità alla creazione di uno spettacolo site specific che debutterà il 2 settembre. Alcuni di loro recitano e ballano. Altri scrivono musiche originali. Altri si occupano della spazializzazione del suono. Altri ancora disegnano e cuciono costumi. Per ora si autofinanziano, non percepiscono alcun cachet e fanno affidamento su una campagna di raccolta fondi per cui hanno realizzato un video promozionale fruibile sul sito https://www.produzionidalbasso.com/project/un-esperienza-l-engagement-de-l-etre/. A guidare questo gruppo eterogeneo per provenienza, età, cultura, studi e talenti ma assolutamente compatto per passione e comunione d’intenti ci sono i ventunenni Alessandro Rilletti (autore del testo, coregista e interprete) e Cosimo Ferrigolo (coregista, interprete e orchestratore della visione spaziale), entrambi romani, ex allievi del Liceo classico Dante Alighieri e ora studenti rispettivamente di Filosofia all’Università Ca’ Foscari e di Scenografia all’Accademia di Belle Arti della città lagunare.
L’iniziativa, che ci si augura possa avere il sostegno concreto delle istituzioni locali, si intitola UN’ESPERIENZA l’engagement de l’Être e, già solo scrutando tra i materiali informativi, salta agli occhi con estrema evidenza la raffinatezza intellettuale dell’operazione, che possiede però un nocciolo di forte teatralità. E’ lo stesso autore a parlarmene durante un incontro romano. Mi racconta di aver scritto il testo una anno fa ispirato da avvenimenti biografici e di aver subito pensato a una realizzazione collettiva per un luogo ben definito, che contenesse tutte le fasi laboratoriali propedeutiche all’allestimento finale. In pratica, il sogno di tutti i teatranti “artigiani”; l’utopia di Copeaux e di tanti altri Padri Pedagoghi (le maiuscole sono d’obbligo) del Novecento. “Il progetto, finalizzato alla realizzazione di uno spettacolo teatrale presso il Forte Vecchio di Cavallino-Tre Porti, prevede la formazione di un gruppo eterogeneo di giovani ragazzi disposti a vivere pienamente le fasi evolutive di un laboratorio teso ad abbracciare, lungo l’arco dell’estate, una prospettiva di totale collaborazione creativa. Il gruppo interrogherà la convivenza di un tempo e di uno spazio, la cui voce quotidiana si manifesti come l’essenza del prodotto artistico; dove il prodotto è l’accidentale destino di un percorso ignoto e sorprendente; dove l’intenzione che anima un meccanismo di produzione, votato economicamente all’obiettivo, trascende il proprio fine nell’ascolto del mezzo che la guida: interpretando positivamente il tempo e il modo della fabbricazione, dilatando la situazione nel coglierne l’eternità […]”.
La storia che si metterà in scena evoca scenari felliniani, richiama Kasimir e Karoline di Ödön von Horváth, alcuni esempi di drammaturgia nordica e austriaca (penso soprattutto a Strindberg e a Bernhard), Artaud, ma anche tanta – proprio tanta – classicità, supportata da una ricerca di senso che concepisce i personaggi non tanto come figure verisimili ritagliate dal reale ma modelli archetipici, simboli emblematici di quelle domande esistenziali che ci riguardano da sempre. Una donna e un uomo di incontrano su una giostra; il loro esserci trova giustificazione nel riconoscersi: è l’altro che dà sostanza alla presenza dell’altra e viceversa e dunque il tema identitario sposa quello – altrettanto ancestrale – della relazione, dell’alterità, della necessità di imparare ad ascoltarsi, a “sapersi”, come scrive l’autore stesso. L’amore li avvolge trasformandoli in corpi incandescenti, poi scema. Prima si annodano le membra come in un gioco poi l’incomunicabilità. Lei vola su un albero, quasi fosse un’acrobata dei sentimenti. Intorno a loro si muove furtivo ma possente un coro muto (forse perché oggi sarebbe l’afasia il vero destino del coro tragico antico, compromesso dalla modernità nella sua funzione fondamentale di essere ragione e giudizio). Ma questo coro disarmato del dire è sempre nello spazio scenico, muove le azioni, si avvicina ai protagonisti, accompagna il loro viaggio nella rifrazione reciproca. L’incipit del testo è folgorante in tal senso: “La scena è all’aperto, sul prato. Una giostra circolare sul fondo dello spazio; a metà, sul lato opposto rispetto al rondeo, un bersaglio; vicino ad esso, un arco ed una freccia. Tra i due grandi alberi vicino alla torre, una corda, legata ad uno dei due tronchi. Sulla superficie della torre che volge al rondeo, un telo bianco retroproiettabile. Le luci saranno montate su stativi: una illumina una sezione della giostra, una il bersaglio di taglio, un’altra è in mezzo al campo, un’ultima è incastonata tra i rami […]. Si accende la luce che illumina la sezione di giostra. Musica: some of these days. Un coreuta muove piano la giostra. L’UOMO e la DONNA giungono ad essa da direzioni diverse, vi salgono in movimento. Contribuiscono al movimento controllando il volante centrale: quando uno dei due entra nel fascio di luce, si alza e si protende con impaziente ed inibito desiderio verso l’altro, che continua impassibile a favorire il movimento, guardando davanti a sé. Finita la musica, camminano paralleli verso il centro del campo, con andature diverse. Un secondo coreuta accende la luce in mezzo al campo, che li illumina da dietro e ne delinea le silhouette, sedute l’una di fronte all’altra”.
Non ci saranno scenografie di cartapesta in questo lavoro ma solo lampi di luce, movimenti ben orchestrati e un rapporto quanto mai fluido tra Uomo e Natura. Ad un certo punto compariranno due Controfigure con costumi caricaturali del gioco degli Scacchi (Re e Regina) e un vecchio Socrate vestito alla greca con una maschera dalle fattezze sgraziate. Un Socrate, dunque, in rovina che urla, sbraita, cade a terra lanciando stille di sangue verso il pubblico. Da questa caduta si ristabilirà tuttavia l’ordine, il cosmos. I due amanti, ormai nudi e fanciulleschi, si ritroveranno insieme – forse – finalmente uniti. Spiega ancora Rilletti: “La testimonianza – dissanguata, dissacrata – giunge a compimento danzando coi bagliori del riso, sfolgorante d’argento, profondo turbine di colpa e redenzione, agone senza vittoria. Come un gioco sorge e come un gioco è rassegnata a dileguare, non senza la fede di aver lasciato un segno [… ]La parola è ora contemplata come μάρτυς, testimone incarnato dell’incontro con l’Altro: evoca l’apparire di cose e persone, eternamente vittime-carnefici, costrette nel tempo insostenibile di una musica straziante, avvolte nella luce perpetua di ciò che si dona. Logos ovvero Epifania Martirio Gioco ogni esperienza è un dono eterno quale inesplicabilmente dato”.