Dana Michel

LAURA BEVIONE | “Chiedimi se sono felice”: questo potrebbe essere il sottotitolo dell’irruente e irresistibile performance del catalano Quim Bigas Bassart che, nello sferisterio di Santarcangelo, interroga il pubblico sul significato dell’essere ‘fighi’, su cosa sia la felicità e se conti di più quella personale oppure quella collettiva.
In una sfrenata corsa di cinquanta minuti, l’artista danza ammiccando con divertita ironia su musiche abitualmente associate a contesti di seduzione ovvero di spensieratezza; espone artigianali cartelli che incitano a vivere con maggiore rilassatezza; chiede al pubblico di suddividersi in due file così da creare una sorta di ‘tappeto rosso’ sul quale cammina salutando e stringendo mani; coinvolge in un gioioso karaoke di Felicità di Albano e Romina.
Quim Bigas Bassart – irriverente e spensierato, generoso e ironico – ripercorre stereotipi legati alla felicità e allo star bene, svelando quanto le emozioni siano artificialmente e proditoriamente suscitate e invitando gli spettatori a riscoprire in se stessi ciò che davvero li rende felici e dunque ‘fighi’, in primo luogo ai propri occhi.
Il suo spettacolo, così, si trasforma in una sorta di rito collettivo di riappropriazione delle proprie emozioni, felicemente liberatorio.

E alla ritualità – ancestrale e contemporanea – rimanda la performance ideata e interpretata dalla pesarese Mara Oscar Cassiani, autrice di un’approfondita indagine sui carnevali barbaricini, alla ricerca di affinità – di forma e di contenuto – con analoghi rituali collettivi dell’oggi, in particolare con i rave.
Il titolo completo dello spettacolo – Spirit-#ANIMAS#SPIRIT#RAVEHEARTS – sintetizza i tre immaginari cui si è rivolta l’artista, ossia i film d’animazione giapponesi, i riti collettivi della Barbagia e la cultura clubbing, accomunati dalla natura di archetipo, ossia espressione immediatamente riconoscibile di una comunità. Se gli obiettivi perseguiti da Mara Cassiani appaiono dunque concretamente espliciti, non altrettanto efficacemente risultano realizzati sulla scena.
Se la prima sezione dello spettacolo tenta e realizza, almeno parzialmente, la volontà di individuare affinità e parallelismi fra i movimenti standardizzati e reiterati dei balli della tradizione barbaricina e quelli, altrettanto codificati e ripetitivi, del clubbing; la seconda parte assume la fisionomia di rave party, senza tuttavia riuscire a coinvolgere il pubblico, disorientato o forse timido… Quello che sarebbe dovuto tramutarsi in un rito collettivo, con la convinta partecipazione del pubblico – in verità non espressamente invitato dai pur generosi studenti dell’Helsinki Theatre Acadamy chiamati a partecipare al progetto di Mara Cassiani – si rivela uno spettacolo incapace di tradurre in efficace pratica scenica un’intuizione intelligente, ma non adeguatamente approfondita e sviluppata.

Su una singola idea si fonda anche Yellow Towel dell’artista canadese Dana Michel, fresco Leone d’argento alla Biennale Danza.  Coreografa e performer, si ispira a un espediente adottato da bambina quando, per assomigliare alle sue bionde compagne di scuola, era solita nascondere le sue ispide treccine sotto un asciugamano giallo che, nondimeno, non appare in scena, fungendo però da propulsore di immagini e situazioni che partano sì dall’infanzia per ritrarre un contesto – evidentemente duro a morire – di implicita, ma subdola discriminazione razziale.
Dana Michel – un’informe tuta nera e un cappellino da baseball – entra in scena dalle quinte laterali, con movenze imbarazzate e trattenute, da freak, borbottando in un inglese appena intellegibile. Lentamente si spoglia, rivelando un paio di collant gialli e una canottiera bianca, e, ricorrendo ai molti ed eterogenei oggetti sparsi per il palcoscenico – anche nascosti sotto teli bianchi che ricoprono tavoli ingombri ovvero cumuli di cose –, mette in scena monologhi e frangenti stereotipati, associando alla recitazione – smozzicata e spesso appena sussurrata – brevi e circoscritte coreografie.
L’artista palesa così un’indubbia versatilità – e certo rimane il rimpianto per la limitatezza delle parti più squisitamente coreografiche –, ma lo spettacolo pare non riuscire a trovare un suo reale e profondo respiro, attorcigliandosi su se stesso, ovvero sulla stessa vita intima della Michel, senza che essa riesca ad acquistare quell’universalità capace di conquistare l’empatia del pubblico.

Una vitale ariosità regala, invece, lo spettacolo della coreografa bolognese Simona Bertozzi, ultimo capitolo del suo progetto triennale dedicato al mito di Prometeo.
Tre danzatori adulti in fertile dialogo con una coppia di adolescenti – Anna e Arianna, di quattordici e sedici anni, interpreti delle Oceanine, le fanciulle che per prime raggiungono Prometeo incatenato. Nella prima parte il trio “adulto” e la coppia di ragazze occupano il palcoscenico in alternanza, senza mai incontrarsi, salvo poi sfiorarsi e intrecciarsi, a testimoniare di un vivifico – e reciproco – passaggio di conoscenze ed esperienze.
Una coppa dorata – unico oggetto di scena – è simbolo del sapere rappresentato dal fuoco rubato da Prometeo e viene dunque passato di mano in mano, posto sul capo e abbandonato sul palcoscenico, fino a giungere nelle mani delle due adolescenti, immediata e palese espressione di un passaggio di consegne – e conoscenze – privo di rancori e ambiguità, docilmente obbediente alle sagge leggi della natura.
Ne risulta un’armonia raffinata e – appunto – naturale, una danza tanto formalmente studiata e curata quanto fluida ed equilibrata, potente eppure delicatamente vulnerabile.
Simona Bertozzi crea – grazie anche ai suoi cinque meravigliosi danzatori – uno spettacolo che è consapevole e sofferto inno alla necessità dell’incontro, della rinuncia – da parte della “vecchia” generazione – e dell’accoglimento – da parte dei giovani.

 

MOLAR
di e con Quim Bigas Bassart
scena e suono di Joana Serra
prouzione Anna Bohigas

SPIRIT
concezione, installazione e sviluppo di Mara Oscar Cassiani
con Mara Oscar Cassiani, Matilde Bassetti, e la partecipazione degli studenti della Helsinki Theatre Academy
p
roduzione Progetto Muse e Compagnia B; con il supporto di Super Bubble, Regione Autonoma della Sardegna, MIbact, Cesp e Lariso

YELLOW TOWEL
concezione, scene, costumi, performance di Dana Michel
l
uci di Karine Gauthier
p
roduzione Dana Michel, Daniel Léveillé danse; in coproduzione con Festival TransAmériques, Studio 303

AND IT BURNS, BURNS, BURNS
ideazione e coreografia di Simona Bertozzi
c
ostumi di Cristiana Suriani
luci di Simona Fini
m
usica di Francesco Giomi
c
on Anna Bottazzi, Arianna Ganassi, Giulio Perrucci, Aristide Rontini, Stefania Tansini
p
roduzione Nexus; con il contributo di Mibact, Regione Emilia Romagna

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